BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
The Finding, The Knowing, The Delight.
Da questi tre EP pubblicati durante l’autunno 2017 ha preso vita Finding Knowing Delight, primo lavoro di Francesco Sarcone, musicista, produttore, sound designer, in arte Sarc:o.
Sei brani di elettronica “spaziale”, concepiti per rappresentare il lento ma incessante movimento delle galassie nello spazio.
L’elettronica di Sarc:o procede sospinta da bassi pulsanti e frementi, arricchita da melodie ora leggere, ora epiche, ora marziane, ora inquiete, in un susseguirsi di orizzonti cosmici pacifici, ipnotici e tormentati, incollati a uno scenario notturno.
Nicola Pressi presta la voce in quattro tracce, mentre Veyl, nuova promessa dell’elettronica italiana, veste di atmosfere sinistre Down.
BITS-RECE: Opus 3000, Benevolence. Una fusione di suoni
BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
Che un libro non vada mai giudicato dalla sua copertina ce lo hanno sempre insegnato, ma a volte una copertina sa dare un’idea piuttosto precisa del suo contenuto.
Come in questo caso. Non stiamo parlando di un libro, ma di un disco, ma il concetto è quello. In particolare, stiamo parlando di Benevolence, primo lavoro del progetto Opus 3000.
Sulla copertina compare un’illustrazione astratta, qualcosa di simile a una distesa marina, deformata come uno stendardo steso al vento.
Ecco, la musica degli Opus 3000 è esattamente questo: astratta e fluida, profondamente fluida. Così fluida che permette a due generi di solito remoti come la classica e l’elettronica, di incontrarsi e fondersi in un’unica anima.
Dietro al progetto Opus 3000 si nascondono le menti – e soprattutto l’arte – della pianista Gloria Campaner, del produttore e percussionista Francesco Leali e del violoncellista e bassista Alessandro Branca.
Quello che hanno fatto confluire nel loro primo lavoro è qualcosa di contaminato e puro nello stesso tempo: contaminato perché non si riconosce in nessun genere preciso che non sia il crossover, puro perché sembra essere stato generato con il solo scopo di far scaturire emozioni, che sono quanto di più puro si possa conoscere.
Benevolence è un album diafano e nebbioso, a tratti ruvido, che fa della fluidità la sua forza: i suoni degli strumenti classici sembrano sciogliersi in un mare indistinto di sintetizzatori e distorsioni, lasciando venire a galla di tanto in tanto rilievi di violoncello o di pianoforte, come lievi punte di scogli in una distesa infinita e senza tempo.
Dedicato a chi ama perdersi.
Murmure, il nuovo album di Carlot-ta tra organo, percussioni ed elettronica
Murmure è il suono che l’aria produce quando entra nei polmoni.
In questo disco è il respiro delle canne d’organo, strumento che Carlot-ta ha scelto per comporre questi undici brani, abbandonando per la prima volta il pianoforte.
Registri a volte imponenti, altre intimi e malinconici si alternano tra composizioni solenni e impetuose, ballate romantiche, valse musette, danze macabre, motivetti synth-pop. Percussioni e tessiture elettroniche dettano il tempo.
Il risultato è un canzoniere cupo e barocco, in cui la musica risente delle influenze nord-europee, del cabaret weimariano, del chamber folk, della canzone francese.
Un disco fuori dal tempo che coniuga sonorità arcaiche a una scrittura contemporanea e marcatamente pop.
L’album è in uscita a marzo 2018.
Registrato tra Italia, Svezia e Danimarca, è prodotto da Paul Evans, parte del team del Greenhouse Studio di Reykjavik che annovera tra le sue produzioni lavori di Bjork, Sigur Ros, Damon Albarn, Cocorosie e molti altri.
Per le registrazioni sono stati utilizzati un organo mesotonico di epoca barocca e un organo romantico, entrambi italiani.
Il disco è realizzato grazie al contributo di SIAE, del Micbat e di S’Illumina.
Snailspace, l’elogio della lentezza di Simone Graziano
La lentezza come forma di ribellione.
E’ questa l’idea che anima Snailspace, il nuovo album del pianista Simone Graziano, in uscita il 22 settembre.
La sua quarta fatica discografica deve il titolo a un racconto di Luis Sepúlveda, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, in cui una lumaca di nome Ribelle, dopo essere stata cacciata dal suo gruppo, viaggia alla ricerca del significato della lentezza. In questo modo scopre che grazie al suo muoversi a un tempo diverso da tutti gli altri animali, riesce a vedere un mondo nascosto, più ricco e denso, solitario e silenzioso.
“La lentezza – afferma Simone Graziano – non è riferita alla velocità dei brani, bensì al tempo necessario per crearli. La lumaca aderisce alla terra e, grazie alla lentezza dei suoi movimenti, ne scopre ogni dettaglio. Allo stesso modo, la lentezza creativa fa sì che la musica aderisca a noi stessi, svelandoci una parte che prima non conoscevamo”.
Le tracce di Snailspace godono di una struttura compositiva in continua evoluzione, e molteplici sono i rimandi alla letteratura: da Sepúlveda, all’universo immaginifico di Jorge Louis Borges, passando per Oliver Sacks.
Un racconto musicale racchiuso in uno spazio limitato o nell’attività onirica di una notte. Si parte dall’incipit evocativo di Tblisi, scritto nel conservatorio della capitale georgiana in una gelida notte di dicembre, su un pianoforte che aveva due note rotte (fa diesis e si) ripetute in modo insistente, per passare alla melodia elegiaca di Accident A e all’andamento ipnotico e a tratti isterico della successiva Accident R. Aleph 3, vero e proprio innesto di musica elettronica e jazz, sfocia in una lentissima ballad il cui elemento arcano e misterioso viene ripreso nella traccia successiva Vignastein, dedicata all’eccentrica e poliedrica figura del critico musicale Giuseppe Vigna. Il congedo si ha con Slowbye, concepito in un’afosa sera d’agosto, come un brano essenziale ed elettronico in cui Ribelle non trova sicuramente una sosta ma una nuova consapevolezza.
BITS-RECE: Arcade Fire, Everything Now. Come se gli ABBA facessero indie
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
Se un compito di un artista è quello di sorprendere e cogliere in contropiede, gli Arcade Fire hanno fatto un ottimo lavoro. Parlando dell’ultimo album della band canadese, Everything Now, non c’è infatti recensione che non si soffermi – in maniera più o meno scomposta – sulla virata sonora dei nuovi brani.
Da eroi dell’indie-rock a nuove stelle del dancefloor, questo è il riassunto generale del giudizio della “critica”, dopodiché i pareri si dividono tra quanti inorridiscono come alla vista dell’Anticristo e quanti affermano che non è poi così malaccio. Nessuno o quasi però sembra fare salti di gioia, segno che forse la sterzata è stata un po’ troppo brusca e ardita oltre misura.
In effetti, ciò che colpisce di Everything Now sono le bordate elettroniche che riversa addosso, i tappeti di sintetizzatori, tutta quella valangata di memorie di anni ’70 e ’80 che saltano fuori da ogni accordo senza possibilità di controllo.
Un situazione che si spiega bene se si leggono i crediti del disco, dove alla voce produzione compare anche il nome di Thomas Bagaalter, cioè una delle due metà dei Daft Punk.
Ci sono echi fin troppi spudorati degli ABBA (il paragone lo hanno fatto tutti, ed è in effetti impossibile da ignorare), omaggi alla disco music, melodie ipnotiche di synthpop che sembrano prese in prestito direttamente dall’epoca di Moroder.
Si balla, si canta, e si trova anche il tempo di scherzare un po’ su questa bislacca società tutta concentrata sui social e sull’autopromozione.
Se poi sia stata una scelta davvero così disgraziata non saprei dire: a me basta ascoltare la titletrack (prima e seconda parte) o Put Your Money On Me (il vero pezzone da salvare in playlist) per sapere che questo album è molto più onesto di tanta altra roba seriosamente indie.
BITS-RECE: Andrea Belfi, Ore. Al confine tra suono e battito
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
Si intitola Ore, dove il termine non è il plurale della parola italiana che usiamo per indicare l’unità di misura del tempo, bensì si tratta del termine inglese che indica un materiale grezzo ancora da rifinire e lavorare per trarne qualcosa di pregiato. Un po’ come il celebre marmo di Michelangelo, che possedeva già in sé il capolavoro.
Ore non è un disco di canzoni nel senso più comune, è più da intendere come un percorso individuale che ogni ascoltatore vi può trovare all’interno scavando con la mente, semplicemente lasciandosi andare alle suggestioni dei suoni.
Ecco, i suoni, concetto di fondamentale accezione in un progetto come questo, che vede al centro le percussioni. Niente voci, niente linee melodiche da farsi girare in testa, ma palpiti, rulli, fruscii, tuoni di percussioni e batteria, arricchiti solo dai sintetizzatori.
Cinque tracce di musica che si potrebbe definire avanguardistica, drone, progressiva, minimal, o forse in nessuno di questi modi, perché siam sempre lì, le definizioni contano fino a un certo punto. Se poi stiamo parlando di esperimenti, non contano proprio un cazzo.
Ore è l’ultimo – coraggioso – progetto di Andrea Belfi, percussionista italiano trapiantato da tempo Berlino, noto per le sue performance particolarmente energiche, ricche di improvvisazione e sempre alla ricerca dell’unione tra anima acustica ed elettronica. Un estro che non è sfuggito a Nils Frahm, che ha portato Belfi all’interno della sua band, i Nonkeen.
Quello che ha ricreato in Ore è uno scenario notturno, assolutamente ipnotico, a tratti forse claustrofobico, un lungo tunnel tra battito e suono dentro al quale passano le sensazioni di chi sta ascoltando. Una musica come la ambient, ma molto più caotica, o come la noise, ma molto più lineare.
Uno di quei dischi che riescono a lasciare completamente indifferenti molti e ammaliare ferocemente altri.
#MUSICANUOVA: Daiana Lou, Say Something
Il 16 giugno al Prachtwerk di Berlino, il Music Club gestito da musicisti americani nel cuore di Neukölln, il quartiere più vivace ed internazionale di Berlino, i Daiana Lou hanno presentato il nuovo singolo Say Something.
Un brano ricco delle influenze presenti in ogni angolo della metropoli tedesca, centro della musica elettronica europea, ed è un anello di congiunzione tra la street music e l’elettronica dei club berlinesi.
Un’esortazione a trovare ciò che fa indignare e trasformarlo in una vera e propria rivoluzione costruttiva.
“Il video di Say Something – raccontano Daiana e Lou – è la metafora della nostra vita nella frenetica società odierna. Viviamo in un contesto storico digitale dove siamo tutti imprigionati dietro uno schermo che stabilisce cosa indossare, cosa pensare, cosa imitare, cosa amare e cosa odiare. Il videoclip rappresenta l’atto di ribellione a questo meccanismo, ed esorta a fare della propria vita una rivoluzione per restare principalmente esseri umani”.
Il progetto Daiana Lou nasce nel 2013 dall’unione e dall’amore tra due musicisti, Daiana e Luca, provenienti da esperienze musicali differenti: Luca cresce come chitarrista blues, mentre Daiana è una cantante di scuola R&B e reggae.
Hanno iniziato a suonare con una band completa per circa un anno e mezzo, poi hanno deciso di provare ciò che entrambi più interpretavano come arte: l’attività di artisti di strada. Hanno iniziato a Roma, per poi decidere di testare la piazza tedesca durante una vacanza a Berlino, che in breve tempo è diventata la base della loro attività da buskers.
Lo scorso settembre Alvaro Soler li ha selezionati come una delle tre band della decima edizione di X-Factor.
Hanno deciso di autoeliminarsi durante la quarta puntata esprimendo la loro difficoltà nell’adeguarsi alle dinamiche televisive.
BITS-RECE: Lorde, Melodrama. Sofismi pop di una principessa triste
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
Due elementi hanno segnato la nascita di questo disco: la fine di una storia d’amore e il fatto di essere il secondo album della carriera, che, si sa, si dice essere il più difficile per ogni artista.
In effetti Lorde arrivava da quella botta di successo mondiale che l’aveva fatto conoscere con Royals e l’album d’esordio Pure Heroine: un successo di una portata forse un po’ inaspettata, anche perché aveva appena 18 anni. Come ripartite quindi?
Ci è voluto un po’ di tempo perché la ragazza metabolizzasse tutto e sapesse far fruttare al meglio i due fattori: perché quanti artisti hanno scritto canzoni o interi album sulla fine di una storia? E quanti sono passati dallo scoglio secondo album? Nel primo caso, moltissimi, nel secondo, praticamente tutti.
E allora, come venirne fuori? Con un disco come Melodrama. Dentro, ci è finito di tutto, dal pop all’r’n’b, dall’elettronica ai lenti suonati al pianoforte, e nei contenuti si passa dalla gioia al dolore, come la stessa artista ha riconosciuto: un disco pulsante di luci al neon di caotiche feste in discoteca e i lumicini di momenti riservati solo a sé. I primi due due singoli, Green Light e Liability ne sono un esempio: tanto il primo è ipnotico e vorticoso nelle sue atmosfere quasi da house, tanto il secondo – anche nella reprise – è scarno e vulnerabile. È poi c’è Hard Feelings/Loveless, brano dalla doppia faccia, sunto eloquente degli stati d’animo condensati nel disco.
Un album che probabilmente in molti non si aspettavano così, nelle sue diverse anime umorali e sonore, pulsante e sofferente, con le parole sempre cantate da quella voce così trascinata di peso a cui Lorde ci ha abituati fin dall’inizio, e che in certi casi rischia di diventare proprio il suo limite, incatenandola al ruolo un po’ di principessa depressa e un po’ di maestrina del pop, tipo come Lana Del Rey, ma con più ritmo.
Tutto questo fa comunque di Melodrama un album intrigante, selvaggio ma non ostile, moderatamente aristocratico: un vero e proprio esempio di melodramma moderno diviso in tutte le sue “arie”, i suoi atti e le sue scene. I racconti di vita, amore e disperazione di una ragazza che si è trovata tra le mani un successo molto più grande di lei e ha dovuto trovare il modo di far confluire tutto nella sua musica con ordine, senza farsi travolgere dal fine della storia e dal fantasma del secondo disco, e soprattutto continuando a vivere.
Piuttosto, ciò a cui Lorde deve prestare attenzione è non diventare un’artista-feticcio della nicchia dei “filosofi del pop”, vale a dire i presunti alternativi fighetti, fanatici di suoni cervellotici e per forza alternativi.
Per quello che ha fatto fino a oggi, Lorde sta esattamente sulla linea del crinale, tra il becero mainstream del vasto pubblico e l’attitudine indie: un equilibrio che probabilmente prima o poi perderà favore di uno o dell’altro, quale sarà il tempo a dirlo.
Per quel che mi riguarda, spero solo che non si trasformi nell’ennesima divinità osannata dalla nicchia hipster.
#MUSICANUOVA: Ibeyi, Away Away
Le Ibeyi – ovvero le 22enni gemelle franco-cubane Lisa-Kaindé e Naomi Diaz – lanciano il nuovo singolo Away Away.”
Un brano che rappresenta al meglio il suono unico e multiculturale che le distingue ormai da tempo, una miscela di pop, hip-hop ed elettronica influenzata dal suono tradizionale della cultura e dei canti Yoruba.
Lisa e Naomi vivono a Parigi ma passano molto tempo a Cuba e Londra e raccontano così questa canzone: “Guardando alla follia del mondo, simbolicamente espressa dalle sirene, ci chiediamo se le promesse di un mondo migliore saranno mai mantenute”. In chiusura del pezzo troviamo un canto Yoruba dedicato Orisha Aggayu, una specie di Dio traghettatore che regala la forza.
BITS-RECE: DiMaio, Debut. Spettacoli crossover tra lirica barocca ed elettronica per controtenore
BITS-RECE: DiMaio, “Debut”. Spettacoli crossover tra lirica barocca ed elettronica per controtenore
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
La contaminazione è un elemento che nella musica ha sempre destato la mia curiosità. Parlo ovviamente della contaminazione realizzata per bene, con attenzione, con lucida consapevolezza e una chiara idea di cosa voler creare.
Un interessante caso di musica contaminata l’ho ritrovato recentemente in Debut, l’album che, come si può ben capire, apre le porte alla carriera di Maurizio Di Maio, in arte solo DiMaio.
Si tratta di una contaminazione che corre su doppio binario, quello stilistico e quello temporale: sul primo troviamo un incontro/scontro di lirica ed elettronica, sul secondo si fronteggiano invece il repertorio barocco e gli stimoli sintetici contemporanei provenienti dal Nord Europa.
Ma andiamo con ordine. In quel mondo di cristallo che è la musica lirica esiste una figura forse non molto nota al grande pubblico, ma di assoluto fascino, il controtenore. Un uomo cioè in grado di eseguire partiture nelle tessiture del contralto, del mezzosoprano o addirittura del soprano, vale a dire i tre registri femminili, annullando di fatto in un solo corpo vocalità maschile e femminile.
Nulla a che vedere però con quello che succedeva con i poveri castrati di farinelliana memoria, sventurati giovinetti i cui attributi venivano sacrificati nel sacro nome del canto: il controtenore riesce nell’impresa grazie a doti che possiede per natura, e che naturalmente affina con lo studio.
Come nel caso del nostro DiMaio, sopranista, che dopo una lunga esperienza come corista, si lancia ora – pare su consiglio di Luis Bacalov – nell’arduo repertorio del XVII e XVIII secolo, quello in cui fiorì il gusto barocco, l’epoca di Handel. Repertorio complesso e sicuramente non tra i più conosciuti tra non melomani, se non per qualche singolo episodio.
Il suo progetto però, già molto coraggioso e ambizioso, non si ferma qui, ma va a cercare arrangiamenti inediti, sorprendenti, per un effetto ancora più scenografico: la soluzione è offerta dai sintetizzatori di Dario Faini, aka Dardust, che mette mano alle arie liriche e le immerge in un bagno di elettronica.
Il risultato è affascinante ed elettrizzante: la voce angelica di DiMaio svetta tra le ottave di un pezzo celebre come Lascia ch’io pianga e Ombra mai fù, ma esegue candidamente anche L’Ave Maria Caccini di Vavilov, fino a far visita a Vivaldi in Vedrò con mio diletto, mentre sotto Dardust tesse freddi tappeti di luci al neon.
Uno spettacolo barocco nel significato più vivo del termine. Magia del crossover.