“Non sono un teen idol”: Emis Killa dà il via alla sua Terza Stagione

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Non fatevi ingannare dalla copertina
. Quello sfondo rosa dietro a lui vestito da pugile non serve a dare contrasto tra – mettiamo – la durezza dei testi e l’easy listening della musica. Anche perché in questo album di easy listening ce n’è ben poco.

No, quel color pastello, così come il super liquidator di una delle foto interne al booklet doveva essere un richiamo a un certo immaginario, quello a cui si rifà Cult, il singolo di quest’estate: doveva essere questo il tema attorno cui far ruotare l’intero disco, che infatti proprio così doveva intitolarsi, con i richiami agli anni ’90, la nostalgia per un decennio “in cui si è inventato tutto, mentre adesso il ritmo è rallentato e si continua a lavorare per migliorare le stesse cose. Oggi si tende ad addormentare l’intelligenza, si agevola la scimmia, non c’è lungimiranza, non si fa più scouting: penso che siamo nel periodo peggiore della natura umana”.

Poi il progetto è diventato Terza stagione. Quasi come una saga televisiva, il terzo capitolo discografico del rapper milanese arriva dritto come un pugno in faccia, sicuramente inaspettato.

In questi ultimi anni di grande fregola generale per l’hip hop, siamo infatti stati spesso abituati a vedere il rap sui palchi nazional popolari e in ogni radio e ci siamo convinti che in fondo non fosse altro che la nuova forma del cantautorato. Che in parte è vero, soprattutto per ciò che riguarda i messaggi contenuti nei testi, ma abbiamo forse perso per strada il dettaglio che l’hip hop parte dal buio, dal grigio delle periferie delle città, dalle situazioni più dure, ed è quindi per sua natura uno dei generi meno pettinati. Accanto a rapper che scalano le classifiche con hit da ombrellone, strizzando l’occhio ai ragazzini, c’è – vivissima – una parte del mondo hip hop che porta ancora addosso vestiti scomodi.

Ora, senza voler innescare inutili lotte intestine, ci eravamo un po’ convinti – compreso il sottoscritto – che uno come Emis Killa potesse stare tranquillamente accanto a uno come Fedez: lo avevamo creduto quando sono esplosi entrambi nel 2013, lo avevamo creduto ancora di più quando li abbiamo visti uno a X Factor e l’altro a The Voice, ci eravamo cascati quando uno duettava con la Michielin e l’altro ci proponeva il para-inno mondiale Maracanà. Pop travestito da hip hop, insomma. Lo credevamo. Ci abbiamo creduto fino a quest’estate, quando Emis Killa è tornato con Cult, che aveva tutta l’aria di essere un altro tormentone in rime.

Ma il il rap è fatto di zone di colore e di coni d’ombra, e in Terza stagione lo si capisce al volo. 

A fronte di una copertina color confetto e fatti salvi un paio di brani, per il resto Emis Killa ci ha portato un album durissimo, dai suoni freddi e con i testi abrasivi. Già Non era vero lo faceva intuire, poi è arrivato Dal Basso, ed è stato chiarissimo. Qui la voglia di sorridere ai lustrini proprio non c’e, e se c’è è ben mascherata dietro a testi in cui il filtro dell’autocensura è stato completamente eliminato. I riferimenti alla periferia, al “blocco”, alla “vita di prima” non si contano, e hanno tutto l’aspetto di essere sinceri.

E quindi come si concilia il rapper di questo album con il giudice di The Voice? Beh, a quanto pare sono due facce dello stesso prisma, che hanno convissuto da sempre, ma che forse è stato il pubblico a voler separare. Tra i brani che più fanno strabuzzare gli occhi, Su di lei, praticamente un rapporto sessuale descritto in presa diretta: “All’inizio si era quasi pensato di non metterlo nel disco, mi avevano anche detto che era brutto. Sono perfettamente consapevole che una canzone così mi porterà delle critiche, soprattutto dai genitori dei ragazzi che mi ascoltano, ma io non voglio apparire migliore di quello che sono. Un pezzo come questo l’avevo già fatto anni fa, si intitolava Sexy line, ma lo conoscono in pochi e quando lo proponevo nei live vedevo l’imbarazzo sui volti delle mamme e de papà. Credo però che sia giusto che tutto il pubblico sappia chi sono e cosa faccio, non sono un teen idol, non sono Benji & Fede, se vuoi ascoltarmi devi conoscermi”.

Al di là di questo, Terza stagione è comunque un album generosissimo, che nelle sue 17 tracce (per la versione standard) affronta momenti e atmosfere molto diversi, trattando temi come il cambio di prospettive (Non è facile, una botta sonora da pelle d’oca, forse il pezzo più bello del disco), l’alcolismo (Jack) e il femminicidio (3 messaggi in segreteria).

Di tutto rispetto e numerosi gli ospiti: Neffa, Jake La Furia, Coex, Fabri Fibra, Maruego, Giso e Jami. “Non è facile collaborare con gli altri rapper, e in generale è difficile trovare le collaborazioni: per questo album ho dovuto escludere un pezzo proprio perché non ho trovato una cantante che volesse farlo. Ma questo è un problema che dura da anni: ai tempi di L’erba cattiva, avevo proposto a Nina Zilli, con cui ho bel rapporto di amicizia, il duetto per Parole di ghiaccio, ma il suo manager ha preferito non farlo”.
Emis KillaSu tutti, due sono i fili rossi: da una parte, come si diceva, il rimpianto per gli anni ’90 e la delusione nel vedere le nuove generazioni spente e demotivate, perse tra i messaggi delle chat e ormai orfane delle ginocchia sbucciate in strada, di qualche sano schiaffone e del corteggiamento vero, dall’altra l’appartenenza al mondo delle periferie, nonostante l’arrivo della fama.
Ma come è cambiata in questi tre anni la vita di Emis Killa? “I vantaggi ci sono stati, inutile negarlo, ma credo di non essermi pettinato, non mi sono raffinato rispetto a prima: mi vesto con lo stesso stile cafone, solo che adesso i vestiti sono più belli e costano di più. La popolarità ha però anche aspetti negativi: prima di tutto ci sono più pressioni, responsabilità e ritmi più serrati nel lavoro, che sono lontani dal concetto di arte, e poi oggi so di essere molto più esposto alle critiche, vengo attaccato più facilmente e il mio temperamento mi ha spesso portato a reagire. Ho dovuto imparare a moderarmi, mordermi la lingua e se necessario passare dalla parte del torto, perché quando sei così esposto ogni tuo comportamento viene amplificato. Continuo a frequentare i vecchi amici, esco con loro, magari non nei locali più noti, ma da quel punto di vista la mia vita non è cambiata. C’è chi dice che mi sono montato la testa e non saluto più quando passo per strada: la verità è che sono persone che non salutavo neanche prima, solo che adesso hanno il pretesto per parlare. Se c’è un aspetto in cui forse mi sento cambiato, è l’intolleranza, oggi ho un po’ di pazienza in meno”.