#MUSICANUOVA: Platonick Dive, Waxfall

Dopo due album a metà tra il post rock e l’elettronica, i toscani Platonick Dive tornano con Waxfall, il primo singolo tratto da Social Habits, il loro terzo album in uscita nei prossimi mesi.
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Il nuovo singolo cattura la transizione stilistica della band nel loro album più ambizioso in cui l’elettronica, i ritmi e i suoni sognanti di chitarre e synth supportano la voce principale per una completa immersione terapeutica.
Waxfall è il naturale ponte tra il nostro vecchio suono ed il nuovo. Puoi sentire le nostre vibrazioni riconoscibili nella prima parte e poi il cambiamento che ti porta in nuove direzioni ” raccontano i Platonick Dive.

BITS-RECE: Maddalena, The Forest. Un respiro sott'acqua

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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Si intitola The Forest, ma le sue atmosfere sembrano scaturire dai fondali marini, o, meglio ancora, dal fondo di un lago.
The Forest è il secondo lavoro di Maddalena Zavatta – in musica solo Maddalena -, e segue di tre anni l’esordio di Electrodream.
Nove tracce sospese tra dreampop ed elettronica che emanano una luce soffusa e subacquea, a tratti densa e opaca.

Synth che ondeggiano sinuosi come steli di alghe, ritmi rarefatti, melodie come raggi di sole filtrati tra rami e superfici vitree.
C’è anche qualche accenno dark, ma più di ogni altra cosa ci sono numerose digressioni malinconiche e sospese che ricordano certe sperimentazioni anni ’80 e ’90 (l’Angelo Badalamenti di Twin Peaks, per fare un esempio), commistioni di ambient e trip hop, da cui spuntano beat incalzanti, mentre le parole cercano di catturare e raccontare il significato della libertà.
Una vera e propria immersione in un ambiente sonoro dai contorni sfumati, riflessi indistinti, luci ed ombre abbracciate e fluttuanti. Ed è come respirare a pieni polmoni sott’acqua.

#MUSICANUOVA: Leo pari, Dirty ti amo

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“Capodanno 2018, Copenaghen, una coppia nell’ascensore di un hotel di lusso, stanno insieme da un botto e stanotte hanno bevuto, e tutto il resto, mi sa che non si amano più. Si scattano un selfie, ma la foto è solo il negativo di quello che erano qualche anno fa. Il momento della verità arriva sempre, per loro è adesso, e se la iniziano a sputare in faccia, lì in quel metro quadro sospeso tra l’anno vecchio e quello nuovo; del resto quando non puoi più costruire, radere tutto al suolo sembra l’unica soluzione. Le parole lasciano in bocca un sapore di acciaio, è una catarsi necessaria, sono nudi uno davanti all’altra e si dicono tutto, proprio tutto. Quando vomiti, poi, ti senti meglio”.

Con il suo elettropop un po’ spietato e un po’ sarcastico, Leo Pari torna a farsi sentire con Dirty ti amo, singolo che anticipa il suo nuovo album.
… tratto da parecchie storie vere…

#MUSICANUOVA: I Giocattoli, Ailoviù

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“Sai cosa c’è? Non mi ricordo…”

Ailoviù è la storia, un po’ ironica, un po’ agrodolce, di una coppia che si è persa. Ailoviù è la storia di amici che hanno osato così tanto da non aver più le forze di ricordare. Ailoviù è il tempo che scorre veloce che ci costringe ad abbandonare il nostro Peter Pan. 
Ailoviù è soprattutto il nuovo singolo della band palermitana Giocattoli. All’insegna dell’elettropop, un nuovo passo verso la pubblicazione dell’album d’esordio, Machepretendi, in arrivo in primavera.

BITS-RECE: Paletti, Super. Una buona filosofia pop

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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La prima volta che ho ascoltato Paletti – ormai quattro o cinque anni fa – mi ha subito colpito la sua capacità di analizzare la realtà con sguardo sempre lucidissimo e con tono disincantato e scanzonato, salvo poi rifilarti momenti di incontaminata e delicatissima emozione con testi di intimità preziosa. Mai però ho notato in lui atteggiamento di chi “la sa lunga” ed è arrivato a spiegartela: piuttosto, quella di Paletti sembrava la voce di un amico, uno di quelli saggi, che non sprecano mai il fiato in ovvietà o egocentrismi, ma sanno darti un loro personale e acuto punto di vista sui piccoli dettagli quotidiani.
Da quel primo momento di scoperta di tempo ne è passato, e nel frattempo il buon Paletti è cambiato, come era naturale e giusto che fosse, guadagnandosi uno spazio sempre un po’ più grande sulle scene del cantautorato di casa nostra.
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Oggi, a tre anni dal precedente Qui e ora, lo ritrovo con il suo terzo album, Super. Un titolo che è un invito a vivere sempre al massimo delle nostre possibilità, prima di tutto per noi stessi.

Quello che appare nelle nuove tracce è un Paletti forse un po’ meno disposto a usare l’ironia e con uno sguardo – sempre a fuoco, beninteso – indirizzato meno sul mondo “degli altri” e più sulle brevi distanze del cuore.
Sì, perché nel nuovo album Paletti parla tanto d’amore. Non quello che va a braccetto con il sole e il cuore, ovviamente, ma quello silenzioso dei gesti di coppia, fino ad arrivare a un pezzo di emozione delicata come Eneide, dedicato al figlio Enea (“ora lo sai quanto è difficile per noi restare in equilibrio e poi chiamarlo vita”).
Paletti canta l’amore 2.0, quello “moderno”, quello dei tempi dei social, dove tutti sembrano così connessi ma sono invece così isolati, dove tutti si dicono liberi e aperti di testa, ricadendo poi nelle ansie e nelle paure ataviche dell’abbandono e del tradimento. Ma anche l’amore crudele, quello per cui siamo disposti ad annullarci, fino alla follia (Pazzo), o quello del brivido portato dal ritorno di un fantasma del passato (Accidenti a te).
Anche in questa nuova prospettiva, l’ironia palettiana emerge comunque con tutta la sua forza in Chat ti amo, in cui la lente dissacrante dell’artista bresciano prende a sfilettate le manie della società social-dipendente, o in La notte è giovane, dove analizza il punto di vista di un trentenne medio al bivio cruciale, e talvolta drammatico, tra giovinezza e maturità, tra le ore piccole dello svago e il più accogliente richiamo di un divano.
Quelli contenuti in Super sono una manciata di estratti di buona filosofia di un cantautore dei giorni nostri, declinati sui linguaggi leggeri dell’elettropop.
Si può cantare di vita e d’amore senza cadere in tragedie, pietismi e banalità. Si può fare per esempio come fa “il Paletti”, che trasforma il pop in piacevole filosofia. Ciò che noi possiamo imparare è che i supereroi non sono di questo mondo, e che dobbiamo accontentarci delle fragilità e delle nostre contraddizioni di uomini.
Proprio come quel Socrates trionfante sulla copertina: lui sì, che nonostante tutto, ha vissuto da “super”.

Il ritorno di Noemi sotto il segno… della luna

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Fin dalla notte dei tempi la luna esercita il suo potere e le sue suggestioni su poeti, scrittori, pittori e, naturalmente, musicisti. Con il suo volto continuamente mutabile, la luna si è fatta silenziosa ascoltatrice di preghiere, desideri, confidenze, maledizioni.

Proprio a lei Noemi dedica il suo ultimo lavoro, La luna appunto, in uscita il 9 febbraio, nei giorni in cui l’artista romana sarà in gara a Sanremo con il brano Non smettere mai di cercarmi, una delle 13 canzoni (di cui 12 inedite) presenti nel disco.
Per Noemi è la quinta volta sul palco dell’Ariston: quest’anno al festival porterà un brano che unisce elettronica e canzone d’autore, “uno slogan da cantare a pieni polmoni”, di cui lei stessa è co-autrice.
L’ispirazione per il titolo dell’album è invece arrivata da Vasco: “Tra i tanti motivi per cui ho scelto questo titolo è perché, come dice Vasco Rossi in Dillo alla luna, mi piace l’idea di poter parlare alla luna, sperando che porti fortuna. E poi anche perché la luna è un po’ diva, proprio come voglio vivere anch’io questo album.”
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La luna esce a due anni da Cuore d’artista, disco pubblicato a ridosso della precedente partecipazione sanremese di Noemi (con La borsa di una donna), ed è un lavoro che mette in luce alcuni suoi aspetti finora poco conosciuti: tra i brani infatti non manca una buona dose di pop elettronico, come già avevano fatto sentire i due singoli pubblicati nei mesi scorsi, Autunno e I miei rimedi (quest’ultima inizialmente destinata a Sanremo nel 2016), ma si scopre anche l’amore dell’artista romana per il country in My Good, Bad And Ugly, pezzo scritto da Matthew Weedon ed Penny Elizabeth Forter e tenuto al segreto fin dai tempi di Made In London. Particolarmente impegnativa dal punto di vista tecnico, per diretta dichiarazione dell’artista, è Love Goodbye, mentre Porcellana cerca di raccontare in musica gli attacchi di panico.
Presente anche una cover di Lucio Dalla, Domani, brano non tra i più noti del cantautore, ma scelto per l’efficacia delle sue immagini (“saremo ancora così lontani, ci annuseremo da lontano come i cani”).
Spazio dato ovviamente anche al blues e al cantautorato, territori su cui Noemi è ormai piuttosto abituata a muoversi: ne sono esempi L’attrazione, firmata da Giuseppe Anastasi e La luna storta, che porta la firma di Tricarico.

Per presentare il nuovo album sono inoltre stati annunciati due speciali appuntamenti live in programma il 27 maggio a Roma (Auditorium Parco della Musica) e il 29 maggio a Milano (Teatro degli Arcimboldi).
I biglietti saranno disponibili online sul sito di TicketOne (www.ticketone.it) dalle ore 11.00 di lunedì 29 gennaio e in tutti i punti vendita autorizzati dal 1 febbraio.

Paletti: il 26 gennaio il nuovo album Super

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Con il suo pop fatto di ironia e lucidissimi sguardi sulla quotidianità umana, Paletti si prepara al ritorno discografico con Super, il nuovo album in uscita il prossimo 26 gennaio.

Ad anticiparlo i singoli La notte è giovane, uscito lo scorso dicembre, e il nuovo Nonostante tutto.
Super segue di tre anni Qui e ora, pubblicato nel 2015 da Sugar.

#MUSICANUOVA: Il pagante, Dress Code (feat. Samuel Heron)

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La Vogue Fashion Night Out e i party di Philipp Plein, Balenciaga, Gucci, Moschino, Stone Island, Off White, party privati. Prendendo di mira le costose ossessioni dei millennials (milanesi in particolare) Il pagante si riaffaccia sulle scene con Dress Code, accompagnato dal rapper Samuel Heron.
“Dress code”, ovvero la regola di stile da seguire per essere ammessi al party, per essere diversi dal resto del mondo, ma alla fine tutti uguali marchiati dai brand.
La cover del singolo rilegge in chiave modaiola Il Bacio, un dipinto da Francesco Hayez nel 1859, simbolo del Romanticismo artistico meneghino.

2640: il ritorno di Francesca Michielin tra esplosioni di lava e un'immersione in mare

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“2600 metros más cerca de las estrellas”, ovvero “2600 metri più vicina alle stelle”.

E’ il motto della città di Bogotà e da queste parole prende avvio il viaggio dell’ultimo album di Francesca Michielin. Sono infatti per l’esattezza 2640 i metri di altitudine a cui sorge la metropoli colombiana, e proprio 2640 è il titolo scelto per il disco in uscita il 12 gennaio.
Colombia, ma anche Bolivia, sono tanti i riferimenti all’universo tropicale presenti nelle tredici nuove canzoni della giovanissima cantante di Bassano del Grappa.
Le anime che si incontrano – anzi, si incastrano – nell’album sono rappresentate visivamente dai tre triangoli visibili sulla copertina: il primo rosso, simbolo del vulcano, ovvero l’urgenza della comunicazione; il secondo azzurro, capovolto, è il mare, ovvero l’ascolto, la percezione; il terzo verde è la montagna, da dove Francesca proviene, ed è simbolo dell’immaginazione, “perché quando arrivi in cima alla montagna vedi il mare, e se non lo vedi lo puoi immaginare”.
Comunicare, ascoltare, immaginare, i tre imperativi di Francesca Michielin per questa nuova era discografica.
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Al centro di tutto c’è il ovviamente il vulcano, con le sue esplosioni, la sua forza, il suo fascino misterioso: non è un caso che proprio Vulcano sia stato il pezzo scelto per inaugurare la nuova era. L’ispirazione è arrivata lo scorso anno, quando Francesca ha terminato il tour del disco precedente e si è ritrovata ai piedi dei colli Euganei per curare un raffreddore. Quei vulcani estinti l’hanno incantata, si è ritrovata a osservarli quasi in ipnotisi, provando a immaginare come dovevano essere quando al loro interno ribolliva la lava.
Lava, come il titolo di un altro brano, il più violento, in inglese, dichiarazione di indipendenza femminile nel segno di un ribaltamento dell’immaginario comune che vorrebbe la donna soggiogata e relegata tra le pareti di casa. L’ispirazione questa volta è arrivata dall’ascolto di Tahiti della cantautrice Bat For Lashes, di certo non uno dei nomi che ci si aspetterebbe di sentire citati come modelli. Ma nonostante la giovane età (22 anni), Francesca Michielin non sembra una che abbia bisogno di essere imboccata.

A scuola, nelle ore di geologia ci hanno poi insegnato che dove oggi c’è una montagna una volta c’era il mare. Ecco allora gli spunti tropicali seminati qua e là e mischiati all’elettronica o all’urban. In Tropicale la spiaggia diventa il luogo del ritrovo, della festa, mentre il mare è la possibilità di evadere, di scappare.
Esala gusti esotici anche in Tapioca, che su un tappeto sonoro che raramente si ascolta nelle produzioni italiane, inserisce nel testo anche versi in ghanese tratti da un canto liturgico di ringraziamento “dal basso verso l’alto”.

Non può infine sfuggire la componente sportiva, lampante in Serie B, pezzo ispirato alla retrocessione del Vicenza, prima vera delusione nella memoria della cantante, e nel conclusivo Alonso: in entrambi i casi, lo spunto serve per sviluppare efficaci metafore su chi si ritrova confinato nelle retrovie pur meritandosi il primo posto e su chi nonostante le sconfitte tira dritto con la stessa passione sanguigna.
A firmare quasi tutti i pezzi è la stessa Michielin, con il decisivo apporto di Calcutta, Cosmo, Dario Faini e Tommaso Paradiso.
2640 si assaggia
2640 si piange
2640 si incazza
2640 si dice all’orecchio
2640 si viaggia
2640 si noleggia
2640 si tifa allo stadio
2640 non sta zitto. Mai
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Ma 2640 è prima di tutto un viaggio, “ma non uno qualsiasi, un viaggio per comunicare quello che si vuole dire anche senza le parole. Oggi è facile fraintendersi: la mia generazione può andare ovunque in un attimo, comunicare con tutti subito, eppure c’è qualcosa che abbiamo perso, e mi sono chiesta cosa”.
Un disco cosmopolita, profumato di tapioca, felafel e bar indiani, dove la famiglia prende il senso di comunità.

“Io sono di qui, ma non sono di qui, ho il cuore sopra una montagna, il mare nella testa e un vulcano pronto a esplodere”.

Al via a marzo il tour nei palazzetti:
16 marzo – Parma (anteprima)
17 marzo – Milano
23 marzo – Torino

24 marzo – Brescia
25 marzo – Bologna
27 marzo – Trento
28 marzo – Roncade (TV)
31 marzo – Catania
5 aprile – Perugia
7 aprile – Maglie (LE)
8 aprile – Modugno (BA)
12 aprile – Roma
14 aprile – Napoli
15 aprile – Firenze

BITS-RECE: Bonnie Li, Plane Crash. Elettronica per nottambuli

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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L’ahabit naturale di Bonnie Li è quello oscuro e freddo di un’elettronica dai contorni ipnotici e distorti.
Le cinque tracce – quattro inediti e un remix – di Plane Crash, ultimo lavoro del duo, mostrano infatti un’anima piuttosto dark, tra pianoforti stregati, sintetizzatori spettrali e linee vocali lamentose, in un genere che fluttua tra un trip hop gotico e un synthpop dal passo lento e sofferente.
Il remix di Escape, firmato dal francese Al’Tarba, aggiunge un senso di claustrofobia e stordimento a un brano già di per sé poco rassicurante, mentre il momento topico del disco arriva con i due pezzi di chiusura, il singolo dal titolo eloquente We Should Go To Sleep As The Birds Are Singing e I Want To Run With The Wolves, litanie ossessive e disturbanti dai battiti sintetici.