Presentato alMusic Awards all’Arena di Verona, DJ di M****, è il nuovo singolo de Lo Stato Sociale.
Oltre un anno dopo Primati, la band bolognese torna con un nuovo brano arricchito dalla presenza di Arisa e M¥SS KETA, in una collaborazione inedita e variegata dove l’ironia gioca la parte del leone.
“Per noi è impossibile non provare a fare qualcosa di nuovo! Così, quando ci siamo accorti che DJ di M** poteva essere il pezzo adatto per quest’estate, abbiamo pensato di cantarlo insieme a due artiste molto diverse tra loro. Arisa l’abbiamo chiamata per insegnarci a cantare: volevamo una voce femminile incredibile – finalmente! – per il ritornello. Mentre con M¥SS KETAabbiamo aggiunto una grande dose di sensualità ed ironia al tutto. Ci siamo divertiti a fare questo esperimento e speriamo che si senta!”
La produzione artistica del brano è di Fabio Gargiulo, già produttore del Una vita in vacanza. Insieme a lui ha collaborato Congorock, dj e beatmaker internazionale che ha collaborato con artisti come Rihanna, Steve Aoki e Sean Paul. DJ di M**** racconta una storia d’amore destinata a non essere. Un incontro fra due persone destinato a durare solamente fino a quando il DJ metterà i dischi o l’alba interromperà la festa in spiaggia. È il racconto di quello che non sarà, narrato con l’ironia che contraddistingue Lo Stato Sociale. Il brano mescola il reggae e l’elettronica creando una dialogo fra la voce di Arisa nel ritornello e quella dei ragazzi nelle strofe.
Realizzato da Davide Spina e Matteo Bombarda, scritto dai ragazzi, il videoclip è stato girato a Fuerteventura, e ritrae una ragazza nuda su uno skateboard che durante il brano si riveste proprio come cantato dalla band nella canzone. Sullo sfondo, sparpagliati fra i paesaggi vulcanici, e ingigantiti per sembrare montagne, troviamo i 5 “regaz” con Arisa e M¥SS KETA anch’essi completamenti…. nudi e pixelati.
“In questo clip abbiamo voluto cambiare il nostro modo di concepire il visivo in relazione alla musica, creando un contrasto tra la forza estetica delle immagini e la nostra presenza surreale e naturale al tempo stesso, come elementi del paesaggio. La protagonista si riveste seguendo le parole del testo mentre va in skate lungo una strada desertica, invece noi, nudi e con i nostri difetti, ci poniamo in contrasto ai classici “modelli”, proprio come il brano gioca con l’idea di un amore caduco e a tempo determinato, specchio di un mondo in cui l’esagerazione e il trovarsi schiacciati in estremi si ripercuote nelle vite sentimentali.”
Lo Stato Sociale, questa settimana, è tornato ad abbracciare i suoi fan con due dj set a Milano e Bologna. L’ultima festa sarà a Roma il 15 Giugno. Nel dj set la band alternerà alcuni dei suoi brani storici a classici della musica elettronica, dance e hip hop. Ci saranno ospiti a sorpresa, rivisitazioni di vecchi classici della band e come da tradizione, tante tante birrette.
Non il superfavorito Ultimo, e nemmeno Il Volo. Non Irama, non Cristicchi e nemmeno l’impegnato Silvestri, ma Mahmood. L’outsider arrivato a Sanremo non per scelta di Baglioni, ma di diritto per aver vinto Sanremo Giovani lo scorso dicembre ha sbaragliato la concorrenza e ribaltato ogni pronostico, aggiudicandosi la vittoria della sessantanovesima edizione del Festival con Soldi.
Solo fino a un paio di giorni fa ci avrebbero scommesso in pochissimi, e invece l’impossibile è accaduto.
Quella di Mahmood è stata un’ascesa lunga e tutta in sordina: persino ancora dopo il duetto con Gue Pequeno di venerdì sera (quasi) nessuno aveva capito la reale portata del brano: un pezzo r’n’b con tanto di inserti orientaleggianti e alcuni versi in arabo, interpretato da un ragazzo di origini italo-egiziane che fa rimare ramadan con champagne. Una vittoria politica secondo alcuni, che ci vedono un segnale di ribellione verso la deriva razzista e xenofoba presa negli ultimi mesi dal Governo: difficile dire se sia stata davvero questa la spinta che ha permesso a Soldi di scalare la classifica, ma di certo si può dire che Mahmood non partisse favorito. Ancora semisconosciuto al grande pubblico, nonostante avesse già calcato il palco dell’Ariston nel 2016 tra le Nuove proposte, nonostante faccia musica già da qualche anno e nonostante ci sia la sua firma su alcuni dei successi degli ultimi mesi. Eppure è successo. Battuto Ultimo, che conferma così la regola secondo chi entra papa esce cardinale (e stando ai racconti dalla sala stampa pare non averla presa benissimo…), e battuti i tre ragazzoni del Volo, che in una seconda vittoria forse un po’ ci speravano.
Quest’anno invece il voto delle giurie del Festival ha dato spazio al “nuovo”, sotto tutti i punti di vista: o meglio, a far vincere Mahmood è stato soprattutto il voto delle due giurie presenti a Sanremo – la giuria d’onore e la giuria dei giornalisti – , perché al televoto Soldi ha raccolto poco più del 14% di preferenze.
Il più grande dispiacere di questo epilogo festivaliero è stato però il quarto posto di Loredana Bertè, che a questo festival teneva in maniera particolare – ha detto che sarebbe stata la sua ultima partecipazione – e lo aveva portato avanti egregiamente, conquistandosi un’ondata di amore dal pubblico. Il pezzo c’era, lei pure. Almeno il podio sembrava finalmente assicurato, e invece ci è arrivata a un soffio, ironia del destino. E dispiace che i giornalisti non le abbiano assegnato neanche il Premio della Critica, intitolato a sua sorella Mia Martini: un riconoscimento che lei voleva conquistare e che si sarebbe meritata, non fosse altro come segno di riscatto per tutte le delusioni che il Festival le ha riservato negli anni. E invece niente, Sanremo non si è smentito neanche stavolta e ha rifilato a Loredana l’ennesimo schiaffo. Dispiace proprio tanto. Per la cronaca, il Premio della Critica lo ha vinto Daniele Silvestri. L’unica consolazione è stata la rivolta della platea dell’Ariston all’annuncio del suo quarto posto: il Leone e la Palma non ci sono, ma l’amore della gente sì, quello c’è tutto, e speriamo che Loredana cambi idea e decida di tornare al Festival nei prossimi anni.
Si potrà invece dire soddisfatto Achille Lauro, che torna a casa dopo essersi guadagnato un’onorevolissima nona posizione: probabilmente non ha mai pensato di poter vincere, ma di certo è stato tra quelli che da questa partecipazione ci hanno guadagnato di più in termini di visibilità, oltre al fatto di aver offerto una bellissima performance e aver portato un po’ di allucinata follia sul palco di Sanremo. Stesso discorso per gli Zen Circus di Appino, che nella classifica finale si sono fermati un po’ più giù, ma pazienza: così tanto indie al Festival non si era mai sentito.
Una parola infine per Arisa: nella sua ultima esibizione era in evidente difficoltà, forse per una febbre che l’ha debilitata e le ha provocato qualche défaillance vocale. Con uno sforzo enorme è arrivata fino alla fine, sciogliendosi poi tra le lacrime: la delusione si sarà fatta sentire, ma Arisa ha dato una lezione di grande professionalità.
Cala quindi il sipario sulla sessantanovesima edizione del Festival di Sanremo, una delle più noiose a mia memoria: una conduzione piatta, che non ha messo in giusto rilievo i talenti schierati sul palco; serate interminabili, con le esibizioni degli artisti che a lungo andare si perdevano tra la stanchezza del pubblico e le lunghissime ospitate. Baglioni pare si sia già reso conto che 24 canzoni sono troppe: se mai l’anno prossimo toccherà ancora a lui, ha dichiarato che le porterà a 20. Infine, musicalmente parlando, su 24 brani in gara, non è ancora ben chiaro quanti ne sopravviveranno nella memoria del pubblico anche dopo il ciclone del Festival: la sensazione è di aver ascoltato tante potenzialità male espresse con pochi momenti di vero stupore.
E poi, una volta per tutte, basta con gli ospiti italiani sul palco del festival. Perché è troppo comodo snobbare la gara di Sanremo e poi prestarsi alla ben più comoda marchetta di un quarto d’ora e ciao. Baglioni non ha voluto gli stranieri (ah, i tempi di Madonna ed Elton John!!) e ha privilegiato gli ospiti italiani: forse il motivo è puramente economico, forse è una ruffianata per acchiappare qualche spettatore in più. Sta di fatto che se sei italiano non vai al festival da superospite, sia che tu “super” lo sia davvero, sia che tu sia solo l’ultimo idolo del teenager. Se sei un artista italiano, e dici di amare tanto Sanremo (oh, ce ne fosse uno che dica di essere andato lì solo per promozione!), fai il favore di metterti in gara con i tuoi colleghi, ti fai una settimana di iper-sbattimento e rischi anche di finire ultimo nella classifica. Ma almeno ne esci pulito e un po’ più onesto.
Non succederà mai, ma chissà: dopotutto, la vittoria di Mahmood ci dice che tutto può succedere, e allora io anche in questo cambiamento un po’ ci spero.
Il brano è inserito nella colonna sonora del nuovo film di Max Croci, La verità, vi spiego, sull’amore, nelle sale italiane il prossimo 30 marzo, con Ambra Angiolini, Carolina Crescentini, Massimo Poggio, Edoardo Pesce, Giuliana De Sio e Pia Engleberth e un cameo della stessa Arisa. Il brano è disponibile anche in 45 giri (che contiene inoltre il brano in versione acustica) in edizione limitata e autografata, in uscita venerdì 14 aprile e acquistabile in esclusiva su www.musicfirst.it (già disponibile in preorder).
Su YouTube è già pesente un video con un estratto della canzone e alcune immagini del film.
Da gennaio inoltre Arisa è protagonista di “Voce 2017”, il nuovo tour teatrale che sta toccando le principali città italiane: a febbraio ha fatto tappa a Ferrara, Firenze, Bologna, Roma e a marzo sarà a Carpi in provincia di Modena (17/03 – Teatro Comunale), Varese (18/03 – Teatro di Varese), Torino (23/03 – Teatro Colosseo),Aosta (24/03 Palais Saint-Vincent), Borgosesia in provincia di Vercelli (25/03 – Teatro Pro Loco), per poi chiudere a Milano il 27 marzo (Teatro Linear Ciak).
Raccogliere un anno in 30 canzoni non è facile, per niente, ma è tanto divertente, anche solo per il gusto di giocare a fare il piccolo musicologo. Ho scelto quindi diriassumere il 2016 – il mio 2016 – in 30 brani perché in 20 mi sarebbe stato ancora più difficile: troppi i ricordi legati a queste canzoni per lasciarne fuori alcune. E anzi, avrei fatto una classifica da 40 o 50 posti, se non fossi sicuro che a chi avrebbe letto sarebbe cresciuta una barba più lunga di quella di Gandalf.
In questa personalissima lista costruita in ordine crescente ci sono le canzoni che più di tutte hanno riempito le mie giornate in questi ultimi 12 mesi: canzoni su cui ho pianto, riso, riflettuto, goduto, amato, odiato, letteralmente e metaforicamente, sono le canzoni che mi hanno lasciato qualcosa in più delle altre, e proprio questo è stato uno dei criteri con cui ho scelto di tenerle dentro escludendone altre: queste mi hanno dato qualcosa che è andato oltre il semplice piacere dell’ascolto. L’altra regola che ho seguito è stata quella di includere solo brani usciti per la prima volta quest’anno: per il resto, non ho guardato al genere, al successo che hanno ottenuto o alla fama dell’artista.
Ho cercato di restare – pur nella soggettività della classifica – più obiettivo possibile, ma con buona probabilità, se dovessi stendere quest’elenco domani, l’ordine sarebbe diverso, soprattutto per le ultime posizioni.
In fondo, è un gioco… Stay Rebel, Forever!
30. Brooke Candy, Changes 29. Daphne Guinness, The Long Now
28. L’Orso, Chiudi gli occhi siamo nello spazio
27. Giorgia, Oronero
26. Ghost feat. Ornella Vanoni, Hai una vita ancora
25. Emis Killa feat. Jake La Furia, Non è facile
24. Stadio, Un giorno mi dirai
23. Elisa, No Hero
22. Alessandra Amoroso, Vivere a colori
21. Boosta, 1993
20. Ligabue, Made in Italy
19. Noemi, Fammi respirare da tuoi occhi
18. Alessandra Amoroso, Comunque andare
17. Loredana Errore, Luce infinita
16. Honor, You And My Nightmares
15. Lady Gaga, Grigio Girls
14. Loredana Errore, Bugiardo destino
13. Paola Iezzi, LoveNight
12. Annalisa, Se avessi un cuore
11. Patty Pravo, Cieli immensi
10. Francesco Guasti, Universo L’anno scorso Guasti si è visto sfumare la partecipazione a Sanremo a due passi dal traguardo, e pare si sia arrabbiato tantissimo. Quest’anno ci ha riprovato e ce l’ha fatta con questa canzone intensa e “scalcitante”. Inutile dire che tiferò per lui.
9. Elodie, Un’altra vita Un brano ruvido, che se la vede con il più grande rimpianto che almeno una volta ha attraversato la mente di ognuno di noi.
8. Patty Pravo, Se Samuel Romano dei Subsonica ha regalato a Patty Pravo la gemma più preziosa e splendente di Eccomi, il suo ultimo album. Una dichiarazione d’amore potente e fragile nello stesso tempo, pura come un ghiacciaio in una mattina di marzo.
7. Loredana Bertè, È andata così Ligabue ha firmato il brano del gran ritorno in scena della Bertè: pur mostrando chiarissima l’impronta del suo autore, la canzone veste alla perfezione l’anima di Loredana, al punto che può essere considerata il sincero testamento artistico di un’interprete che non si è mai risparmiata, salendo ogni volta “a cuore nudo” sul palco.
6. Raphael Gualazzi, L’estate di John Wayne In genere Gualazzi non rientra tra i miei ascolti, ma questa sua parentesi da ombrellone venata di vintage quest’estate mi ha fatto innamorare.
5. Tricarico feat. Arisa, Una cantante di musica leggera Due mondi, ognuno a suo modo folle, si sono incontrati dando vita a una bomba elettropop: prendi un testo semplicissimo e brillante, mettilo su una melodia appiccicosa come marmellata e chiama a duettare una delle voci più limpide che ci siamo in Italia. Un dialogo ideale tra un ascoltatore e la sua diva.
4. Anna Oxa, L’America non c’è È la canzone-outsider. Dopo anni di silenzio, la Oxa è tornata con un brano di grande modernità e sperimentazione: mi è bastato un ascolto per capire che non me lo sarei tolto dalle orecchie. Al momento in cui scrivo, il brano non è ancora stato ufficialmente pubblicato: l’unica traccia che se ne ha risale a questa primavera, durante una puntata di Amici.
(Piccola nota fuoricampo: provate ad ascoltare il testo alla luce dell’elezione di Trump…)
3. Soltanto, Tutta la vita davanti È il brano di apertura di Skye, secondo album del busker milanese Soltanto. Una toccante canzone-manifesto di un’esistenza, riassunto di una filosofia di vita, che lascia traspirare libertà da ogni singola nota.
2. Thegiornalisti, Completamente Una musica leggerissima per un testo di parole pesanti come macigni. Un pezzo di puro pop che odora di umano, amore e lenzuola ancora calde; un’ammissione di sconfitta da parte di un uomo che non teme di mettersi a nudo mostrando tutta la sua vulnerabilità.
1. Noemi, Amen La perfetta incarnazione di ciò che di solito chiedo alla musica, e probabilmente il più bel pezzo della discografia di Noemi fino a oggi: melodia da brivido alla schiena e testo che ti gratta l’anima. Una solenne preghiera laica in cui si parla di un cuore sanguinante, preso a calci, un’anima rotolata nel fango, stanca di camminare, si chiede scusa all’amore e al Signore e si chiede finalmente pace. Meraviglia.
La playlist dei brani è disponibile a questo link.
Parlare con Francesco Tricarico, anzi solo Tricarico, è come trovarsi davanti a un’oasi di pace.
In un mondo in cui sembra vincere sempre e solo che grida di più e dove il chiacchiericcio regna imperante, lui mantiene una calma invidiabile. Non però con l’aria snob di chi non vuole mischiarsi al popolo, ma semplicemente con l’atteggiamento di chi vive il proprio lavoro con il solo scopo di creare qualcosa di bello, gratuitamente bello, senza secondi fini e senza fastidiose ambizioni arriviste. Nel suo caso, musica e pittura. Il suo nuovo album, Da chi non te lo aspetti, arriva a tre anni dal precedente Invulnerabile, e in 10 canzoni (più una bonus) tira fuori il lato più semplice, giocoso e innocente della musica. Per rendersene conto, basta ascoltare pezzi come La bolla, la spassosissima Il motivetto, Brillerà, insieme ad Ale e Franz, ma anche Una cantante di musica leggera, una sorta di dialogo elettropop tra un uomo e la sua musa.
Da chi non te lo aspetti: perché questo titolo? È partito tutto da un’esposizione dei miei quadri che si è tenuta la scorsa primavera al Jamaica di Milano: dovevo scegliere un titolo e insieme al curatore della mostra, Alberto Maria Martini, abbiamo pensato proprio a questo, perché in quel momento c’era una persona che aveva fatto una cosa per noi inaspettata. Da lì è arrivata poi l’idea per la canzone: ho voluto però dare un’accezione positiva a questa espressione, perché da chi non ci aspettiamo può arrivarci una pugnalata alle spalle, invece io dico che da chi non ci aspettiamo può arrivare un bacio. Dipende comunque da noi permettere alle cose belle di arrivare e fare in modo che gli eventi spiacevoli siamo solo dei momenti, dei passaggi per arrivare a qualcosa di buono. Una lettura in positivo dettata da ottimismo verso il genere umano? Io sono molto ottimista verso il genere umano! L’ottimismo deve essere alla base, anche se oggi sembra esserci un pensiero che porta a vedere con sfiducia il prossimo. Ma penso che si supererà. Definisci questo disco come un concept album: ma in un’epoca in cui tutto è personalizzabile con le playlist, che senso ha fare un concept album? Oggi tutti siamo impegnati con i selfie, siamo protagonisti dei film che noi stessi ci costruiamo sui social, abbiamo sempre lo sguardo sui telefonini: sono tutti così distratti, che se fossi un borseggiatore, sarei felicissimo! Tutto è rimandato alla parte visiva, al punto che se non avessimo gli occhi, sembra che non potremmo gioire di nulla. Dovremmo invece ricominciare ad essere più presenti rispetto a quello che ci accede intorno, accorgerci della bellezza delle cose e delle persone. Se io e chi ha lavorato con me siamo riusciti a suscitare una curiosità dell’ascoltatore per tutta la durata del disco, abbiamo fatto davvero un lavoro eccezionale! Per questo penso che oggi più che mai fare un concept abbia senso, perché vai spezzare un meccanismo. Poi non importa in che ordine si ascolteranno i brani, può piacere anche una canzone sola, l’importante è aver portato al centro la musica. Il duetto con Arisa in Una cantante di musica leggera è davvero ben riuscito: come siete arrivati a collaborare? Io e Gennaro Romano, coautore del brano, eravamo a Napoli a un concorso di cantautrici dedicato a Bianca D’Aponte. Ci siamo trovati davanti a tante canzoni elaborare, sofisticate e guardandoci in faccia abbiamo pensato invece che ci voleva una canzone leggera, che usasse immagini semplici per descrivere un fiore, la primavera… Abbiamo quindi iniziato a giocare un po’ con le immagini, lo spumante frizzante, un giorno al mare, insomma, situazioni condivisibili da tutti, e ci abbiamo aggiunto il ritornello in cui questa cantante risponde. Per il duetto ho pensato ad Arisa perché c’è stima reciproca, è brillante, coraggiosa, una grande interprete, e in passato mi aveva proposto di lavorare insieme.
Tra la tua pittura e la tua musica c’è qualche legame? Mi piace l’idea di vedere una tela bianca che si riempie che poi resta lì, visibile, invece la musica non esiste: abbiamo imparato a registrarla e inciderla, ma un tempo non era così, il musicista la eseguiva e poi tutto finiva, non restava nulla. Forse si completano: una resta, l’altra se ne va ma poi può ritornare. Mi sono anche reso conto che più una cosa è bella, più c’è disinteresse verso tutto il resto, è come una magia, l’opera vive solo per sé. Guardando i tuoi quadri si notano degli elementi ricorrenti: il labirinto, il melograno… Hanno un significato particolare? Dal labirinto si deve uscire, e per farlo serve razionalità, tecnica, ordine. Il labirinto serve a riportare ordine in mezzo al caos, anche se può diventare claustrofobico. Il melograno invece mi piace perché simboleggia la fortuna con i suoi chicchi rossi, come una sorpresa da scoprire. In ogni opera comunque lascio entrare tutto quello che mi passa per la testa.
A differenza di tanti tuoi colleghi, non sembri molto presente sui social: è un mezzo non che non ti attira? Non capisco questa abitudine di far vedere tutto di sé. Li uso come personaggio pubblico, per lavoro, ma perché devo far vedere casa mia, quello che cucino o le foto di mio figlio? Queste sono cose che di solito si fanno vedere agli amici: quindi significa che se tu mi fai vedere che hai cucinato un piatto di pasta, io posso venire da te e farmela offrire? Se ti citofono e ti chiedo di salire, tu giustamente come minimo chiami la polizia, no? È allora che senso ha? Dobbiamo farci gli anticorpi per un buon utilizzo di questi mezzi, non li sappiamo ancora usare. Un po’ come chi va ai concerti e li segue da dietro lo schermo del telefono: non ci si rende conto che si sta perdendo un momento, lo si sta vivendo con un filtro, e tutto per paura di dimenticarlo in futuro. Dove ti piacerebbe portare queste canzoni dal vivo? Mi piacerebbe suonare in posti molto diversi e indipendentemente dalle uscite discografiche. Negli ultimi tre anni, anche se non avevo dischi in arrivo, non ho mai smesso di suonare dal vivo e vorrei continuare a farlo, perché è questo il vero valore della musica, creare un momento che non si ripeterà più. Per i prossimi concerti stiamo studiando i luoghi. Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione? Ribellione è cercare di capire tutti i meccanismi che viviamo. Se sai come stanno le cose, sai anche come cambiarle. La ribellione nasce da un malessere, dalla presa di coscienza che qualcosa non va. A quel punto puoi manifestare la tua rabbia, ma diventi subito riconoscibile e vieni bloccato, oppure puoi cercare di capire e continuare a fare quello che vuoi senza essere notato. La chiave di tutto sta nella sapienza: se conosci, puoi disinnescare tutto quello che vuoi.
Folle quanto basta. Il video di Una notte ancora è forse tra le cose più sorprendenti che Arisa ci abbia regalato fino ad oggi. Peccato per quel maledettissimo product placement che toglie ogni fascino alle situazioni….