BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit. Federica Carta è nata nel 1999, quindi ha 19 anni, quasi la metà di chi sta scrivendo questo pezzo. E dei suoi 19 anni ha la spontaneità e l’entusiasmo strabordante. L’anno scorso indossava ancora la divisa della scuola di Amici, da cui sarebbe uscita con la medaglia di bronzo, e quest’anno – dopo un primo disco e un programma in TV – è già tornata con un nuovo album di inediti, Molto più di un film. Un anno in cui ha potuto dedicare a questo disco l’attenzione e la cura che, stando dentro la scuola, non aveva potuto riservare al primo lavoro. Il risultato è un album che parla con scioltezza il linguaggio del pop, con generosi aiuti elettronici: c’è la potenza tropicaleggiante dei primi due singoli Molto più di un film e Sull’orlo di una crisi d’amore, tranquillamente trasportabili sul dancefloor, così come i beat di Il sole a mezzanotte, ma ci sono scelte anche non così immediate come Due in questa stanza.
Il tempo per crescere, evolversi, forse anche prendere strade diverse ci sarà. Per ora c’è il pop, fatto bene. E non è poco.
BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
Da quando abbiamo iniziato a conoscerla, ormai sette anni fa ad Amici, di Annalisa abbiamo visto lo spirito sbarazzino, l’abbiamo apprezzata come elegante e abbiamo ballato quando si buttata nell’elettropop. Mai però la ragazza era apparsa in gran forma e finalmente “a fuoco” come in questo suo ultimo lavoro, Bye Bye, pubblicato all’indomani della sua quarta partecipazione al Festival di Sanremo.
Se le sue doti, e in particolare l’intonazione curatissima, erano da sempre i suoi punti di forza, Annalisa non si era ancora presa la completa libertà di espressione che la porta invece a volare a briglie sciolte nel nuovo album. Bye Bye è infatti un vero manifesto di libertà e di leggerezza, come dichiara già il titolo, un congedo a tutti quei vincoli a cui fino ad oggi Annalisa si era sottomessa per imposizioni morali o autoconvincimenti. Un capitolo discografico che si stacca dai precedenti anche stilisticamente, puntando verso un pop freschissimo e sporcato di spunti urban, come aveva lasciato intuire Direzione la vita, il primo singolo pubblicato lo scorso anno. Se il brano sanremese, Il mondo prima di te, rappresenta forse l’episodio di stampo più tradizionale, che Annalisa sa però vestire perfettamente alleggerendolo dalle banalità, il resto dell’album si snoda scioltissimo tra decorazioni elettroniche, tuffi e capriole nell’R&B, fino ad arrivare al featuring con Mr. Rain in Un domani, che fa incontrare Annalisa e l’hip-hop. Bye Bye è un invito azzardare, il disco del prendersi “tutto e subito” non per avidità, ma perché la vita non aspetta, quel che oggi c’è domani potrebbe non esistere più (“come le storie di Instagram”), perché il presente non torna più. Annalisa mette da parte le noie e le paranoie, le ansie da prestazione del piacere per forza, e in cambio si guadagna una nuova (e forse definitiva?) credibilità di interprete.
La musica l’ha avuta in casa fin da bambino, visto che è figlio di due ballerini brasiliani, e a lungo l’ha coltivata nel canto e nel ballo. A soli 28 anni, Leonardo Monteiro vanta infatti un curriculum di tutto rispetto, con esperienze Italia e all’estero: tra queste, la formazione alla Scala di Milano, il lavoro con Gheorghe Iancu allo Sferisterio di Macerata, e nel 2008 partecipazione ad Amici, il talent di Maria De Filippi, dove occupava uno dei banchi della classe di ballo.
Dopo essersi aggiudicato la finale di Area Sanremo, tra pochi giorni lo ritroveremo sul palco dell’Ariston, in gara tra le Nuove proposte con Bianca, un pezzo dalla influenze soul che parla della fine di una storia d’amore per un tradimento. Autore della musica è Vladi Tosetto, che nel ’95 aveva messo le mani anche su Come saprei di Giorgia.
Perché la scelta di andare a Sanremo con Bianca? Lo abbiamo scelto durante i provini, dopo aver ascoltato un po’ di proposte, e Bianca è sembrata la canzone più adatta. Ci tenevo molto a presentarmi con un brano che rappresentasse bene il mio mondo, e le atmosfere soul e gospel di Bianca rispecchiano le mie influenze. Ti abbiamo conosciuto qualche anno fa ad Amici come ballerino, oggi ti ritroviamo come cantante: cos’è successo in questo periodo? Ho sempre amato il canto, fin da quando studiavo danza alla Scala: cantavo e facevo il ballerino. Poi sono andato a studiare a New York, e mi sono reso conto che con la danza ero arrivato al massimo di ciò che potevo desiderare e ho iniziato a studiare canto seriamente, avvicinandomi al gospel. Quando sono tornato in Italia ho proseguito con lo studio della musica. E sei anche arrivato ad insegnare… Sì, per qualche anno ho insegnato canto alla scuola Cluster di Milano, gestita da Vicky Schaetzinger, che per anni è stata la pianista di Milva. Mi ha dato tantissimo, sia come donna che come insegnante: sono stato prima suo allievo, poi abbiamo suonato insieme tre ani all’Armani Bamboo Bar, dove lei mi accompagnava al pianoforte, e in seguito sono diventato insegnante della scuola. Avevo già insegnato danza, ma insegnare canto è diverso, ed è una soddisfazione vedere che quello che fai arriva agli allievi. Oggi come vedi il tuo futuro, più vicino al canto o al ballo? Sicuramente più vicino alla musica. Come dicevo prima, con il ballo ho ottenuto il massimo di quelle che potevano essere le mie ambizioni e le mie soddisfazioni: ho fatto esperienze bellissime, ho lavorato con il Complexion Contemporary Ballet, il Collective Body Dance Lab, ho fatto degli stage a Broadway, ma a un certo punto ho sentito che mi mancava avere davanti un pubblico che mi conoscesse, mi mancavano gli affetti di casa, e ho deciso di tornare. A un’esperienza nel musical non pensi? Sono sincero, i musical non mi entusiasmano molto, preferisco vederli da spettatore. Piuttosto, per unire musica e danza, penso a qualche esperienza con i videoclip.
Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato? Quando ero più giovane ho ascoltato molto Stevie Wonder, Giorgia, che ha segnato a lungo la mia vita, Michael Jackson. Hai già un album in preparazione? Ho scelto alcuni pezzi e sto registrando: il disco uscirà dopo Sanremo. Abbiamo scelto di mantenere la stessa impronta stilistica di Bianca, anche se non mi tirerò assolutamente indietro se ci sarà la possibilità di spaziare. Pensando a Sanremo, come ti auguri di viverlo e cosa invece vorresti evitare? Semplicemente, visto che si parla di un palco così importante, vorrei lasciare un bel ricordo, al di là di come andrò la gara, e possibilmente vorrei evitare di steccare!
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
In un’edizione di Amici che resterà nella memoria (se ci resterà) come una delle più stanche e sbiadite, la presenza di Shady dava una nota di smalto e personalità. Quando l’ho sentita per la prima volta al serale, davo per scontato che avesse già in tasca l’accesso alla finale, ma così, sorprendentemente, non è stato, ed è superfluo dire che ci siamo tutti persi la possibilità di ascoltare qualcosa che andasse al di là dell’usurato pop con il faccino pulito. Per fortuna, fuori da Canale 5 la ragazza ha potuto contare sul supporto Boosta, che da insegnante all’interno del programma si è poi fatto carico anche della produzione di questo primo, omonimo EP. Quelli presenti nel suo esordio discografico sono sei pezzi che lambiscono il territorio pop, ma si muovono meglio sui sentieri dell’elettronica e di un certo future bass, tutta roba che comunque non guarda all’Italia, ma punta gli occhi all’estero. Shady è una di quelle artiste che possono benissimo non piacere (io neppure ho capito se mi piace davvero o no, ma di certo mi affascina), ma hanno un qualcosa addosso, negli occhi, nella voce, nell’aura o chissà dove, che te li fa osservare. Uno di quegli artisti che si capisce che hanno tutta la voglia di costruirsi una personale struttura comunicativa, anche a costo di allontanarsi dalla più ovvia delle formule radiofoniche. La prova Shady ce le offe in pezzi come Come Next To Me, Loubutin o ancora più lampante nella rilettura di Rolling In The Deep, pezzo assai fragile da toccare data la sua elevata popolarità. La ragazza lo ha preso e lo ha spogliato di (quasi) tutto, facendone qualcosa di assai diverso dalla macchina da guerra magiaclassifiche sfornata da Adele.
Shady ha una di quelle personalità che non amano troppo i rettilinei, ma preferiscono mettersi di traverso, in obliquo, storte, con melodie sghembe e sequenze ritmiche intermittenti. Non segue binari, preferisce piegarli e tagliare per vie differenti, dritte a una meta che ha ben chiara in testa. Lontana dall’essere un’artista “arrivata”, nel prossimo futuro Shady ha la grande possibilità di farci ascoltare qualcosa di diverso, offrirci il suo mondo. È sicuramente tra i concorrenti più atipici che abbiano messo piede nello studio di Amici e, almeno per ora, sembra non essersene fatta plagiare troppo. Va protetta, accudita e sorvegliata a vista, anche per non farla sparire nell’oblio. Io, in lei, un po’ ci confido.
BITS-CHAT: Con il vento in faccia. Quattro chiacchiere con… Fabrizio Moro
A vederlo non si direbbe, e a sentirlo cantare con quel suo timbro viscerale neppure, ma Fabrizio Moro è piuttosto timido e, per sua stessa ammissione, piuttosto chiuso. Andare in tintoria, al ristorante o fare un’intervista con un gruppo di giornalisti era per lui più difficile di quanto possa sembrare.
Poi, negli ultimi anni, qualcosa è cambiato: complice anche la nascita della seconda figlia, Fabrizio ha iniziato a guardare all’esterno in maniera diversa, più libera, più pacifica. Non è un caso che proprio Pace sia il titolo del suo nuovo album, che arriva a circa un mese dalla partecipazione a Sanremo con Portami via. Un disco in cui per la prima volta ha affidato la produzione ad altri e che prima di tutto è il frutto di un lavoro e di una ricerca interiori, un vero e proprio percorso verso l’equilibrio e la serenità, fatto di tappe tormentate, ma anche di ritorni all’infanzia. Fino a rendersi conto che essere in pace con il mondo può voler dire semplicemente avere la possibilità di prendersi il vento in faccia nel traffico di Roma.
Da quello che si sente nei nuovi brani, questo sembra essere l’album dei grandi cambiamenti: è così? Questo è sicuramente il disco più egocentrico che ho fatto. Ho lavorato molto su me stesso durante la fase della pre-produzione. In questi due anni mi sono successe tante cose, tra cui la nuova paternità. Mi sono guardato indietro e per la prima volta dai tempi del primo album mi sono reso conto di aver costruito un’eredità forte. Tutto questo mi ha dato serenità. Ho iniziato a vivere in modo diverso la quotidianità, semplicemente andando in tintoria, accompagnando i figli a scuola, andando al ristorante, ho fatto cose che prima delegavo agli altri, perché sono sempre stato chiuso, avevo un rapporto difficile con l’esterno, e so che la pace che ho trovato adesso è una condizione passeggera, perché il mio carattere competitivo e battagliero mi porta ad avere sempre una meta da aggiungere. È corretto vedere nell’album un percorso che dal tormento arriva alla quiete? Quando ho ascoltato l’album dall’inizio alla fine mi sono reso conto che questo è un disco terapeutico, ma l’ho capito solo alla fine, dopo aver messo in ordine la scaletta dei brani già finiti, perché quando sei in fase di registrazione intorno c’è troppa frenesia e non senti nulla, ecco perché è stata importantissima la prima fase. Il disco si apre in minore e chiude in maggiore, e di certo non è stato un caso. Poi c’è una parola che torna spesso, e che all’inizio mi dava quasi fastidio, senza accorgermene, ed è paura. Scavando dentro di me, inizialmente avevo timore, non sapevo cosa avrei trovato, non sapevo quali prove mi attendevano, ma poi sono arrivate le conferme. Potrei quasi definire Pace un concept album. La paternità ti ha fatto rivivere un po’ di infanzia? Sì, soprattutto con mio figlio, il più grande. Mi somiglia molto caratterialmente e in lui ho ritrovato me bambino, anche solo accompagnandolo in un negozio di giocattoli. Jeeg Robot e Mazinga sono le prime persone con cui mi sono confrontato, ancora prima dei coetanei. Poi crescendo non ho mai trovato una stabilità sentimentale, e fin da quando avevo 15 anni sentivo di voler essere padre di una donna: per questo sento un legame particolare con mia figlia, ancora prima che nascesse, la idealizzo come la donna della mia vita. Portami via è infatti dedicata a lei.
A Sanremo com’è andata? Direi al contrario di come pensavo: mi aspettavo una posizione più alta in classifica, ma un minore riscontro sul lungo termine, invece Portami via è arrivato al disco d’oro in due settimane. Tra l’altro, ho cantato piuttosto male: fin dalla prima serata avevo un groppo in gola che non sono riuscito a mandare via. Quest’anno ho sofferto il palco in maniera particolare, avevo una grande ansia da prestazione, che poi è sempre stato un mio limite che mi ha anche tenuto lontano dai riflettori. Aspettavo conferme da me stesso e sentivo che anche altri le aspettavano, e non mi sentivo completamente lucido, temevo di perdere quello che avevo costruito. Alla fine, è andata meglio così. Amici ti ha aiutato nel rapporto con l’esterno? Anche quella è stata un’esperienza terapeutica, mi ha aiutato ad aprirmi: solo qualche anno fa non sarei riuscito ad affrontare un’intervista con dieci giornalisti. Maria De Filippi mi chiamava da un paio d’anni, ma avevo sempre paura di confrontarmi con le critiche e con quel riflettore così grande, che fa risaltare ogni cosa che fai. Oggi ce la faccio. Sono fatto così, faccio quello che posso in un quel momento e il resto lo lascio al destino. Pace fa rima con libertà? Alcuni anni fa ho lavorato a una trasmissione della Rai, Sbarre, che era girata nel teatro del carcere di Rebibbia, proprio vicino a San Basilio, il quartiere in cui sono cresciuto. Sono andato lì ogni giorno, dalla mattina alla sera, per circa un mese, e ho parlato tanto con i detenuti della mia età, ma anche più piccoli, molti con condanne pesanti. Quando tornavo a casa, salivo in macchina o sul motorino, abbassavo il finestrino e prendevo tutta l’aria in faccia, perché mi rendevo conto della fortuna che avevo a poter vivere quella libertà, anche in mezzo al traffico di Roma. Un po’ come chi è in ospedale e apprezza la salute appena esce. La pace non è solo avere tranquillità economica, ma anche riuscire a percepire l’importanza dei gesti più piccoli, una sigaretta all’aria aperta, una bottiglia di vino con un amico, un giro alle giostre con tua figlia. Il duetto con Bianca Guaccero come è nato? Inizialmente il disco doveva avere dieci canzoni, questa è l’undicesima. Bianca mi ha chiamato tempo fa per chiedermi un pezzo per un suo film in uscita. Quando poi l’ho sentito cantato da lei, sono rimasto stupito, non sapevo che cantasse, e che cantasse così bene! Allora le ho proposto il duetto. Come ti trovi in veste di autore per altri artisti? Ho scritto sempre per me stesso, raccontando di me, anche in un pezzo come Sono solo parole, che ho regalato a Noemi. C’è stato un momento in cui non riuscivo a trovare un compromesso con le case discografiche e con con chi mi gravitava attorno, ma visto che mi arrivavano diverse richieste dai colleghi ho pensato di sfruttare l’occasione e usare i proventi SIAE dei miei brani per aprire un’etichetta, La Fattoria del Moro. L’unica volta che ho scritto pensando a un altro interprete è stato per Fiorella Mannoia, nei due pezzi che ho scritto per il suo ultimo album. Negli anni i tuoi ascolti sono cambiati? No, alla fine ascolto sempre le stesse cose: rock internazionale, U2, Oasis, Coldplay, e poi tanto metal, gli Slayer, gli Anthrax, impensabile se poi senti quello faccio nei miei album. Sui social come ti trovi? Ultimamente mi lascio andare un po’ di più e ho imparato a divertirmi. Twitter però non riesco a usarlo: ho bisogno di spazio per esprimere un pensiero. Per i live hai già pensato a qualcosa? Durante gli ultimi due tour ho avuto dei momenti di noia, perché sono stati molto simili, non abbiamo mai toccato gli arrangiamenti. Per il nuovo tour invece riparto completamente da zero e da qualche mese stiamo lavorando alla scaletta. L’anteprima sarà al Fabrique di Milano il 20 aprile, poi farò un po’ di promozione, e riprenderò da Roma con due date il 26 e il 27 maggio al Palalottomatica, per poi girare in una ventina di città.
BITS-CHAT: “Sono i dettagli a fare la differenza”. Quattro chiacchiere con… Elodie
La prima cosa che si nota in Elodie dopo alcuni minuti di chiacchierata è la sua determinazione. Nonostante abbia mosso ancora pochi passi nel mondo della musica, sembra avere già le idee molto chiare su quello che vuole, e anche di fronte ad alcune domande non proprio accomodanti non si lascia scomporre e risponde tranquillamente senza mai perdere di vista il tuo sguardo. D’altronde, è reduce da Sanremo, lei che ancora meno di due anni fa si esibiva nei piccoli locali e un batter d’occhio si è ritrovata catapultata sul palco più insidioso e osservato d’Italia. Un battesimo del fuoco che non poteva che rafforzarla. La sua Tutta colpa mia si è piazzata ottava e il suo bilancio di questa esperienza è più che positivo. Ora è uscito il suo primo album, che ha lo steso titolo: un disco di 13 brani firmati da alcuni degli autori più rilevanti della nuova scena italiana, come Zibba, presente nel duetto di Amarsi basterà, Federica Abbate e Amara. Tante influenze tra pop e soul, da sempre il suo mondo di riferimento (ma ricorda che andava a scuola con i Kool & The Gang nelle cuffie), con l’utilizzo di strumenti registrati in presa diretta e qualche sorpresa dal sapore atipico, come La cosa che rimane. Un disco femminile nell’anima, che in qualche modo prosegue il percorso già iniziato con il primo EP uscito la scorsa primavera. E il 26 aprile sarà la volta dell’Alcatraz di Milano.
Domanda iniziale quasi d’obbligo: Sanremo, com’è andata? Benissimo, mi sono proprio divertita: la definirei un’esperienza liberatoria, la rifarei cento volte. Pensi che il Festival ti abbia aiutata in qualcosa? Ho acquisito più sicurezza, perché dai locali sono passata in breve tempo allo studio di Amici e poi all’Ariston. Poi ho imparato a non prendermela troppo per i giudizi che leggo in giro: all’inizio fanno male, poi ci ridi su, ma bisogna imparare. Dopo tutto, questo lavoro l’ho scelto io. Tra le critiche, alcuni dicono che ci sono troppe somiglianze tra te ed Emma. Indubbiamente entrambe abbiamo un approccio viscerale e raccontiamo le cose in maniera forte, ma io era già così prima di arrivare ad Amici e conoscere Emma. I nostri progetti però sono costruiti in modo completamente diverso, perché io arrivo dal pop-soul, lei dal pop-rock. Adesso è il momento dell’album. Un disco con le firme di tanti autori! Fortunatamente sì, autori importanti: è arrivato tanto materiale tra cui scegliere, ma non è stato molto difficile fare la scrematura dei pezzi. Gli autori sono quasi tutti uomini, ma l’album ha una forte visione femminile: come lo spieghi? Chi più di un uomo può apprezzare la donna? E poi penso che sia soprattutto una questione di sensibilità, non di una visione maschile o femminile. Voglio farmi portavoce per le ragazze che non trovano un senso, un obiettivo e hanno bisogno di sentirsi utili: la dignità e il rispetto sono valori in cui credo molto, perché noi donne dobbiamo guadagnarci le cose con un po’ più di fatica. Un elemento che voglio che arrivi alla gente è che sono una donna forte, pur avendo molte fragilità, alcune evidenti anche fisicamente. Mi sento una guerriera e voglio affrontare i miei limiti. Sembra abbastanza evidente che al centro di tutto il disco ci sia l’amore: perché? Perché l’amore è l’unica cosa che mi fa alzare dal letto la mattina. Di cosa avrei potuto parlare se non di sentimenti? Non sono ancora abbastanza adulta per parlare di vita, ma mi sento aperta verso le persone. Però l’amore non è da intendere solo come quello tra due compagni, quello semmai arriva alla fine: prima bisogna saper amare se stessi. L’amore è impegnativo, vedere le cose negative è facile, mentre è faticoso essere felici, perché richiede lavoro, va costruito.
Tra i brani che portano una firma femminile c’è La verità, scritto da Amara. Si sente un’atmosfera diversa: è messo apposta alla fine dell’album? Sì, è come una riflessione detta tra i denti, e mi è sembrato giusto per la chiusura. Amara è una fuoriclasse, è spirituale, ha un bel cervello, e quando ti arriva un brano così non puoi che restare senza parole. Tu non hai mai provato a scrivere una canzone? No, non penso di esserne capace. Ho un quaderno su cui ogni tanto scrivo delle cose, quello che penso, ma per ora nessuna canzone. Magari in futuro, ma adesso mi limito a scrivere le mie frustrazioni. E tra i grandi autori della canzone italiana, chi vorresti scrivesse per te? Fossati, mi piacerebbe tanto, perché non è mai banale. Parla dell’amore con parole che non sapevo nemmeno esistessero.
Considerando il tuo amore per il mondo del soul, l’assenza di brani in inglese è un po’ strana. E’ una scelta o semplicemente non c’era il pezzo giusto? Non ho voluto cantare in inglese, è troppo semplice. Senza passare per tradizionalista, voglio cantare nella mia lingua. Sono italiana, parlo italiano, perché dovrei cantare in inglese? L’italiano è molto più difficile, più ampio, ha un peso diverso, e lo conosco meglio dell’inglese. In Giorni bellissimi canti “uno sbaglio ti illuminerà”. Credi nel valore degli errori? Come no, sono fondamentali! Da incosciente, ne ho fatti tantissimi e sono convinta che, senza arrivare a commettere colpe gravi, nella vita ci si debba sempre buttare. I fallimenti ci sono, ma ci sia rialza e si va avanti, possibilmente circondati dalle persone giuste. Il vero fallito è quello che non fa niente. E’ vero che “l’universo è nei dettagli”, come dici in Sono pazza di te? Facciamo tutti la stessa vita, la differenza sta proprio nei dettagli. Sono una grande osservatrice, mi piace il genere umano e guardo molto le persone, il modo in cui muovono gli occhi, mi parlano, e facendo questo lavoro sto conoscendo tante persone diverse.
Nel video di Tutta Colpa Mia c’è quella scena in cui metti in bocca un pesciolino d’oro: cosa c’entra con la canzone? Ha un significato particolare, ma non si può dire. In realtà il pesce era attaccato a una collanina che non si poteva togliere, per cui è stato un po’ complicato… Tutto il video è molto particolare, mi sono affidata a loro e io ho soltanto dovuto fare il playback. Questa volta è andata così infatti è pieno di significati. Il 26 aprile ti aspetta il live all’Alcatraz di Milano: cosa vedremo? Prima di tutto vedrete me! (ride, ndr) Parlando seriamente, ci stiamo lavorando: potrebbe esserci Loredana Bertè e altri ospiti, ma non c’è ancora niente di sicuro. Potrei anche fare delle cover in inglese, chissà… Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione? Semplicemente, penso che la ribellione sia seguire il proprio istinto senza ascoltare quello che gli altri vorrebbero da te. Mi sembra positivo, io ho sempre fatto così. Penso di essere una brava persona, no?
ASPETTANDOSANREMO: “Mi tremano le gambe, ma sono una donna forte”. Quattro chiacchiere con… Elodie
Elodie ha due occhi bellissimi. Grandi, profondi e bellissimi, di un colore indefinibile, accompagnati da un sorriso larghissimo.
Sì, lo so che per chi si interessa di musica questi non dovrebbero essere dettagli importanti, ma io sono tra quelli che di un artista non solo ascoltano le canzoni, ma ne osservano anche i gesti, i colori, ne ascoltano il tono della voce quando parlano.
Ed Elodie ha due occhi bellissimi che sembrano parlare più della sua voce nel dire quanto lei sia sicura di quello che fa. Una donna forte, proprio così, lo dice anche lei, “Voglio che il pubblico mi veda come una donna forte”.
Pur con solo 26 anni alle spalle e neanche due di notorietà, la ragazza appare seriamente sicura di ciò che sta cercando e di ciò che vuole. In primavera si è conquistata il secondo posto ad Amici ed ora entra a Sanremo dalla porta principale, quella dei big, portando in gara Tutta colpa mia, un brano su una storia d’amore andata in frantumi firmato tra gli altri da Emma (e ascoltandolo non si potrebbe in effetti pensare altrimenti).
Il 17 febbraio sarà poi la volta dell’album dal titolo omonimo, mentre il 26 aprile Elodie è attesa a Milano per il suo primo vero appuntamento live.
Chissà se per quel giorno la gamba avrà smesso di tremare… Nella canzone sembra di avvertire un senso di imperfezione da parte della protagonista, che quasi si rimprovera la fine di una storia: ti ritrovi in questa situazione,pur non essendo tu l’autrice del brano? La canzone non è mia ma parte da una storia d’amore importante che ho vissuto qualche anno fa, una storia in cui avevo messo tanto coraggio, ma dall’altra parte non ho trovato lo stesso spirito. Non sono perfetta, nel brano va letta anche una certa ironia: posso dire comunque di essere felice di quello che sono oggi e che cerco di migliorarmi ogni giorno. I momenti d’ombra ci sono e vanno accettati, senza paura di toccare il fondo. Senti qualche responsabilità nei confronti di Emma, tua coach ad Amici e ora autrice del pezzo? Interpretare una canzone altrui è sempre un impegno, però il regalo più importante che mi ha fatto Emma è stata la possibilità di condividere il suo team: a Sanremo devo dimostrare che valgo e che tutta questa fiducia me la merito. Non sono più un’allieva della scuola di Amici, adesso devo diventare una professionista. Emma ti ha dato qualche consiglio per Sanremo? Per Sanremo in particolare no. Mi ha sempre detto di respirare, sorridere e di mettere tutte le mie energie, indipendentemente dal palco su cui mi trovo. Perché la scelta di Quando finisce un amore per la serata delle cover? Cocciante, insieme a Mia Martini e Loredana Bertè, è uno degli artisti che ho più nel cuore, perché ha messo tutto se stesso nella musica. Non so se avrò un’altra possibilità come questa, quindi ho scelto di reinterpretare un brano che mi mettesse alla prova, e questo lo sento sotto pelle.
Come ti senti in questo momento? Felice, molto felice e nello stesso tempo tutto mi sembra irreale. Non avrei ma pensato di poter arrivare a questo punto, Sanremo è il sogno di chiunque voglia fare questo lavoro, ma non ho aspettative tanto verso il Festival in sé, perché Sanremo è un colosso, sta fermo lì, quanto piuttosto su di me. Spero di fare bella figura e di rispettare quel palco, la sua tradizione. Voglio esibirmi con dignità nei confronti della musica italiana, restando ben a fuoco e dominando l’emotività. Le prime volte che mi esibivo in pubblico tremavo tutta, non potevo togliere il microfono dall’asta, e pochi giorni fa alle prime prove con l’orchestra ho cantato per tutto il tempo senza smettere di muovere la gamba. C’è qualcosa che il pubblico magari non sa ancora di te e che vorresti venisse fuori n questa occasione? Vorrei si capisca che sono una donna forte, non presuntuosa, ma forte. Qualunque cosa si faccia nella vita va portato avanti con determinazione e puntando a farlo al meglio. E sbaglia chi pensa che il talent sia una scorciatoia: ho passato periodi in cui non avevo un obiettivo, mi sentivo persa, e Amici è stato un aiuto. Non ci sono tante possibilità per noi giovani artisti, e chi le offre non va discriminato. Tra i tuoi punti di riferimento citi Nina Simone, un’artista che ha avuto un vissuto piuttosto pesante: in cosa la senti vicina? Nina Simone, così come Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald e tutte le cantanti di colore di quegli anni, è stata una donna forte: sentirla vicina è come una pacca sulla spalla. Io stessa vengo da una famiglia di origini africane, mia nonna è delle Antille Francesi, per cui ho respirato un certo clima culturale. E’ bello quando le minoranze diventano di polso, è segno che se ci sono passione e spinta a reagire chiunque può farcela.
Il 26 aprile è in programma un appuntamento live all’Alcatraz a Milano: come ti stai preparando? Per ora mi concentro sul Festival, altrimenti impazzisco… Inizierò a lavorarci seriamente dal giorno dopo. Sarà un’altra novità, perché per la prima volta il pubblico sarà lì apposta per me, e questo non aiuterà a gestire la tremarella. Hai un’immagine che racchiude il significato del Festival per te? Penso a Loredana Bertè e Mia Martini: in questo momento ho in mente Amici non ne ho di Loredana. Penso ci voglia tantissimo coraggio a spiattellare quelle cose in faccia al pubblico. Loredana è una donna che stimo tantissimo. Prima di salire sul palco cosa farai? Non ho riti scaramantici né portafortuna. Semplicemente penso che farò un bel respiro, gesticolerò un po’, farò un inchino, sorriderò e poi via, quando il maestro sarà pronto, canterò.
In meno di un anno è passato dalla finale di Amici al palcoscenico di Sanremo, dove concorre tra le Nuove Proposte (con i suoi 20 anni è il più giovane in gara quest’anno) con Ora mai. In mezzo, Lele ha aperto alcun date di Emma ed Elisa e ha pubblicato il suo primo disco, Costruire, in cui ha messo la sua firma in molti brani e che il 10 febbraio sarà ripubblicato in una versione 2.0 con alcuni pezzi inediti.
C’è un motivo particolare per cui hai scelto di proporre alla commissione del Festival proprio Ora mai? Un motivo in particolare no: è un brano che fin da subito è sembrato adatto ad essere proposto a un’orchestra, per cui la scelta è stata quasi naturale. Inoltre, è una canzone sulla fine di una storia d’amore, ma se ne parla con consapevolezza, nonostante io abbia solo 20 anni. Cosa significa sentire per la prima volta un’orchestra che suona un tuo brano? È come immaginarsi di vedere un figlio crescere nella pancia della mamma e poi ritrovarselo tra le braccia. La sensazione che ho avuto durante la prima prova con l’orchestra è stata quella di sentire la realizzazione fisica di quello che avevo scritto insieme a Fabrizio Ferraguzzo, è stato come poter osservare a occhio nudo qualcosa che non si può vedere, qualcosa di immateriale. Rispetto a quando sei arrivato ad Amici come ti senti cambiato? Mi sento molto più consapevole. Grazie ad Amici sono cresciuto umanamente e professionalmente, anche con l’aiuto di Elisa ed Emma, e fortunatamente ho potuto vivere quel percorso fino alla fine. Quindi ho voluto trasportare tutto quello che ho imparato negli cinque nuovi brani che fanno parte della riedizione dell’album: ho proprio notato un passo in avanti sia nell’approccio tecnico sia in quello interpersonale. Per la mia età mi considero ancora in costruzione. Questa partecipazione a Sanremo per te cosa rappresenta, un nuovo inizio, un arrivo, una continuazione? È un’altra tappa del mio percorso. Un punto di partenza no, perché non lo è stato nemmeno Amici, e ancora prima nemmeno The Voice, ma è stato quando ho iniziato a studiare musica da piccolino. Tutto quello che è successo da lì in avanti lo considero parte di un cammino che ha come filo conduttore la mia passione per la musica. Come ti trovi nell’ambiente discografico? Dal primo giorno in cui sono entrato in Sony ho trovato intorno a me un ambiente coeso, determinato e affettuoso, cosa che non mi aspettavo nel mondo della discografia. Ho sempre avuto la percezione di un team di persone che lavoravano per me e con me: mi piace molto il lavoro di squadra, credo che faccia la differenza per la creazione di un progetto univoco. Spero che si possa andare avanti lavorando in questo modo. Per i nuovi brani che su quali sonorità ti sei mosso? Poco tempo fa mi è capitato di leggere una recensione in cui si parlava di Ora mai come di un classico brano sanremese, ma non penso sia così, mi risulta sia che di solito a Sanremo si usino le tastiere in quel modo. Negli altri brani mi sono spinto ancora di più attraverso le influenze dell’hip-hop straniero e del nu soul, e mi sono divertito molto. Anche alla luce dei talent, oggi partecipare al Festival tra le Nuove Proposte è diverso rispetto a dieci anni fa? Sì, è sicuramente diverso, ma arrivare a Sanremo dopo la notorietà del talent è un’arma a doppio taglio: ti porti dietro il pregiudizio di uno che vuole solo apparire e arrivare alle ragazzine, senza essere mosso da un reale interesse per la musica. Questa purtroppo è una deriva che la televisione ha preso da un po’ di anni, ma è un metro di giudizio qualunquista. Io spero di essere giudicato solo per la canzone, anche perché poi alle persone è quello che resta in testa, non se arrivi da un talent o da un’accademia. È tutta gavetta. Cosa ti aspetti e come ti aspetti Sanremo? Voglio restare concentrato sulla canzone, spero di eseguirla al meglio e che possa arrivare al pubblico. Il festival invece me lo aspetto come il grande evento che ogni anno ferma l’Italia per una settimana, un evento totale.
Nel 2016 ha vinto Amici e tra pochi calcherà il palco di Sanremo. A neanche un anno dalla vittoria alla quindicesima edizione del talent di anale 5, Sergio Sylvestre si prepara infatti ad affrontare il Festival tra i big con Con te, una ballad che racconta di una storia d’amore finita tra dubbi, insicurezze e tanti interrogativi alle spalle, e che può vantare la firma di Giorgia per il testo e dello stesso Sergio con Stefano Maiuolo per la musica. Nella serata dedicata alla tradizione della canzone italiana, Sergio interpreterà insieme ai Soul System la cover di Nino Ferrer Vorrei la pelle nera, un inno al suo amato Rhytm and Blues. Il 10 febbraio uscirà il suo primo, omonimo album di inediti.
Questa la tracklist: 1. The Last Kiss Goodbye 2. Running 3. Con te 4. Planes 5. Lucky Ones 6. Point of You 7. Running up the Hill 8. Come il sole ad ottobre 9. The Way You Are 10. Down We Go 11. Lie to Me 12. Honesty A marzo Sergio sarà inoltre protagonista di due anteprime live: il 30 marzo a Roma (Orion) e il 31 aMilano (Magazzini Generali). I biglietti saranno disponibili dalle ore 11.00 di mercoledì 1 febbraio su www.ticketone.it. Per info www.livenation.it – infoline 02 53006501
Raccogliere un anno in 30 canzoni non è facile, per niente, ma è tanto divertente, anche solo per il gusto di giocare a fare il piccolo musicologo. Ho scelto quindi diriassumere il 2016 – il mio 2016 – in 30 brani perché in 20 mi sarebbe stato ancora più difficile: troppi i ricordi legati a queste canzoni per lasciarne fuori alcune. E anzi, avrei fatto una classifica da 40 o 50 posti, se non fossi sicuro che a chi avrebbe letto sarebbe cresciuta una barba più lunga di quella di Gandalf.
In questa personalissima lista costruita in ordine crescente ci sono le canzoni che più di tutte hanno riempito le mie giornate in questi ultimi 12 mesi: canzoni su cui ho pianto, riso, riflettuto, goduto, amato, odiato, letteralmente e metaforicamente, sono le canzoni che mi hanno lasciato qualcosa in più delle altre, e proprio questo è stato uno dei criteri con cui ho scelto di tenerle dentro escludendone altre: queste mi hanno dato qualcosa che è andato oltre il semplice piacere dell’ascolto. L’altra regola che ho seguito è stata quella di includere solo brani usciti per la prima volta quest’anno: per il resto, non ho guardato al genere, al successo che hanno ottenuto o alla fama dell’artista.
Ho cercato di restare – pur nella soggettività della classifica – più obiettivo possibile, ma con buona probabilità, se dovessi stendere quest’elenco domani, l’ordine sarebbe diverso, soprattutto per le ultime posizioni.
In fondo, è un gioco… Stay Rebel, Forever!
30. Brooke Candy, Changes 29. Daphne Guinness, The Long Now
28. L’Orso, Chiudi gli occhi siamo nello spazio
27. Giorgia, Oronero
26. Ghost feat. Ornella Vanoni, Hai una vita ancora
25. Emis Killa feat. Jake La Furia, Non è facile
24. Stadio, Un giorno mi dirai
23. Elisa, No Hero
22. Alessandra Amoroso, Vivere a colori
21. Boosta, 1993
20. Ligabue, Made in Italy
19. Noemi, Fammi respirare da tuoi occhi
18. Alessandra Amoroso, Comunque andare
17. Loredana Errore, Luce infinita
16. Honor, You And My Nightmares
15. Lady Gaga, Grigio Girls
14. Loredana Errore, Bugiardo destino
13. Paola Iezzi, LoveNight
12. Annalisa, Se avessi un cuore
11. Patty Pravo, Cieli immensi
10. Francesco Guasti, Universo L’anno scorso Guasti si è visto sfumare la partecipazione a Sanremo a due passi dal traguardo, e pare si sia arrabbiato tantissimo. Quest’anno ci ha riprovato e ce l’ha fatta con questa canzone intensa e “scalcitante”. Inutile dire che tiferò per lui.
9. Elodie, Un’altra vita Un brano ruvido, che se la vede con il più grande rimpianto che almeno una volta ha attraversato la mente di ognuno di noi.
8. Patty Pravo, Se Samuel Romano dei Subsonica ha regalato a Patty Pravo la gemma più preziosa e splendente di Eccomi, il suo ultimo album. Una dichiarazione d’amore potente e fragile nello stesso tempo, pura come un ghiacciaio in una mattina di marzo.
7. Loredana Bertè, È andata così Ligabue ha firmato il brano del gran ritorno in scena della Bertè: pur mostrando chiarissima l’impronta del suo autore, la canzone veste alla perfezione l’anima di Loredana, al punto che può essere considerata il sincero testamento artistico di un’interprete che non si è mai risparmiata, salendo ogni volta “a cuore nudo” sul palco.
6. Raphael Gualazzi, L’estate di John Wayne In genere Gualazzi non rientra tra i miei ascolti, ma questa sua parentesi da ombrellone venata di vintage quest’estate mi ha fatto innamorare.
5. Tricarico feat. Arisa, Una cantante di musica leggera Due mondi, ognuno a suo modo folle, si sono incontrati dando vita a una bomba elettropop: prendi un testo semplicissimo e brillante, mettilo su una melodia appiccicosa come marmellata e chiama a duettare una delle voci più limpide che ci siamo in Italia. Un dialogo ideale tra un ascoltatore e la sua diva.
4. Anna Oxa, L’America non c’è È la canzone-outsider. Dopo anni di silenzio, la Oxa è tornata con un brano di grande modernità e sperimentazione: mi è bastato un ascolto per capire che non me lo sarei tolto dalle orecchie. Al momento in cui scrivo, il brano non è ancora stato ufficialmente pubblicato: l’unica traccia che se ne ha risale a questa primavera, durante una puntata di Amici.
(Piccola nota fuoricampo: provate ad ascoltare il testo alla luce dell’elezione di Trump…)
3. Soltanto, Tutta la vita davanti È il brano di apertura di Skye, secondo album del busker milanese Soltanto. Una toccante canzone-manifesto di un’esistenza, riassunto di una filosofia di vita, che lascia traspirare libertà da ogni singola nota.
2. Thegiornalisti, Completamente Una musica leggerissima per un testo di parole pesanti come macigni. Un pezzo di puro pop che odora di umano, amore e lenzuola ancora calde; un’ammissione di sconfitta da parte di un uomo che non teme di mettersi a nudo mostrando tutta la sua vulnerabilità.
1. Noemi, Amen La perfetta incarnazione di ciò che di solito chiedo alla musica, e probabilmente il più bel pezzo della discografia di Noemi fino a oggi: melodia da brivido alla schiena e testo che ti gratta l’anima. Una solenne preghiera laica in cui si parla di un cuore sanguinante, preso a calci, un’anima rotolata nel fango, stanca di camminare, si chiede scusa all’amore e al Signore e si chiede finalmente pace. Meraviglia.
La playlist dei brani è disponibile a questo link.