Quando Madonna sfiorò il cielo: vent’anni di Ray Of Light

13043512_f520Sono passati ben vent’anni dalla pubblicazione di Ray Of Light, settimo album della gloriosa discografia di Madonna.
Vent’anni che però vengono completamente annullati dall’ascolto di un disco che risulta ancora attuale e innovativo oggi come nel febbraio del 1998.
Ray Of Light rappresenta infatti per la Ciccone la vetta massima di sperimentalismo e ricerca sonora, il punto più alto di maturità artistica di una star arrivata ormai al punto di non ritorno di iconicità globale.
Madonna lo sapeva bene, e per aprire una nuova era discografica doveva mettere in atto un’ennesima trasformazione: dopo aver fatto sanguinare gli occhi agli ambienti ecclesiastici con Like A Prayer, aver sconvolto la morale puritana d’America con le vertigini peccaminose di Erotica e aver messo in pratica le seduzioni di Bedtime Stories, serviva un colpo di scena altrettanto potente.

La nuova metamorfosi la portò sulla scia di un misticismo e di una spiritualità tanto evidenti quanto plastificati, a uso e consumo del pubblico.
La grande seduttrice lasciò il posto a un’asceta profana, una dea orientale, una presenza evanescente circondata da aura sacrale, una gheiscia emancipata, una vergine dal volto angelico con boccoli degni di Botticelli, una vestale a lutto.
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Demiurgo chiamato a dare un suono alla nuova pelle di Madonna, il produttore britannico William Orbit, che si rese artefice di una vera e propria magia.
In pochissimi altri casi, se non addirittura mai fino a quel momento, la musica di Madonna si era presentata così cesellata e dettagliata come in Ray Of Light: senza mai uscire davvero dalla grande bolla del pop, il disco ha mescolato elettronica, ambient, new age e techno, passando dagli spettrali arrangiamenti di archi di Frozen al delirio dance della titletrack, fino all’ossatura essenziale di Little Star e Mer Girl. E ancora le suggestioni ipnotiche di Skin e Sky Fits Heaven, o i contorni rarefatti di Drowned World/Substitute For love.
Preziosissimi poi i campionamenti, tra elementi orchestrali e inserti di folklore al confine della world music, mentre i testi svelavano messaggi di spiritualità e si aprivano in preghiere laiche.

MV5BNjQ1ZGY3NjMtZmFjMC00YmE5LWJmZmItOTY5YTFlMTVlNjJhXkEyXkFqcGdeQXVyMjQ0NzE0MQ@@._V1_SY1000_CR0,0,679,1000_AL_Un’unione sapientissima di tradizione e innovazione, oriente (dall’India all’Asia estrema) e occidente, in un progetto che – come sempre quando si parla di Madonna – rendeva inseparabili musica e immagine.
Non c’è da stupirsi che all’indomani dell’uscita del video di Frozen, scelta come prima e potentissima anticipazione dell’album, teenager di mezzo mondo corsero a farsi decorare le mani con l’hennè, anche se probabilmente inconsapevoli dell’origine e del significato di quei simboli: si trattava dell’ennesima moda portata nella cultura popolare da Madonna.
A quarant’anni, ormai saldamente seduta nel più alto cielo dell’Olimpo pop, Madonna compiva un nuovo, efficace e azzardato atto di trasformismo, lavando i peccati del passato con un misticismo che si sarebbe rivelato come una geniale e silenziosa provocazione. Per capirlo sarebbe bastato aspettare poco più di un anno, quando Veronica Ciccone si ripresentò al pubblico musicalmente ancora supportata da Orbit, ma armata di ben altre intenzioni nel video di Beautiful Stranger, archiviando definitivamente uno dei suoi più riusciti e fortunati capitoli discografici.
Ma a distanza di vent’anni Ray Of Light è ancora circondato dal suo alone intatto di inviolabilità.
Per dischi così esiste solo una definizione: capolavoro.

#MUSICANUOVA: Platonick Dive, Waxfall

Dopo due album a metà tra il post rock e l’elettronica, i toscani Platonick Dive tornano con Waxfall, il primo singolo tratto da Social Habits, il loro terzo album in uscita nei prossimi mesi.
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Il nuovo singolo cattura la transizione stilistica della band nel loro album più ambizioso in cui l’elettronica, i ritmi e i suoni sognanti di chitarre e synth supportano la voce principale per una completa immersione terapeutica.
Waxfall è il naturale ponte tra il nostro vecchio suono ed il nuovo. Puoi sentire le nostre vibrazioni riconoscibili nella prima parte e poi il cambiamento che ti porta in nuove direzioni ” raccontano i Platonick Dive.

Miroir: interpolazioni audio-visive nel nuovo video di ELEM

clip_image014Il progetto ELEM nasce nel 2012 durante una serata d’improvvisazione elettronica nata per caso presso il centro di produzione d’arte e cultura di Napoli L’asilo. Vi prendono parte il musicista, produttore e sound designer e storico membro dei 99 posse Marco Messina, il pianista e compositore Fabrizio Elvetico e l’artista visiva Loredana Antonelli.
Alla base del progetto vi è una forte propensione all’improvvisazione e alla sperimentazione multimediale attraverso una fusione tra linguaggi audio e video, che si riversa anche nelle esibizioni dal vivo.

Dopo la prima e omonima release del 2015, il trio ELEM è da poco tornato con un nuovo lavoro, Godere Operaio, il cui titolo prende spunto dall’assonanza con Potere operaio, storico gruppo della sinistra extraparlamentare.
L’espressione fu pronunciata per la prima volta negli anni ’70 in una conferenza da Gandalf il Viola, esponente degli “Indiani Metropolitani”.
Frammenti di quella conferenza sono stati impiegati da ELEM nel brano omonimo, per poi diventare anche il titolo dell’intero nuovo album.
Ma all’interno del disco appaiono altre voci dal forte contenuto politico, come quelle di Emma Goldman e di Jello Biafra.

Primo estratto del disco è Miroir, il cui video vede la regia di Loredana Antonelli e prende spunto da Tout va bien, film girato nel 1972 da Jean-Luc Godard e Jean-Pierre Gorin all’epoca membri del Gruppo Dziga Vertov.  Un film grottesco e surreale che racconta del rapporto tra pubblico e privato, tipico dell’esperienza umana e politica degli anni ’70. Il video oscilla tra dicotomie formali e sostanziali come dentro e fuori, odio e amore, muro e finestra, digitale e analogico. I volti dei protagonisti si smaterializzano, accomunati da un destino di indebolimento identitario sia nel pubblico, sia nel privato. L’identità assume le sembianze di una folla senza volto dove sesso, potere, amore, si mescolano al senso di disfatta, alla sensazione di allarme e pericolo. Alla paura per il futuro si mescola tragicamente la voglia di fare festa, dimenticare la sconfitta storica per restare vivi.

#MUSICANUOVA: Sophie, Faceshopping

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Torna l’elettronica abrasiva di Sophie.

Dopo It’s Ok To Cry e Ponyboy, ecco un nuovo capitolo tratto dall’album d’esordio di uno dei nomi più intriganti e provocatori dell’underground internazionale.
Il nuovo singolo si intitola Faceshopping e vede la collaborazione di Cecile Believe.
Un dedalo claustrofico di beat disturbanti e distorti, interrotti solo da un bridge vagamente melodico.

Coma_Cose: nuove date live per il duo di Fausto Lama e California

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Coma_Cose
è l’inedito duo formato da Fausto Lama e California.

Dopo le date live dei mesi scorsi e la pubblicazione dell’EP Inverno Ticinese, i due musicisti saranno di nuovo in tour tra febbraio e aprile.
Uno spettacolo eclettico, una miscela da cantare e ballare tra elettronica, urban e cantautorato grazie anche alla formula MCs + batterista, dove il calore del groove sarà l’elemento chiave per farsi trasportare nel mood crepuscolare del duo milanese.
Queste le prossime date confermate:
2 febbraio Urban – Perugia
17 febbraio Tender Club – Firenze
24 febbraio Mi Ami Ora – Milano
9 marzo Retronouveau – Messina
10 marzo I Candelai – Palermo
16 marzo Latteria Molloy – Brescia
17 marzo I’M Lab – Abano Terme (PD)
2 aprile Eremo Club – Molfetta (BA)
14 aprile Vidia – Cesena
27 aprile Arci Pulp – Parma

Planet 9: il ritorno discografico di Rose McGowan

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Negli ultimi mesi il nome di Rose McGowan è più volte riapparso sui giornali e in TV in seguito allo scandalo-Weinstein che ha travolto Hollywood lo scorso autunno: quella dell’attrice è stata infatti una delle voci che si sono levate più alte nel denunciare le molestie subite dal produttore, una vicenda personale che Rose ha scelto di raccontare anche in Brave, la biografia in uscita proprio in questi giorni.

Rose ha però trovato anche il tempo di tornare alla musica e il 14 febbraio pubblicherà Planet 9, il suo primo album.
Nel 2015 era uscito il singolo RM486, accompagnato da un video a dir poco visionario, ma da allora sul fronte musicale tutto si era fermato.
Un primo, sibillino assaggio del disco era già stato offerto in un video girato in auto e pubblicato alcune settimane fa sul profilo Instagram, in cui le immagini di Rose erano accompagnate dalle note di Sirene.

Dalle anteprime già disponibili in streaming, sembrerebbe di capire che i nuovi brani seguono la scia tra elettronica e synthpop già sperimentata con RM486.
Ad anticipare l’album è Now You’re Here.
http://www.deezer.com/track/456291472?utm_source=deezer&utm_content=track-456291472&utm_term=1452564122_1517497127&utm_medium=web

Higher Living: tornano le sperimentazioni elettroniche di LIM

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Higher Living
è il secondo lavoro Sophia Gallotti, alias L I M.

Già anticipato dai singoli YSK e Rushing Guy, e arrivato dopo l’esordio solista nel 2016 con l’EP Comet, il nuovo lavoro vede ancora l’artista collaborare con Riva alla ricerca di nuove sperimentazioni tra elettronica, ambient e “vapor disco”.
Se Comet portava l’ascoltatore in un mondo di atmosfere eteree e sognanti, Higher Living cambia almeno in parte i suoi panorami e offre episodi oscuri e dai beat sommessi, muri sonori fluidi, distorsioni vocali.

BITS-RECE: Bonnie Li, Plane Crash. Elettronica per nottambuli

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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L’ahabit naturale di Bonnie Li è quello oscuro e freddo di un’elettronica dai contorni ipnotici e distorti.
Le cinque tracce – quattro inediti e un remix – di Plane Crash, ultimo lavoro del duo, mostrano infatti un’anima piuttosto dark, tra pianoforti stregati, sintetizzatori spettrali e linee vocali lamentose, in un genere che fluttua tra un trip hop gotico e un synthpop dal passo lento e sofferente.
Il remix di Escape, firmato dal francese Al’Tarba, aggiunge un senso di claustrofobia e stordimento a un brano già di per sé poco rassicurante, mentre il momento topico del disco arriva con i due pezzi di chiusura, il singolo dal titolo eloquente We Should Go To Sleep As The Birds Are Singing e I Want To Run With The Wolves, litanie ossessive e disturbanti dai battiti sintetici. 

BITS-RECE: Kelela, Take Me Apart. Seduzioni di r'n'b

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Forse il suo nome non vi dice ancora niente, ma questa ragazza va tenta d’occhio, perché si candida a diventare una delle più promettenti stelle nel futuro dell’r’n’b.
Stiamo parlando di Kelela, americana con sangue etiope nelle vene e idee molto chiare in testa.
Attiva sulle scena già da qualche anno, dopo alcuni EP che hanno attirato l’attenzione del pubblico e dopo essere stata coinvolta in progetti importanti come quello di Solange, lo scorso ottobre ha pubblicato il suo album di debutto, Take Me Apart, una combinazione perfetta di alternative r’n’b ed elettronica.
Per capirci, Kelela è figlia di quell’r’n’b che anni fa ha reso grande una come Janet Jackson, solo che appartiene almeno a una generazione successiva, e il suo suono compie un balzo in avanti con produzioni più azzardate in favore di una fusione di stili ammaliante e un po’ più lontana dal panorama mainstream (su tutti, Arca, genio contemporaneo dell’elettronica).
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Quella di Kelela è una seduzione sonora fatta di bassi felpati, spirali di sintetizzatori e linee melodiche flessuose e una voce ipnotica come poche altre.
Nei testi la ragazza ci va giù abbastanza dura, nel segno di un femminismo sfrontato in cui ben poco testa del romanticismo e si afferma la figura di una donna non solo indipendente, non solo delusa dalle promesse dell’amore, ma anche fieramente spudorata, lei pantera dalla pelle d’ebano che si muove nell’industria discografica.

Se con Lemonade Beyoncé ha gridato al mondo il suo manifesto femminista con toni qualche volta bellicosi, con Take Me Apart Kelela lo sussurra, ci incanta e ci fa cadere nella sua tela fatale.

BITS-RECE: Enrico Ruggeri, As If. Umano inumano

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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Sei tracce, tutte senza titolo, indicate solo dal numero progressivo di una tacchetta. Così si presenta il contenuto di As If, ultimo lavoro di Enrico Ruggeri, musicista sperimentale bergamasco che – vale la pena sottolinearlo – nulla ha a che fare con il più celebre cantautore milanese.
Attivo già da diversi anni, Ruggeri è sempre andato alla ricerca di sperimentazioni sonore nel vasto e fluido territorio dell’ambient per trarne creazioni in grado di suggestionare l’ascoltatore. E dell’ambient ha in genere scelto le declinazioni più oscure, dark, disturbanti, talvolta noise.
As If si pone proprio su questa linea e rappresenta la sintesi di un progetto, mai portato a termine, intitolato “30 dischi in 30 giorni”, che prevedeva la pubblicazione di 30 diversi album in altrettante giornate: un’operazione provocatoria e quasi parodistica della smania di pubblicazione della discografia odierna, soprattutto mainstream.
A fare da apripista al disco è una traccia in cui una voce – elemento inedito per i lavori di Ruggeri, di solito estranei alla dimensione umana – recita una poesia anonima yugoslava tradotta in inglese che inizia proprio con le parole “As If”, da cui il titolo del lavoro.
Seguono quindi altre cinque tracce fatte di synth analogici e manipolazioni digitali, tempi dilatati, talvolta dilatatissimi, orizzonti inquieti e inquietanti, onde sonore distorte.
Suoni che confluiscono in rumori e rumori tramutati in suoni, echi lontani, evanescenze, increspature. 
Un disco che arriva anche a suggello di tutto quanto è stato fatto negli anni precedenti, e in cui l’artista ha voluto inserire a modo suo la speranza.
Parte integrante del lavoro è l’immagine di copertina, realizzata da Giordana Parizzi, con un corpo e un viso deformati dall’esposizione allo scanner. L’esatta convergenza di umano e inumano, natura e manipolazione.
http://mhfs.bandcamp.com/album/as-if-2