BITS-RECE: Maddalena, The Forest. Un respiro sott'acqua

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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Si intitola The Forest, ma le sue atmosfere sembrano scaturire dai fondali marini, o, meglio ancora, dal fondo di un lago.
The Forest è il secondo lavoro di Maddalena Zavatta – in musica solo Maddalena -, e segue di tre anni l’esordio di Electrodream.
Nove tracce sospese tra dreampop ed elettronica che emanano una luce soffusa e subacquea, a tratti densa e opaca.

Synth che ondeggiano sinuosi come steli di alghe, ritmi rarefatti, melodie come raggi di sole filtrati tra rami e superfici vitree.
C’è anche qualche accenno dark, ma più di ogni altra cosa ci sono numerose digressioni malinconiche e sospese che ricordano certe sperimentazioni anni ’80 e ’90 (l’Angelo Badalamenti di Twin Peaks, per fare un esempio), commistioni di ambient e trip hop, da cui spuntano beat incalzanti, mentre le parole cercano di catturare e raccontare il significato della libertà.
Una vera e propria immersione in un ambiente sonoro dai contorni sfumati, riflessi indistinti, luci ed ombre abbracciate e fluttuanti. Ed è come respirare a pieni polmoni sott’acqua.

BITS-RECE: Rosemary & Garlic, Rosemary & Garlic. Un incanto (quasi) perfetto

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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Benvenuti nella città incantata. 
Potrebbe aprirsi così il nuovo e omonimo album di Rosemary & Garlic. Dieci brani leggerissimi, diafani, pitturati con colori tenui e diluiti, come in un quadro impressionista – e non a caso l’Ottocento è un periodo artistico e letterario molto amato da Anne Van Den Hoogen, cantante e musicista del duo di base olandese. Non esistono contorni reali, ma le tinte si fondono una nell’altra. (A proposito: la copertina è opera di Gregory Euclide, già apprezzato da musicisti come Bon Iver).
L’universo che si apre alle orecchie dell’ascoltatore è quello di un dream-pop fatato e pacifico, illuminato da rarefatta quiete paradisiaca.  
Una superficie sonora appena increspata da arpeggi acustici, trilli, echi e tessiture di percussioni così impalpabili da assomigliare allo sbattere d’ali di una farfalla; e anche quando le acque sembrano volersi agitare un po’ di più, non spira davvero mai aria minacciosa di tempesta. Semmai, ad alternarsi all’incanto è una certa malinconia.
Tutto sempre accompagnato dai voli eterei del canto.
Rosemary & Garlic promotiefoto's. Photo by Melissa Scharroo, Capribee.
Proprio nel suo eccessivo candore risiede però anche la debolezza di questo disco, a lungo andare troppo statico nella sua tensione alla perfezione. E le emozioni si diluiscono un po’ troppo.

BITS-RECE: Emmecosta, Velour EP. Velluto scandinavo

BITS-RECE: radiografia emozionale di un fisco in una manciata di bit.
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Positano e Göteborg. L’ultimo lavoro degli Emmecosta si muove lungo questa traiettoria a senso unico, in un percorso lungo quattro brani, quelli di Velour, ultimo EP della band italiana ma ormai svedese di base.
Tenui ambientazioni di synth-pop e suggestioni sognanti fanno da padrone in questo lavoro che sembra respirare la tipica quiete di una mattinata nordica, ai confini di una grande foresta o sulle sponde di lago nebbioso.
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Se i caldi elementi mediterranei emergono come riflessi di malinconia, l’anima del gruppo è nutrita soprattutto dallo spirito del nord, è lì che vive ed è lì che si muove a suo agio.
Il gruppo spiega il significato di Velour come “la sensazione di desiderio incrollabile per un posto dove non siamo mai stati… una voglia di terra lontana o di una profonda sensazione di “nostalgia” per un posto che non abbiamo mai visto… Attraversiamo una strana sensazione di disorientamento, qualcosa di magico visto da lontano.”
Da dizionario invece, il velour è un tessuto felpato, simile al velluto. Ecco, la musica degli Emmecosta è esattamente questo.

BITS-RECE: Chrysta Bell, We Dissolve. Anche gli alieni fanno pop?

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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La prima volta che l’ha vista esibirsi, a David Lynch è apparsa come la più bella aliena che avesse potuto immaginare, tanto che nel 2011 ci ha fatto un album insieme, This Train, in cui affrontavano gli orizzonti dell’electro-blues.
Adesso però Chrysta Bell ha fatto da sola e ha pubblicato il suo primo vero album da solista, We Dissolve.
Ora, io non so esattamente che musica facciano e ascoltino gli alieni lassù tra le galassie, ma posso dire che quella di Chrysta Bell è elegantissima, raffinata, senza essere mai superba. Un pop sognante e affusolato, foderato di velluto dai colori notturni.

Ci sono elementi elettronici, classici, blues, jazz, anche rock, tutti però lasciati scorrere sotto la superficie di melodie sornione e degne di una diva quale la signora pare essere. Non c’è ovviamente il pop facile facile, non ci sono pezzi “radiofonici” (che brutta parola!), ma non siamo neanche nell’universo dell’indie (altra brutta parola…) più prepotente.
A tratti il disco scintilla di chitarre, a tratti si fa rarefatto e più ipnotico, a tratti si scioglie in arrangiamenti orchestrali, mentre la voce della Bell non perde per un attimo la classe austera che probabilmente ha folgorato Lynch.
A dispetto del titolo, il singolo Gravity – piazzato in chiusura – è probabilmente il momento di maggiore slancio e forse il più ricco di echi del passato.
Il pop di lusso non è destinato solo alle élite. Ci voleva un’aliena per un’aliena per farcelo capire?

BITS-RECE: Charlotte Bridge, Charlotte Bridge EP

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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L’esordio di Charlotte Bridge porta dritti al centro di una nuvola, o al centro di una foresta immersa nella nebbia di un crepuscolo di novembre. Tutto è vago, indistinto, morbido, spesso malinconico nelle cinque tracce che danno vita all’omonimo primo EP di questa italiana trapiantata in Lussemburgo.
Il mondo di Charlotte – che all’anagrafe è Stefania – è ricoperto da un dreampop soave, in cui l’elettronica mostra il suo volto più dolce, arricchita qua e là da un po’ di folk.
Tutto è rarefatto, candido, onirico, come le luce del sole filtrata dalla foschia, i ritmi si fondono come gocce di pioggia sulle foglie, cadenzati come lampi apparsi all’orizzonte, mentre la voce racconta di voglia di cambiare, di felicità e abbattimento, e di una vita che non chiede altro di lanciarsi sull’infinito, fino all’incantevole conclusione di Deadline.
È tutto bellissimo.

#MUSICANUOVA: Anna Of The North, Oslo

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Un brano electro/synth/dreampop, come preferite chiamarlo, che condensa in sé l’atmosfera gelata dell’inverno e il calore di una casa. Anna Of The North – duo scandinavo formato da Anna Lotterud e Brady Daniell-Smith – hanno cercato di mettere tutto questo in Oslo, il loro nuovo singolo.

Una canzone nata due inverni fa dalla suggestione di una fotografa della capitale norvegese, perché Anna a Oslo non è mai stata, e che ha tutto il suono di una lettera d’amore alla città.
Se l’inverno avesse un suono, probabilmente sarebbe molto simile a questo…