The Cure, il più grande compromesso di Lady Gaga?

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C’è stato un tempo in cui il nome di Lady Gaga significava sorpresa, stupore e innovazione. Un tempo in cui l’emergente Lady Gaga assaliva il web e insegnava ai suoi più navigati colleghi a usare i social network e YouTube, dando il via alla nuova generazione di popstar. Un tempo in cui Lady Gaga faceva pop con la sua testa.

Un tempo che sembra lontano, oggi più che mai.
In quasi dieci anni di carriera, Lady Gaga ha raccolto successi, infranto record, è andata a sbattere contro flop clamorosi, è passata dal pop cattivissimo di Bad Romance al jazz con Tony Bennett, ha giocato a fare la nuova Madonna e ha imbracciato la chitarra per fare la country singer in Joanne. Ha fatto pezzi meravigliosi e pezzi da dimenticare, ma mai sembra essersi abbassata al compromesso come ha fatto con The Cure, l’inedito rilasciato a sorpresa pochi giorni fa in occasione della partecipazione al Coachella.


Dopo la (parecchio) spiazzante virata country di Joanne, sentendo The Cure in molti hanno parlato con un certo entusiasmo di un ritorno alle origini, un ritorno ai “tempi d’oro”. Ma siamo sicuri? Cioè, davvero The Cure si sistema sugli stessi binari sonori su cui hanno viaggiato alla grande Poker Face, Just Dance e Bad Romance? Non è che, piuttosto, si sta confondendo la presenza di un generico suono elettronico con un fantomatico ritorno all’ovile?
Poker Face e Bad Romance erano pezzi animati di vita propria, pezzi ruvidi, affilati, pop sporco e violento, The Cure è qualcosa di diametralmente opposto. È un pezzo di quiete tropicale, un downtempo tra EDM e r’n’b che di personale ha ben poco, e anzi sembra essere stato piazzato apposta in coda nell’imperante filone in cui si sono comodamente seduti artisti come Zara Larrson e a The Chainsmokers.
Forse per la prima volta, su un singolo di Gaga si insinua il dubbio del compromesso facile: una sensazione che non si era provata neanche ai tempi della rovente e usurata diatriba Born This Way/Express Yourself, perché lì tutto si muoveva su un attentissimo gioco di specchi e di provocazione.
Con The Cure Lady Gaga sembra aver voluto giocare troppo facile, e gratuitamente, assecondando ad occhi chiusi radio e web, forse alla ricerca di un pubblico (il più giovane) che non si era mostrato abbastanza interessato all’intimità di Joanne.
Resta poi da capire il motivo del rilascio di questo singolo, con un album pubblicato solo sei mesi fa, e se si tratti di una parentesi o del primo capitolo di un nuovo corso.
Una cosa è certa: se Lady Gaga voleva veramente tornare a casa, questa non è la strada più breve.

BITS-CHAT: Un Capodanno speciale. Quattro chiacchiere con… i Landlord

unnamed (1)Il calendario segna i primi giorni di primavera, e i Landlord festeggiano Capodanno.
Ma state tranquilli, loro non sono impazziti e voi non avete perso il conto dei giorni. Semplicemente, New a Year’s Eve è il titolo del loro ultimo singolo, uscito da poco a conclusione di un anno di musica a dir poco intenso iniziato con la fortunata Get By.
Chiusa l’esperienza di X Factor nel 2015, i ragazzi di Rimini si sono infatti messi al lavoro sui loro brani, che hanno visto la luce nel 2016 in Aside e Beside, due EP pubblicati a pochi mesi di distanza, e poi riuniti nel vinile Be A Side, in cui hanno fatto vedere tutte le facce del loro pop elettronico sporcato di influenze ambient e persino sinfoniche.
Nel frattempo, l’attività live si è fatta sempre più rovente e l’agenda della band si è infittita di impegni, non solo in Italia, dal momento che per loro si sono aperte anche le porte del colossale Sziget Festival di Budapest.
E mentre un nuovo tour estivo si profila all’orizzonte, noi abbiamo fatto quattro chiacchiere con loro per annodare i fili di questi ultimi mesi.
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New Year’s Eve
sembra il perfetto punto di incontro tra un capitolo che si chiude è una nuovo inizio. Che bilancio potete fare dell’ultimo anno? Soddisfazioni, delusioni, sorprese…

Proprio così, il brano rappresenta esattamente questo, e ha per noi un valore particolare. Sicuramente è stato un anno molto positivo, ricco di soddisfazioni, di tante novità e di molta attività. Abbiamo avuto tante sorprese, fatto tante date live, anche all’estero, abbiamo aperto i concerti di gruppi importanti e che consideravamo irraggiungibili e vissuto esperienze davvero importanti.
Pensate che la scelta di pubblicare un doppio EP anziché un intero album vi abbia giovato? Potrebbe sia una buona strategia per far arrivare meglio la musica al pubblico?
Non lo sappiamo questo, ci siamo interrogati a lungo riguardo la pubblicazione, ma poi abbiamo deciso di procedere con i due diversi EP, per mostrare al pubblico una sorta di evoluzione che noi stessi avevamo vissuto. Tutti i brani sono stati scritti nello stesso periodo, però alcuni procedevano in una direzione più elettronica e sperimentale rispetto ad altri e così abbiamo voluto fissare questo cambiamento.
Il vostro tour vi ha portato a lungo in giro per l’Italia e anche all’estero: c’è stata una platea che vi ha particolarmente stupito o un concerto che vi ha lasciato un ricordo più forte?
Due concerti sono stati incredibili: il nostro primo concerto al Velvet di Rimini e la data al Magnolia, in apertura a Edward Sharpe e ai Daughter. Un’atmosfera unica. Abbiamo trovato un pubblico molto entusiasta, molto partecipe e caloroso e per di più a fine serata abbiamo scambiato quattro chiacchiere con i Daughter. Un momento magico, qualcosa di indelebile.
Le vostre principali influenze musicali da dove arrivano?
Ascoltiamo veramente di tutto, ognuno ha i propri ascolti e poi alla fine mettiamo tutto insieme, cerchiamo di delineare una nostra strada senza essere troppo schiavi delle influenze. Siamo comunque dei grandi fan di Justin Vernon, e del suo progetto bon iver.
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A distanza di un po’ di tempo, pensate che la partecipazione a X Factor vi abbia insegnato qualcosa?
L’esperienza di X Factor ci ha insegnato tanto. Ci ha formato parecchio; ha rappresentato una sorta di corso accelerato sotto tutti i punti di vista. Ci è servito molto perché abbiamo assunto un atteggiamento di curiosità, di osservazione. Abbiamo cercato di rubare un po’ degli insegnamenti che abbiamo ricevuto ed è per questo che definiamo sempre il programma come una grande scuola, una palestra.
Perché pensate che i talent siano ancora visti spesso come una macchina di illusioni?
Il meccanismo dei talent certamente non è semplice. Un programma televisivo fa sempre molta gola, attira su di se molta curiosità, però noi abbiamo cercato di rimanere sempre con i piedi ben saldati a terra. Siamo profondamente convinti della necessità di fare esperienza, di calcare palchi, e questo ci ha permesso di rimanere molto lucidi durante la trasmissione. Avevamo le idee molto chiare riguardo la nostra strada e quindi siamo andati in quella direzione, ascoltando certamente consigli e aiuti di chi ne sa più di noi, però sempre puntando a quello che ci piace davvero.
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Guardando al futuro, avere già qualche idea di nuove strade musicali da seguire?
Stiamo vivendo un periodo di sperimentazioni, stiamo lavorando di continuo e non sappiamo ancora bene neanche noi cosa succederà, però ce la stiamo mettendo tutta!

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato date al concetto di ribellione?
Associamo il concetto di ribellione all’essere autentici. Tutta la nostra musica si fonda sulla sincerità, sull’autenticità e sulle emozioni che ci guidano continuamene nella scrittura. Per questo siamo molto legati al concetto di essere veri, se stessi, e a volte questo atteggiamento può rappresentare una vera e propria ribellione.

#MUSICANUOVA: Fred De Palma, Non tornare a casa

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Nuovo singolo e nuovo video per Fred De Palma.

Una nuova veste per l’artista torinese, sempre introspettiva, ma più scura, misteriosa, con fame di rivendicazione personale. La storia è intrisa di tensione, suspance, seduzione e colpi di scena.
Non Tornare A Casa rappresenta una ricerca al cambiamento e all’esplorazione di differenti sfaccettature del suo bagaglio musicale. Fred non rinuncia a trattare e raccontare alcuni dei temi da sempre a lui più vicini e che ha vissuto in prima persona: cambiano le esperienze in cui ci imbattiamo ogni giorno, ma rimaniamo sempre le persone che siamo.

Il brano anticipa il nuovo album in uscita nel 2017.

Vök: ad aprile il nuovo album tra elettronica notturna e downtempo

Dopo gli EP Tension (2013) e Circle (2015), gli islandesi Vök preparano l’arrivo della prima full release. La band fondata a  Reykjavík dalla cantante Margrét Rán e dal sassofonista Andri Már rilascerà infatti l’album Figure il 28 aprile: un disco in cui dove il pop elettronico si mescola a frequenze distorte, melodie quasi sussurrate e una voce raffinata ed elegante.
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Figure è una parola il cui significato muta in base ai diversi contesti di utilizzo: può significare “comprendere qualcosa”, ma anche far riferimento ad una figura nel buio, un corpo, una forma. Molti gli elementi che hanno ispirato la scrittura dell’album, dalla discografia di band come The Weekend e Little Dragon al cinema sci-fi, coprendo così un intero spettro di suoni e sensazioni.

“Rabbia, ossessione, negligenza, morte, amore, felicità e speranza: la parola figure può rappresentare tante cose diverse. Così è per l’album”, afferma Margrét.
Ad anticiparlo, il singolo Show Me, il cui video è stato girato alla fine del 2016, uno dei periodi più bui dell’inverno islandese.

#MUSICANUOVA: Birø, Ansia (Le luci)

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Birø è un cantautore classe 1990 originario di Varese. Un progetto che mira a raccontare storie coniugando testi della tradizione cantautorale italiana con i giochi dell’elettronica.
Incipit è il suo primo EP ufficiale, un esperimento in bilico tra musica e racconto, l’inizio di una storia raccontata attraverso 5 brani che trattano della gioventù di un ragazzo vissuta nel racconto di un’unica serata.
Ogni canzone dell’EP è quindi legata alle altre e, come le pagine di una storia, tutte seguono uno sviluppo cronologico.
La storia inizia con Ansia (Le luci), e vede protagonista un ragazzo che decide di assumere una droga sconosciuta, con tutte le paure che ne derivano.
Un brano dalle atmosfere suadenti di un pop color indaco ed echi trip hop, .
“Nella canzone sono numerosi i riferimenti allo stato d’ansia vissuto e alla paura avvertita di perdere sé stessi. Il giovane uomo avverte il rischio di confondere la realtà con l’immaginazione, è conscio del pericolo che corre ma desidera andare oltre, nonostante la persona che uscirà da quell’esperienza sarà ben diversa da quella che era prima”.
L’EP sarà disponibile su YouTube e in free download su Soundcloud dal 31 marzo.
Tutte le strumentali sono state composte ed arrangiate dallo stesso Birø in collaborazione con Mattia Tavani dei Belize e Giacomo Zavattoni di RC Waves che ha anche prodotto l’intero EP.
Per ogni ogni traccia è stata realizzata un’illustrazione da Vanni Vaps, grafico/illustratore che ha collaborato, tra i molti, con Vans e un video di Marcello Rotondella, visual artist di Novara ma di base a Roma.

BITS-RECE: Be A Bear, Time EP. Elettronica per stare bene

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Dietro al progetto Be A Bear si nasconde Filippo Zironi, “orso bolognese nato e cresciuto per 15 anni nello sia-punk firmato Le Braghe Corte”, come recita il comunicato stampa.
Quest’orso bolognese l’anno scorso ha portato a compimento un progetto assolutamente personale, coraggioso e, di conseguenza, molto interessante. In pratica, per circa due anni ha messo on line una canzone al mese: brani dalla natura semplice, che mettevano al centro racconti di vita quotidiana letti attraverso la lente di un pop a braccetto dell’elettronica e con una certa vecchia scuola del rock. Il tutto portato avanti con pochissimi mezzi tecnologici: un iPhone e poco più.
Un percorso lento, che durante le sue tappe ha mostrato cambiamenti ed evoluzioni, e che lo scorso hanno si è strutturato in Push-a-Bah, il primo album firmato Be A Bear.
A neanche un anno di distanza, l’orso Filippo ha deciso di dare spazio ad alcuni brani che non lo avevano trovato prima dell’arrivo dell’album: ecco quindi Time, un EP di quattro tracce – tre inedite più il brano omonimo già nell’album – che ondeggiano nelle acque serene di un’elettronica pensata per star bene e far star bene.
Quattro brani leggeri come queste giornate di fine inverno, con tanta bella melodia in primo piano e qualche voce lasciata sullo sfondo e qualche rumore di vita qua e là.
Una buona dose di vitamine sonore.
Time EP è disponibile per lo streaming e il download a questo link.

Depeche Mode: sono arrivati i remix di Where's The Revolution

E’ stato pubblicato il cd maxi-single con 4 versioni remixate di Where’s The Revolution, ultimo singolo dei  Depeche Mode.
A rimescolare i suoni sintetici della band sono Ewan Pearson, Algiers, Terence Fixmer Autolux, che ne hanno tirato fuori 4 versioni da club grondanti di beat e sintetizzatori tra avanguardia, french techno e i richiami ’80, alcuni delle quali piuttosto oscure.
Il 28 aprile uscirà inoltre una speciale edizione in doppio LP con 9 tracce .
Spirit, il nuovo album, è atteso per il 17 marzo.

BITS-RECE: Tokio Hotel, Dream Machine. Vuoto elettronico

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Sono tornati con un nuovo album dopo tre anni e si sono buttati a capofitto nell’elettronica.
Sono proprio lontani i tempi in cui i Tokio Hotel sconvolgevano gli adolescenti con il loro stile emo e il carisma decisamente ambiguo del loro leader, Bill Kaulitz. Oggi, esattamente 10 anni dopo, i ragazzi sono diventati degli ometti – lo si vede già dalle nuove foto: i visi puliti sono increspati di barbe e piercing, le voci efebiche si sono ispessite, sono spuntati i muscoli e ogni traccia di rimmel e fondotinta se n’è andata(già da tempo, a dire il vero). E con loro se n’è andato anche quel filo di sale che portava corrente all’anima del gruppo.
Sì, ogni tanto, sopratutto nei video, qualche provocazione l’hanno buttata lì (vedi Feel It All, dall’album precedente), ma erano appunto spunti visivi, non musicali.
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Peccato. Da allora di musica ne è passata un po’ sotto i ponti, non sempre con gli stessi esiti, e questo nuovo ritorno che prende nome di Dream Machine sembra segnare un aridità di idee. Elettronica sfacciata e spudorata, tra fiumi di synth e montagne di vocoder, ma dietro a questo velo ad alto voltaggio non sembra esserci molto. Ci si poteva aspettare un sussulto di – non dico maturità – ma almeno di crescita, cosa che non si avverte. Tanto per dirne una, Something New sembra l’ennesimo singolo dei The  Chainsmokers, e neanche dei più belli.
E non c’è neppure un pezzo alla Monsoon o alla The World Behind My Wall, ma solo nuvole di zucchero filato passate in un bagno di elettroni. E si sa, le nuvole se ne vanno al primo colpo di vento. Il momento più interessante è con What If, guarda caso proprio il primo singolo.
L’adolescente che resta (neanche troppo) nascosto in me, un po’ piange. 

Stile Ferreri: un Girotondo di autori nel nuovo album di Giusy

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Stile Ferreri.

Un po’ pop, un po’ rock, un po’ elettronico, tutto nella giusta misura. Ecco come si presenta Girotondo, l’album che segna il ritorno in pista di Giusy Ferreri, a quattro anni da L’attesa, se non si considera il successo colossale di Roma-Bangkok e la raccolta Hits.
Un album formato da un “cocktail autorale“, come simpaticamente lo definisce la diretta interessata: espressione che rende benissimo l’idea dei nuovi brani, perché se da una parte abbiamo firme come quelle di Roberto Casalino, Dario Faini, Diego Mancino, ma anche Federico Zampaglione (presente anche come ospite in L’amore mi perseguita), Tommaso Paradiso (Occhi lucidi) e Marco Masini (Immaginami), dall’altra ci sono i tappeti sonori di Takagi e Ketra (quelli di Roma-Bangkok), Diego Calvetti, Gianluca Chiaravalli, dello stesso Faini, elementi mischiati tra loro in cerca di soluzioni nuove, atmosfere fresche, danzerecce, magari vagamente latine, a sostenere parole che talvolta volano alte, testi che tratteggiano momenti di poesia, intimi o aspri, anche inattesi.
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Come nel caso di Il mondo non lo sa più fare – penso il migliore di tutto l’album: Che quest’epoca inizi / perché comincia la musica/ e sulle schiene ci crescano le ali.
O nel caso del pezzo che dà il titolo al disco, una riflessione sulla vita, o ancora della conclusiva La gigantessa, ispirata al componimento di Baudelaire, dove si parla di un infinito novecento / delle nostre meraviglie / nei risvegli tra la gente / mentre mastichi il mio cuore. Un elettropoprock – mi piace definirlo così – fatto di momenti intimi, tanto amore, e qualche graffio sanguigno.
Un cocktail di autori e di atmosfere preparato con attenzione in un costante lavoro di gruppo, e che oggi più che mai definisce quello che in futuro potrebbe davvero essere lo “stile Ferreri“, una cifra stilistica personale e inconfondibile, anche per la presenza di quel timbro “ingombrante” (lo definisce così proprio lei) che ha fatto di Giusy una delle più riconoscibili interpreti arrivate dall’universo-talent.
Se mai ci fosse qualcuno che ancora oggi, nove anni dopo la sua partecipazione a X Factor, si ostinasse a definirla la “Amy Winehouse italiana”, nei nuovi brani avrebbe ampio materiale per cui ricredersi. Qui c’è solo Giusy.
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Legato all’uscita del nuovo disco c’è poi il capitolo di Sanremo, ancora fresco di chiusura: un’edizione non troppo fortunata per la Ferreri, subito eliminata con Fa talmente male. Ma lei non sembra farne un grande dramma, semmai si rivela più stupita: “Sanremo per me è stata ogni volta l’occasione per propormi in una veste nuova. Nel 2011 ho presentato la svolta rock, nel 2013 con Ti porto scena con me avevo invece un pezzo poetico e più emozionale. Stavolta pensavo di andare sul sicuro con un brano che considero un po’ il fratello gemello di Novembre e Volevo te per i suoi elementi di elettronica. Forse su quel palco l’anima della canzone non è uscita fino in fondo: riascoltando le registrazioni ho sentito che veniva fuori soprattuto la parte orchestrale, e poi mancavano le voci dei controcanti, mentre io nell’interpretarlo mantenevo l’intenzione che la canzone aveva in studio”. E in effetti, riascoltandola oggi, senza la frenesia festivaliera, Fatalmente male svela un’anima molto più decisa di quanto non sia emerso durante il Festival. Ma poco importa davvero: “Ho passato così tanto tempo a non essere compresa in quello che facevo che l’eliminazione non mi ha toccato più di tanto”.
Sul palco, confessa, si sentiva un po’ il fiato corto, ogni tanto aveva delle vampate strane di calore, e sapeva bene il perché: proprio poco prima del Festival ha scoperto di essere incinta.