BITS-RECE: Anohni, Hopelessness. Il cambiamento, lo sconforto e la confusione

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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In copertina c’è un volto confuso, androgino, frutto di un mashup fotografico tra la faccia dell’artista e quella di Naomi Campbell. E le canzoni all’interno del disco sono esattamente così, confuse, ambigue, stridenti. Roba che se la musica tende a destra, i testi virano a sinistra e la voce parte dritta per il centro.
Elementi che presi singolarmente sarebbero anche molto apprezzabili, ma così combinati si strappano le vesti a vicenda.

C’era una volta Antony & The Johnsons, e mezzo mondo restò incantato dalla voce senza sesso di Antony Hegarty, di fatto unica anima del progetto. Con lui abbiamo imparato che anche gli angeli si commuovono, e che quando lo fanno esce una canzone come You Are My Sister. Poi lui è diventato lei – o meglio, lo era anche prima, solo che non aveva ancora fatto il passo di farsi riconoscere come donna anche in pubblico – ed ecco spuntare il nuovo progetto Anohni. Il disco di debutto si intitola Hopelessness, più o meno Mancanza di speranza.
Al cambio di identità si accompagna un cambio radicale di musica: le poesie tristi e crepuscolari lasciano spazio a testi durissimi, arrabbiati, disillusi, politicamente interessati: Anohni se la prende con il sistema malato, che porterà tutti alla rovina, e ne ha per tutti, dai droni a Obama, a cui è dedicato un pezzo che non è esattamente un elogio. Un mondo davvero senza speranza, a livelli ansiogeni e sconfortanti. Messaggi che se sono profondamente diversi da quelli cantati un tempo, sono sempre pronunciati dalla stessa voce impastata di miele e melassa, in un contrasto fin fastidioso: se anni fa la voce di Antony era un balsamo, quella di Anohni avresti quasi voglia di zittirla. L’apice è la nenia di Obama, dove il nome del presidente è ripetuto in modo così ossessivo e biascicato che l’istinto è passare alla tracciare successiva, o peggio schiacciare direttamente stop.
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L’effetto abrasivo dell’album però non si ferma qui, ma arriva a coprire l’intero elemento musicale: non mi ricordo dove (o forse sì, ma non importa) ho letto che Hopelessness sarebbe una sorta di album dance con testi impegnati. Cioè, in pratica, secondo questa teoria, tra David Guetta e Robyn nelle vostre serate al club potrebbe capitarvi di sentir passare una canzone di Anohni. Oddio, le vie della provvidenza sono infinite, ma non so quali discoteche sarebbero disposte a far passare un brano che di ballabile ha ben poco: che siano suoni elettronici posso riconoscerlo (la base di Drone Bomb Me è da pelle d’oca!), ma che si possano definire addirittura dance, beh, un po’ meno. Quindi no, Hopelessness non è un disco di tormentoni tunz tunz con i testi intelligenti.

I messaggi li ha, e sono anche piuttosto chiari e coraggiosi (per tornare a Obama, conoscete qualcun altro che abbia criticato il presidente in modo così netto?), per il resto è il regno della confusione.

Si salva Crisis, nel suo crescendo empatico.

Se poi volete fare tutti i discorsi sul cambio di identità, sesso e genere musicale e considerare Hopelessness come la farfalla uscita dal bruco, fate pure: io di Anohni facevo anche a meno, Antony & The Johnsons mi andava benissimo, maschio o femmina che fosse. Così come non me ne faccio niente della raffinatissima produzione firmata da Hudson Mohawke e Onehtrix Point Never, sistematicamente osannata, se poi il risultato è un disco che per farsi ascoltare (e apprezzare) ha bisogno di un ascolto quasi scientifico.

Non sempre il cambiamento genera benefici.

Brooke Candy. La più cattiva delle popstar

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Per questione di sintesi, nel titolo di questo articolo ho scritto “popstar”, ma il mondo di Brooke Candy ruota in realtà attorno tanto al pop quanto all’hip hop, e non è raro leggere per lei la definizione di “rapper”. Resta comunque il fatto che il suo è il volto più perverso e più cattivo tra quelli attualmente in circolazione nel pop e nell’hip hop: un volto sfrontato, provocatorio e provocante, distorto, assolutamente affascinante.

Pensate alla Lady Gaga di qualche anno fa (diciamo il periodo Bad Romance/Alejandro), prima cioè che decidesse di vestire i panni di dama del jazz: outfit estremi, e un deciso gusto per il “non bello”, il blasfemo, persino il macabro (vi ricordate i teschi, i litri di sangue finto, l’abito di carne cruda?). Ecco, pensate a quella Lady Gaga e poi ripensatela al quadrato o al cubo, e avrete un’idea più o meno precisa di quello che è Brooke Candy.
Probabilmente, se non fosse arrivata Lady Gaga a buttare sul pop quella secchiata di vernice color petrolio, oggi non avremmo Brooke Candy (così come non avremmo mai avuto Gaga se non ci fosse stata prima Madonna, che a sua volta deve molto a icone come Debbie Harry, e via così all’indietro, con buona pace di tutti): questo non perché Lady Gaga abbia davvero inventato qualcosa, ma è stato il personaggio che è riuscito a dare enorme visibilità a certe scelte di stile.
Ecco, la giovane Brooke si è messa su questa strada: nonostante il confronto inevitabile, pare però che non ami essere accostata alla Germanotta, ma piuttosto ha dichiarato di ispirarsi a un’altra diva del music biz, Lil’ Kim.

Nata a Oxnard, in California, nel 1989, Brooke è figlia del direttore finanziario della rivista a tinte porno Hustler. I primi passi nella musica li ha mossi nel 2012, quando i suoi primi video sono apparsi su Youtube: fra questi c’era Das Me, che la vedeva in versione cyber con capelli fucsia e mega zatteroni. Sono arrivate le prime collaborazioni (Charlie XCX, Grimes), le prime citazioni su magazine di musica e di moda e il suo nome ha iniziato a girare.

Il primo punto di svolta è però arrivato nel 2014, quando Brooke ha fatto il colpaccio aggiudicandosi la regia dell’arcipatinato Steven Klein per il video di Opulence, il singolo – firmato anche da Sia e prodotto da Diplo – che avrebbe dato il titolo al primo EP: scenario violentissimo, atmosfere claustrofobiche, distopiche, visionarie, un’orgia di delirio e sesso. In poche hanno osato così tanto, Brooke Candy si è spinta ben al di là delle bistecche crude di Gaga, ci ha mostrato il lato più malato e perverso a cui può arrivare il pop.
Ad oggi il video conta solo 2 milioni di visualizzazioni, il disco non ha lasciato segno in classifica e il nome di Brooke Candy è rimasto nel limbo dell’underground o poco più.
Forse ci si aspettava un altro riscontro…

La ragazza non si è comunque fermata, ma anzi si è legata sempre di più al mondo del fashion, seguendo la stessa ricetta delle colleghe più celebri, ma facendo le cose a modo suo: come aveva fatto Lady Gaga nel periodo Born This Way, ha lavorato a stretto contatto con lo stylist Nicola Formichetti, un altro a cui piacciono molto le bizzarrie noir, e si è fatta splendidamente immortalare – tra gli altri – da Klein, Terry Richardson, Richard Burbridge, in servizi fotografici che difficilmente hanno lasciato indifferenti. Tra il 2015 e il 2016 ha collaborato con il colosso M.A.C. per lanciare sul mercato due linee di cosmetici.
Non bisogna certo essere Madonna per sapere quanto sia fondamentale per una popstar vendere bene la propria immagine: Brooke Candy lo fa portando il gioco all’estremo, con un’immagine potente e sfacciata, eppure bellissima. Restando perfettamente a metà strada tra pop e hip hop, Brooke li concentra anche nel suo universo visivo: più patinata di Lil’ Kim, più cattiva di Lady Gaga, molto più sporca di Nicki Minaj, ancora più eccessiva di Rihanna. 

Se volete fidanzarvi con lei, sappiate che si definisce “pansessuale”, mentre se entrerete a far parte della schiera dei suoi fan, sarete dei #FagMob.

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Nell’ultimo anno Brooke Candy ha pubblicato diversi singoli (quasi tutti accompagnati dai relativi video), molti dei quali quali finiranno probabilmente in The Daddy Issues, il suo primo album, che dovrebbe arrivare entro la fine del 2016: uscirà per la Sony e si parla di una produzione curatissima, in cui è stata coinvolta anche Sia.

Insomma, sembra arrivato anche per lei il momento del grande salto.
E io lo aspetto, con una certa impazienza.

#NUOVAMUSICA: Christaux, A Minute To Now

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Il nuovo progetto di Clod degli Iori’s Eyes si chiama Christaux e A Minute To Now è il primo singolo con cui si presenta al pubblico nella sua nuova incarnazione.

Un brano epico e oscuro, ma allo stesso tempo pop,”imponente, a livello sonoro e d’immagine, e anche molto sincero, diretto, è esattamente come mi sento io. La mia musica è l’immagine più reale che riesco ad avere e a dare di me stesso. Per questo disco ho lavorato sul concetto di icona—intesa come icona sacra. Per esempio, l’artwork del singolo è il mio mezzo busto ricostruito in 3D da Francesco D’Abbraccio (Studio Frames). Ci sono io come succede per gran parte dei dischi pop, ma sono decontestualizzato.”

Il brano, prodotto da Mario Conte – già al lavoro con Colapesce, Meg e Antico – fa parte di un EP che uscirà dopo l’estate.

BITS-RECE: Caravan Palace, °_°. Quando lo swing si veste di elettronica

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Immaginate di essere invitati a una grande festa in un grande palazzo, un grande party in costume a tema anni ’20, la golden age dello swing, del charleston e del jazz. Velette, gonne a frange, frac e cilindri. E poi immaginate che a questa meravigliosa serata venga aggiunto un tocco di modernità, piazzando in consolle un DJ che faccia sposare il passato al presente.

Cosa ne verrebbe fuori? Sicuramente qualcosa di molto, molto, molto simile al suono di <I°_°I>, l’ultimo album dei francesi Caravan Palace. Non provate a pronunciare il titolo, è scritto proprio così, e non provate a dare un nome a questa musica, perché qualsiasi definizione vi risulterebbe troppo “corta”, come una coperta che non riesca a coprire tutto.
Elettro-swing? New jazz? Jive? Boh! Ma in fondo, importa davvero?
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Quello che invece conta è che <I°_°I> sia un disco freschissimo, vivo, luccicante di vitalità, nuovo e dirompente verso le regole del tempo e delle mode: pop, dance, hip hop, swing, jazz, jive. Qui dentro c’è proprio tutto, ed è mescolato con maestria da una band di grandissimi musicisti.

Se cercate qualcosa di “diverso” e che vi faccia scuotere i fianchi ma con stile, questo è il vostro album.

La belle époque non è mai stata tanto vicina.
Ladies & Gentlemen, si scende in pista!!

#NUOVAMUSICA: Syria, Islanda

“Intensità, purezza e durata: quando queste tre misure sono relazionate ad una storia d’amore, allora si parla della storia più importante della nostra vita!
Islanda è un inno ai primi secondi di attrazione e scoperta, una celebrazione del momento in cui ci innamoriamo e che poi diventa magicamente eterno.”

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Cover di Heart Attack dei Flight Facilities, adattata e riarrangiata da Davide Ferrario con il testo in italiano di Dario Moroldo, Islanda è il singolo che segna il ritorno tra pop e dance di Syria.

Il brano anticipa il nuovo album atteso a settembre.