Thom Yorke firma la colonna sonora di “Confidenza”. Ed è una meraviglia

Thom Yorke firma la colonna sonora di “Confidenza”. Ed è una meraviglia

Thom Yorke torna a guardare al cinema, e – diciamocelo con un pizzico di orgoglio – al cinema italiano. Dopo aver formato le musiche per il remake di Suspiria di Luca Guadagnino, il musicista e compositore inglese pone ora il suo nome sulla colonna sonora di Confidenza, il nuovo film di Daniele Luchetti.

La pellicola, che vede protagonisti Elio Germano, Federica Rosellini, Vittoria Puccini, Pilar Fogliati e Isabella Ferrari, è la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Domenico Starnone.

La colonna sonora è stata prodotta da Sam Petts-Davies, e – come era stato per Suspiria – vede Petts-Davies e Yorke lavorare ancora con la London Contemporary Orchestra insieme a un ensemble jazz che comprende Robert Stillman e il membro dei The Smile Tom Skinner.

Ed è proprio in queste due anime – quella orchestrale e quella jazz – che prendono vita le musiche del film. Tutto è giocato sulle suggestioni, su una tensione ora più palpabile, ora più tenue, in un gioco di chiaroscuri che portano l’ascoltatore – e lo spettatore – verso uno scenario immaginifico, quasi onirico, in cui non mancano però momenti di inaspettata dissonanza.

Il brano di apertura, The Big City, è a tutti gli effetti una minisuite che fonde in sé influenze alt-pop e momenti di altissimo lirismo di musica da camera.

Subito dopo, ecco il gioiello di Knife Edge, commovente, lunare, purissima. Qui la voce e la penna di Yorke rimandano intatto il mondo poetico che avevamo già conosciuto con i Radiohaed. Ma la mano del compositore si ritrova anche negli inserti sperimentali strumentali delle tracce interne, dove l’eleganza del pop barocco si unisce ai guizzi jazzistici, o dove le aperture di stampo sinfonico convivono con inserti di carattere quasi bandistico e free jazz (emblematico il brano di chiusura, On The Ledge, per il quale si sarebbe autorizzati a parlare di anarchia del pentagramma).

Lo zenith dell’opera arriva però esattamente a metà, con Prize Giving e Four Ways in Time: la prima folkloristica, magnetica, sensuale, con quel coro che sembra andare a pescare direttamente dal Coro a bocca chiusa della Butterfly pucciniana; la seconda solenne, drammatica, limpidissima.

Quella tracciata nelle musiche di Confidenza, è una poetica eccelsa, insieme algida e vibrante, in cui tutto è in continuo movimento, senza una meta definita.

Già disponibile in digitale, la colonna sonora di Confidenza arriverà anche in vinile e in CD dal prossimo 12 luglio. Per-order a questo link.

 

 

#MUSICANUOVA: St. Vincent, “Big Time Nothing”

#MUSICANUOVA: St. Vincent, “Big Time Nothing”

Dopo aver infuocato gli animi con le prime due anticipazioni di Broken Man e Flea, St. Vincent rilascia Big Time Nothing, la terza traccia che farà del suo nuovo album, All Born Screaming.


All Born Screaming arriva il 26 aprile, su Total Pleasure Records via Virgin Music Group.
Pre-order a questo link.

A pochissimi giorni dall’uscita del nuovo album, Annie Clark, meglio nota come St. Vincent, svela i dettagli del suo settimo album in studio.
All Born Screaming sarà il il primo album autoprodotto dall’artista, che in questo lavoro ha scelto di mostrarsi senza alcun tipo di filtro.


In quanto unica produttrice dell’album, è riuscita a imprimere immediatamente su nastro quei suoni nati nella sua mente, nel suo cuore e tra le sue mani: “Ci sono alcuni posti, dentro di noi, che possiamo raggiungere solo se attraversiamo il bosco da soli, per scoprire quello che il nostro cuore ha da dire. Suona reale perché è reale”.

#MUSICANUOVA: St. Vincent, “Flea”

#MUSICANUOVA: St. Vincent, “Flea”

“You will be mine for eternity…”

Così afferma St. Vincent con ardente determinazione in Flea, la seconda anticipazione – dopo il primo singolo, Broken Man – del suo settimo album in studio All Born Screaming, in uscita il 26 aprile.

Con St. Vincent alla voce e tutti gli strumenti tranne la batteria e il basso, gestiti rispettivamente da Dave Grohl e Justin Meldal-Johnsen, Flea è un desiderio crudo che si manifesta su una base di groove fragorosi e figure di chitarra brucianti.

Il brano rivela un’altra dimensione del lato “apocalittico” del nuovo album, sulla scia del sound del precedente Broken Man.

La copertina di “All Born Screaming”

Il nuovo album si preannuncia come un invito a sfidare i limiti del possibile e ad oltrepassarli. Grazie anche a una selezione di amici e collaboratori come Rachel Eckroth, Josh Freese, Dave Grohl, Mark Guiliana, Cate Le Bon, Justin Meldal-Johnsen, Stella Mogzawa e David Ralicke, questo nuovo lavoro è una rappresentazione assoluta della visione unica di St. Vincent.

All Born Screaming è stato prodotto da St. Vincent e mixato da Cian Riordan.
Di seguito la tracklist:

  1. Hell is Near
  2. Reckless
  3. Broken Man
  4. Flea
  5. Big Time Nothing
  6. Violent Times
  7. The Power’s Out
  8. Sweetest Fruit
  9. So Many Planets
  10. All Born Screaming (feat. Cate Le Bon)

 

“Nowhere to Hide Now”, ansia e rabbia nell’alternative rock di Ghostpoet


Colonna sonora perfetta per questi tempi incerti, Ghostpoet condivide Nowhere to Hide Now, il nuovo singolo tratto dall’imminente album I Grow Tired But I Dare Not To Fall Asleep, uno squarcio oscuro e disturbante su un mondo infernale dove la paranoia regna sovrana.

Nowhere to Hide Now è un esplosione di alt rock agitato, guidato dalla voce idiosincratica di Obaro Ejimiwe e dal racconto impetuoso alimentato da paura, stanchezza e rabbia. Un brano viscerale e vivo, un promemoria potente del talento unico di Ghostpoet.

Seguito dell’acclamato album del 2017 Dark Days + Canapés,  I Grow Tired But Dare Not Fall Asleep è un album con uno sguardo distopico sull’ansia universale di questi ultimi anni e sulle sensazioni causate da un futuro incerto.

Questa la tracklist:

Breaking Cover
Concrete Pony
Humana Second Hand
Black Dog Got Silver Eyes
Rats In A Sack
This Trainwreck Of A Life
Nowhere To Hide Now
When Mouths Collide
I Grow Tired But Dare Not Fall Asleep
Social Lacerations

Gli Editors pubblicano “The Blanck Mass Sessions”

photo: Rahi Rezvani

Gli Editors annunciano la pubblicazione di The Blanck Mass Sessions in occasione del Record Store Day 2019, in programma il prossimo 13 aprile.
Il nuovo progetto della band inglese è la versione alternativa e più elettronica di Violence, l’album pubblicato lo scorso marzo, e dona nuova vita ai brani, svelando all’ascoltatore dei segreti sul processo creativo del disco.

L’album verrà pubblicato in edizione limitata in vinile colorata il 13 aprile per il Record Store Day e sarà poi disponibile dal 3 maggio su Play It Again Sam.

The Blanck Mass Sessions contiene le produzioni originali dei brani di Violence realizzate dal produttore Blanck Mass e il nuovo singolo Barricades, che viene accompagnato da un video meccanico creato agli Hi-Sim Studios di Bristol.

La storia di The Blanck Mass Sessions è iniziata nel 2017: gli Editors avevano invitato il produttore Benjamin John Power, meglio conosciuto come Blanck Mass, a lavorare sui brani, a scomporne i pezzi per poi ricomporli con il suo tocco di elettronica sperimentale. La band si era poi affidata al produttore Leo Abrahams per ottenere dai due prodotti il miglior risultato possibile e così era nato Violence, una fusione tra i processi creativi di tre elementi ben distinti tra loro. Ma la versione di Benjamin meritava di essere comunque pubblicata, come afferma Tom Smith: “Quando abbiamo chiesto a Ben di lavorare su Violence gli abbiamo lasciato la massima libertà. Ci sembrava stupido imporgli dei limiti o indirizzarlo verso qualcosa, visto che è in grado di donare un sound decisamente particolare a tutto quello che tocca… quindi lo abbiamo lasciato fare. E questo è il risultato, una versione molto viscerale del nostro album Violence”.

Billie Eilish è il presente, non il futuro


Quella di Billie Eilish poteva essere una ordinaria storia adolescenziale fatta di odio contro il mondo, broncio d’ordinanza, outfit rigororamente nero ingioiellato di borchie, poesie deprimenti scarabocchiate su un quadernetto e ore passate nella solitudine della cameretta a tapparelle abbassate e qualche disco metal sparato ad lato volume.
Invece nel caso di questa diciasettenne californiana le cose sono andate un (bel) po’ diversamente, al punto che oggi al suo nome molti, anzi moltissimi, affidano il destino del pop.

Se Billie Eilish sta facendo parlare di sé la stampa e il pubblico di mezzo mondo già da alcuni anni non è evidentemente solo per un colpo di fortuna, ma qualche merito ci deve pur essere. E in effetti la nostra Billie è una che con la musica ha iniziato familiarizzarci presto, molto presto, anche perché una certa attitudine per l’arte in casa sua c’è sempre stata.
Ora succede che, dopo un primo assaggio con l’EP Don’t Smile At Me, la ragazza dà alle stampe il suo primo album, WHEN WE ALL FALL ASPLEEP, WHERE DO WE GO?, anticipato da un hype che non si sentiva nell’aria da non so quanto tempo. Certamente quell’aura darkeggiante e quell’immagine squisitamente inquietante con cui è solita presentarsi hanno contribuito a stuzzicare l’appetito, ma adesso che l’album è arrivato cosa si può davvero dire di questo nuovo fenomeno del pop?

All’epoca ero troppo piccolo per ricordarlo, ma più di una persona mi ha raccontato come sul finire degli anni ’80 fioccassero le giovani popstar lanciate come presunte “nuove Madonna”: bastava che una fosse un po’ più discinta o esuberante delle altre e puntuale arrivava il confronto con la Ciccone, che all’epoca rappresentava davvero la rivoluzione del pop. Tra le ultime a essere etichettate da stampa e pubblico come “nuove Madonna” non si può non ricordare Lady Gaga (stiamo quindi parlando degli anni 2000), ma prima di lei ne sono passate a decine, quasi tutte miseramente dimenticate dopo qualche singolo. E poi ci sono state le “nuove Whitney”, le “nuove “Mariah”, le “nuove Tina”, addirittura in qualche caso si è già parlato anche di “nuova Adele”.
Nel caso di Billie Eilish il paragone con qualcun’altra è (fortunatamente per lei) difficile da fare, perché in effetti il suo stile non assomiglia davvero a niente che si sia sentito in giro: sì, siamo nell’area del pop, ma il suo non è esattamente alt-pop, né elettropop, né dance pop, né indiepop. È piuttosto un ibrido di influenze che prendono prestiti anche dal cantautorato, dal rock, dalla trap e persino da qualche ascolto di jazz.
Ecco che allora per lei si parla di “futuro del pop”. Personalmente, e forse meno romanticamente, sono più propenso a contestualizzare il mondo sonoro di Billie Eilish ai giorni nostri, nel nostro presente, come una nuova, moderna e freschissima manifestazione di una generazione abituata a mescolare le carte sulla tavola e rompere i confini d’identità.

WHEN WE ALL FALL ASPLEEP, WHERE DO WE GO? è giustamente un disco di cui vale la pena parlare, è spiazzante, affascinante, “obliquo” nel suo non prendere mai direzioni precise. Lo pervade un’inquietudine sincera e scomoda: è un disco figlio di questi tempi, frutto della creatività visionaria di una ragazza (e di suo fratello maggiore Finneas O’Connell) che – se non si perderà per strada – avrà seriamente la possibilità di scrivere il suo nome nella storia del pop e sarà davvero il “futuro”. Ma di questo ne parleremo quando ci arriveremo.

Per ora concentriamoci sul presente e su questo dirompente album d’esordio.
Tutto ci si poteva aspettare, tranne che un disco così venisse aperto da una risata spontanea e solare come quella che risuona in !!!!!!!, giusto in tempo però per lasciare spazio a ben altre atmosfere in pezzi come bad guy e xanny, che ammaliano con i loro incantesimi di elettronica perversa e sinistra, e poi ancora in quello che è probabilmente il pezzo-sovrano del disco, you should see me in a crown. È in momenti come questi che l’animo nero di Billie ci si palesa in tutta la sua forza meravigliosa, tra spire oscure di sintetizzatori, beat ipnotici e giochi al vocoder. Ed è abbastanza evidente che sono questi gli elementi attorno a cui la Eilish preferisce far girare la sue storie di fantasmi e inquietudini: ce lo dicono, per esempio anche my strange addiction e bury a friend.
Ma sarebbe un errore credere di aver così inquadrato tutto il personaggio: basta ascoltare wish you were gay o l’accompagnamento all’ukulele di 8. Se poi ci portiamo verso la fine dell’album incontriamo un trittico di brani improntati al minimalismo degli arrangiamenti: listen before i go poggia su un accompagnamento dilatatissimo ed etereo, i love you viene imbastito con chitarra, pianoforte e pochissimo altro e la conclusiva goodbye è incentrata sui riverberi sintetici della voce.

Eccolo il mondo di Billie Eilish, eccolo qui il nuovo pop: oscuro, sotterraneo, contorto. Caderci dentro potrebbe essere bellissimo, e non serve aspettare il futuro. Billie Eilish è arrivata, ed è qui per stupirci adesso.