“Ora che non ho più te”. Il ritorno synth-pop di Cesare Cremonini. Nel 2025 negli stadi
“Ora che non ho più te è una canzone reale. L’ho scelta come apripista perché ha rappresentato una svolta dal punto di vista della produzione musicale e un volta pagina nella mia vita. Non è un ricordo che voglio ritorni, è un’esperienza che deve diventare biografia, tornando libera. Credo sia importante abbandonare le cose nel momento in cui ti è permesso, è inutile chiudere una relazione, un’amicizia, un rapporto di lavoro, qualunque pezzo della tua vita, prima del dovuto, prima che sia il momento. Esiste un passato nella canzone, esiste un amore finito, ma esiste anche una nuova vita da affrontare per me e per chi era con me. “Ora che non ho più te non riposo mai”. Non c’è stato niente di più vero per me. Non servono metafore, quando non riposi più, quando non riesci più a dormire. Poi la nuova musica uscendo ti veste di nuovo, tutto all’improvviso cambia. Sei padrone, per alcuni secondi, del tuo destino.”
A due anni dall’ultimo tour e dall’ultimo album, Cesare Cremonini torna con un nuovo singolo, anticipazione di un nuovo album, e una nuova serie di concerti negli stadi.
Il pezzo scelto per il gran ritorno è Ora che non ho più te, un brano synth-pop scritto dallo stesso Cremonini e Davide Petrella, che mostra una nuova evoluzione del percorso artistico del cantautore bolognese. Quasi un ponte che collega idealmente Bologna, con l’eredità di Dalla e Carboni, all’America, con le sonorità di The Weeknd.
Il testo è un dialogo con il proprio passato, alla ricerca di una redenzione di fronte alla fine di una relazione.
“Ora che non ho più te è il sipario che si apre su un progetto fatto di tante scenografie che svelerò canzone dopo canzone. In questo brano c’è tutta la voglia di tornare a parlare un linguaggio più reale, delle cose che vivo, senza nascondermi. Sto attaccato alla vita: lavoro, viaggio, conosco, mi butto nelle esperienze. Anche le scelte musicali rispecchiano questo atteggiamento, è un brano che vuole farti cantare, urlare, ballare con i piedi per terra”.
Sul sito di Universal Music Italia è disponibile in pre-order il 45 giri del singolo in una speciale edizione limitata in vinile colorato.
Link per il pre-order: https://shorturl.at/Lo3Ux
Ad accompagnare il nuovo singolo, un video diretto da Enea Colombi girato in Friuli, nella zona del Magredi del Cellina.
Per il grande ritorno Cesare Cremonini è stato ritratto da due importanti nomi della fotografia internazionale Luigi & Iango, che hanno immortalato l’artista italiano nei loro studi di New York a fine agosto.
Oltre al nuovo progetto discografico, Cesare Cremonini si prepara anche a tornare live con CREMONINI LIVE25.
Queste le date:
8 giugno LIGNANO 15 giugno MILANO 19 giugno BOLOGNA 20 giugno BOLOGNA 24 giugno NAPOLI 28 giugno MESSINA 3 luglio BARI 8 luglio PADOVA 12 luglio TORINO 17 luglio ROMA
A partire dalle ore 10:00 di giovedì 26 settembre, i biglietti saranno disponibili per gli utenti iscritti a My Live Nation. Per accedere alla presale basterà registrarsi gratuitamente su livenation.it/cremonini
A prima vista Giorgio Gaber e Cesare Cremonini sembrerebbero avere in comune solo la professione di cantautore.
Basta però approfondire un po’ la conoscenza dell’opera di entrambi per capire che i fili che li legano sono numerosi. L’occasione per farsene un’idea è arrivata nel pomeriggio di sabato 27 aprile al Teatro Strehler di Milano, quando l’artista bolognese ha chiacchierato con Marinella Venegoni nell’ambito della rassegna Milano per Gaber, giunta quest’anno alla dodicesima edizione.
“Purtroppo non ho avuto la fortuna di vedere Gaber dal vivo, e me ne vergogno: io e lui siamo molto diversi, perché io parlo alle masse, ho suonato anche a San Siro, invece Gaber aveva scelto la nicchia e considerava il pubblico come un insieme di singoli individui. Gaber parlava all’uomo, e per questo trasformava ogni sua canzone in una canzone politica. Gaber mi ha fatto capire che anche la musica leggera può fare analisi”.
Il legame tra “il Signor G” è iniziato quando Cremonini aveva tra i 23, 24 anni, appena dopo il successo stordente avuto con i Lunapop: “Quando hai un successo così non ti rendi più conto di niente, ti senti ubriaco. Gaber è stato uno dei punti di riferimento che mi sono serviti quando ho rimesso i piedi a terra. Da giovane non ho mai avuto un padre artistico, appartenevo a una famiglia della buona borghesia: ho studiato pianoforte da quando avevo 6 anni, ma mi serviva solo per fare bella figura la domenica quando i colleghi medici di mio padre venivano a casa nostra e mio padre mi chiedeva di suonare qualcosa per loro. Questo modo di concepire la musica è proprio quello che Gaber criticava”.
Parlando del “Signor G”, Cremonini non risparmia definizioni impegnative, come quella di “dio greco”, verso il quale egli si pone come un discepolo, e come tale “posso commettere anche degli errori, tra cui suonare a San Siro”. Ovviamente scherza Cremonini, ma paradossalmente è stato proprio sul palco dello stadio Meazza che la lezione di Gaber si è rivelata più utile, insieme e a quella di Freddie Mercury, di cui porta anche un ritratto tatuato sul braccio: “Pur essendo due artisti molto diversi, ho imparato molto da entrambi ed entrambi hanno qualcosa in comune nel modo di stare sul palco. In tutti e due c’è teatralità, come nel gesto dell’inchino. Sono i miei due angeli custodi, a San Siro è stato come averli uno sulla spalla destra e uno su quella sinistra. Gaber è la mia entità sorvegliante, so che mi guarda sempre“.
Non mancano anche aneddoti particolari: “Nel periodo in cui ho scoperto Gaber, lo facevo ascoltare anche alle ragazze che conoscevo. Dopo aver fatto l’amore mettevo sempre la musica di Gaber, anche per due ore di seguito, con il risultato che dopo un po’ si stancavano e non le rivedevo più. L’avevo già raccontato in passato, e mi rendo conto di non aver fatto una buona pubblicità a Gaber, per cui ne approfitto per chiedere scusa a sua figlia Dalia. Però era il modo di dimostrare il mio amore per lui: preferivo la sua musica alle ragazze!”.
“Di Gaber amo soprattutto le canzoni ‘orgasmiche’, quelle cioè che partono dal piccolo e piano piano si allargano sempre di più, per arrivare a tematiche universali. Anni fa, quando ho fatto il tour nei teatri, in scaletta avevo messo L’orgia, un brano di incredibile attualità, che potrebbe essere stato scritto oggi”. Alla domanda poi se nella sua discografia ci possa essere qualche canzone particolarmente “gaberiana”, la risposta di Cremonini è interessante: “Alcune sì, perché ho portato avanti alcune analisi personali. Per esempio Nessuno Vuole Essere Robin: parla di una coppia, in cui uno dei due inizia a trattare il proprio cane come un essere umano solo per non parlare con l’altro. Quando è uscita non sapevo come sarebbe stata presa dal pubblico, non sapevo come l’avrebbero considerata le radio, ma ero convinto che poteva creare un contatto diretto con le persone. Quella canzone è il “ti capisco” in grado di creare empatia”.
Nelle scorse settimane Cesare Cremonini ha tagliato un importante traguardo per la sua carriera portando per la prima volta la sua musica negli stadi di Milano, Roma e Bologna. Ora la data del 20 giugno allo stadio San Siro di Milano, che ha visto la partecipazione di 55mila persone, diventa uno speciale televisivo: Cesare Cremonini: una notte a San Siro andrà infatti in onda il prossimo 17 luglio su Rai2 in prima serata e in simulcast su Rai Radio2.
A questo link è possibile vedere le immagini della serata (foto di Luca Marenda).
Hanno fatto idealmente da colonna sonora al viaggio della coppia degli #Spostati durante l’ultima edizione diPechino Express, l’adventure game di Rai2 giunto quest’anno alla quinta edizione. I REMIDA, band pop-rock della scena indipendente modenese, hanno infatti raccolto l’invito di un amico e hanno realizzatoGli #Spostati, un brano dedicato proprio a Tina Cipollari e Simone Di Matteo, da molti considerati i vincitori morali del programma. Un brano vivace, dalle sonorità latin e con un testo colorato come i personaggi di cui parla. Un progetto che la band considera come un ritorno al passato e una felice parentesi nel suo cammino musicale, in futuro diretto verso territori più elettronici, come spiega Davide Ognibene, cantante del gruppo. Perché arrivati a un certo punto, non si può continuare a fare quello che il mercato vorrebbe da te, ma bisogna seguire musica che ti faccia venire i brividi.
Come, quando e perché i REMIDA hanno deciso di dedicare una canzone agli Spostati? Partiamo proprio dall’inizio: è nato tutto quest’estate da un’idea di Simone Pozzati, un autore con cui avevo già lavorato in passato e che lavorerà anche ad alcuni progetti futuri della band. Mi ha detto che una coppia di suoi carissimi amici stava per partire per un’avventura e voleva dare una musica a un testo che aveva scritto per loro. Io, con il classico mood da musicista che spesso mi contraddistingue, quando ho scoperto chi erano e di quale avventura si trattava, ho accantonato la cosa. Poi durante un giorno di pausa del tour ho riletto il testo e ho visto che in effetti aveva delle immagini molto divertenti, era assortito tanto quanto lo è poi stata la coppia. La melodia mi è quindi uscita quasi da sola, a Simone è piaciuta e noi REMIDA l’abbiamo incisa, prendendola con grande leggerezza, come un gioco. Quindi tu non conoscevi Tina e Simone Di Matteo? Esatto. Ci siamo conosciuti personalmente e professionalmente solo in seguito: ci hanno manifestato un grande apprezzamento per il brano e per noi è stato un motivo di orgoglio. I tuoi dubbi iniziali sono spariti? Come dico sempre, lo snobismo da musicisti andrebbe cancellato, ma non è facile, soprattutto oggi che l’ambiente televisivo è sempre più legato a quello musicale. Una vicinanza che paradossalmente porta molti artisti ad assumere atteggiamenti di chiusura, anche se in fondo stiamo facendo la stessa cosa, spettacolo. È un atteggiamento che ogni tanto riconosco in me, ma di cui non mi vanto assolutamente. Come va considerato questo brano all’interno del percorso musicale dei REMIDA? C’è un imprinting musicale completamente diverso: come band, negli ultimi due anni abbiamo cercato di fare quello che il mercato intorno a noi chiedeva, ma adesso abbiamo tagliato il traguardo dei 30 anni e non possiamo più permetterci di continuare a seguire questi meccanismi. Abbiamo scelto di fare quello che ci va, e già quest’estate con il singolo Luce delle stelle abbiamo intrapreso una strada con molta più elettronica, un sound internazionale che si rifà un po’ a One Republic e Coldplay, sempre in italiano. Con Gli Spostati abbiamo ripreso quel suono un po’ latino con cui abbiamo iniziato, e ci ha fatto quindi piacere realizzarlo.
Un nuovo corso per il futuro quindi? Stiamo lavorando a un nuovo disco che uscirà forse l’anno prossimo e c’è già l’idea per il prossimo singolo: si intitolerà DeLorean, come la celebre automobile, e il testo farà fare un tuffo nel passato. Tutto il progetto sarà elettropop, con filo di rock. La storia dei REMIDA è partita ormai dieci anni fa: come hai visto cambiare il panorama musicale in questo periodo? Quando abbiamo iniziato, l’indie era davvero indie e nasceva dalla volontà di proporre qualcosa di diverso. Oggi l’indie è quasi più pop del pop, non c’è più ricerca: per carità, nulla di male, tutti lavorano e lo fanno per ottenere risultati, ma è evidente che oggi gli artisti ragionano molto pensando più a quello che può piacere all’esterno più che a se stessi. Per sfondare pare che si debba per forza fare un talent, che altro non è che un karaoke amplificato in cui ti impongono pure l’inedito, gli uffici stampa sembrano decidere per te quali brani far uscire, la radio hanno pochissima libertà di movimento, insomma tutto è piuttosto standardizzato. Fino a sei, sette anni nel circuito underground si trovavano ancora artisti che proponevano cose diverse, oggi lo riesce a fare solo qualcuno che si fa strada attraverso il web: non mi riferisco però al web alla maniera di Benji e Fede, ma al lavoro di artisti come Calcutta, Ermal Meta, Marta sui tubi, tutto quel panorama che in questi anni s è mosso sul web e ha fatto sentire qualcosa di bello. Mai nessuna tentazione di fare un talent? Sarei ipocrita a dire di no: come tutti i treni, abbiamo provato a prendere anche quello, senza però concretizzare niente. Non voglio giustificare il fatto di non essere mai stati presi, ma non eravamo davvero convinti e quando ci veniva chiesto dove ci sentivamo più fuori luogo, la nostra risposta era “qui”, il che ci escludeva direttamente dai giochi. Probabilmente non siamo il prodotto più adatto per quel mondo, abbiamo idee molto chiare su quello che vogliamo e non vogliamo fare: anni fa, quando dovevamo fare le selezioni per X Factor, il nostro vecchio produttore ci ha chiesto se riuscivamo a immaginarci Ligabue che cantava cover di Ramazzotti. Ecco, quella riflessione mi ha fatto capire tanto. Ma allora perché uno come Manuel Agnelli ha scelto di metterci la faccia come giudice? Per lui c’è convenienza: prima ho fatto un po’ di demagogia, ma non escludo che se fossi al posto forse accetterei anch’io di partecipare. La mia critica è verso il sistema che regge quei programmi e probabilmente lui ha trovato il modo giusto per starci. D’altronde, nessuno fa questo mestiere per suonare in cantina, tutti vogliamo arrivare al maggior pubblico possibile. Inoltre, gli Afterhours sono partiti dall’underground, ma con gli anni sono diventati la band più popolare di quel settore, i più pop dell’indie, non sono certo diventati famosi con X Factor. Dopo più di vent’anni di attività, per loro può essere un modo di trovare professionalmente nuove strade.
Con chi ti piacerebbe lavorare tra gli artisti italiani e stranieri? Tra gli italiani sarebbe una bella lotta: soprattutto però, Ligabue ha una bellissima penna, è vero in quello che fa, e poi Cesare Cremonini, che ultimamente ci ha incantati. Poi, come dicevo, c’è tutta una serie di artisti che apprezziamo molto, da Calcutta ai Marta sui tubi, i Tre allegri ragazzi morti, I ministri… A livello internazionale, un nome su tutti è quello dei Coldplay. Una curiosità: perché REMIDA? È nato da un insieme di tre note di uno dei nostri primi pezzi, re, mi e do, ma suonava male, così abbiamo cambiato il finale è l’abbiamo scritto in maiuscolo e tutto attaccato, pensando che nessuno lo avrebbe ricollegato al personaggio mitologico, invece è la prima cosa che ci chiedono. Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione? Domanda “marzulliana”, perché ribellione può voler dire tutto e nulla. Per me, vuol dire riuscire a tirar fuori la vera natura senza cadere negli estremismi, e vale in tutto, musica, politica, vita quotidiana. La ribellione, quella vera, richiede intelligenza: non serve mettersi a strillare per far sentire le proprie ragioni, ma la rivoluzione va portata nel silenzio. Purtroppo, è il contrario di quello che sta accadendo oggi, con tutta quella “cagnara” che c’è lì fuori a cominciare al mondo politico.