Now, un nuovo album in inglese per Soltanto

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L’ho scoperto quest’anno ed è stata una gran bella rivelazione.
Soltanto
è un busker, o, per dirla all’italiana, un artista di strada, che alcuni anni fa ha scelto di lasciare l’Italia e un lavoro più o meno sicuro per dedicarsi alla musica. Da solo, nel 2010 è partito per un viaggio che dalla Francia lo ha portato fino alle Canarie e poi è partito alla volta dell’Italia.

Nel 2012, grazie alla raccolta di 10.000 euro con il crowdfunding, ha pubblicato il suo primo album, Le chiavi di casa mia.
Nel 2014 è partito per un tour nelle piazze e nelle strade d’Europa, durante il quale sono nati i brani del secondo album, Skye, pubblicato la scorsa primavera.

Adesso ha tradotto in inglese alcuni dei suoi brani, li ha ritoccati negli arrangiamenti e li ha riuniti in un nuovo album, Now.
Now è la serata con il tuo migliore amico, un bicchiere di vino a stomaco vuoto, la tua macchina ferma in tangenziale, un ricordo a cui non pensavi da anni che arriva senza chiedere il permesso alle cinque di mattina, quando hai perso il sonno.
Dentro a Now ci sono tutte le strade d’Europa che ho attraversato in questi anni: Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Scozia, Inghilterra, Polonia, Estonia, Lettonia, Finlandia, e tutte le nuove strade che arriveranno.
Spero ci sarete anche voi.”

Decibel, dopo quarant'anni un ritorno senza nostalgia e senza svendita

L’idea ha iniziato a solleticarli qualche anno fa, quando si sono ritrovati tutti e tre a Londra all’evento per il quarantennale di Kymono My House, storico album degli Sparks e disco fondamentale per la loro formazione. Da lì sono seguite alcune performance live “in privato” e poi finalmente la decisione: tornano i Decibel.

I Decibel, il gruppo di Enrico Ruggeri, Silvio Capeccia e Fulvio Muzio, quelli del punk, quelli di Contessa. Un’avventura iniziata a Milano nel 1977 e che ha visto concretizzarsi in una manciata di anni due album, Punk e Vivo da re, prima che i tre amici decidessero di prendere strade diverse, chi il medico (Fulvio), chi l’imprenditore (Silvio), chi il musicista (Enrico, ovviamente).
Oggi, a quarant’anni di distanza, il mondo dei Decibel si riaffaccia all’orizzonte con un album di nuove canzoni, mettendo completamente al bando ogni effetto nostalgia così come l’idea di un album di duetti. No, se i Decibel dovevano tornare, l’operazione doveva essere fatta per bene.
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Ecco allora Noblesse Oblige, il nuovo disco in arrivo il 10 marzo: 12 inediti e 3 rivisitazioni per un progetto presentato come un’operazione destinata alla nicchia al presidente di Sony Music Andrea Rosi, che per tutta risposta pare se ne sia uscito con un emblematico “Nicchia un cazzo!” dando così il nulla osta alla realizzazione.
Quando ne parla, Ruggeri è chiarissimo, con Noblesse Oblige si punta in alto: nessun groove, nessun suono sintetico, ma strumenti veri, suonati per davvero; un disco molto diverso da quanto fatto finora e da quanto si sente in giro attualmente, che si riallaccia idealmente a Vivo da re, e soprattutto un album che non vuole assolutamente concedersi al pop, termine che al cantautore fa quasi ribrezzo, tanto è associato al disperato bisogno di piacere a tutti. Un disco che non assomiglia a nulla, ci saranno rock, ballate, elementi dandy, e sarà più britannico che americano. Non un solo brano trainante, ma almeno cinque o sei.

Per la pubblicazione, oltre alla versione standard, è previsto un box ricchissimo in tiratura limitata di 1000 copie, già preordinabile on line dal 16 dicembre. Una chicca per super fan che conterrà, oltre al nuovo CD, la versione in doppio vinile, i vinili dei due precedenti album dei Decibel, il vinile del singolo Indigestione Disko/Mano armata, il poster del primissimo concerto della band (che in realtà non ha mai avuto luogo), il poster dell’ultimo tour, un book fotografico di 48 pagine, un DVD documentario cartolina autografata è T-shirt.
Il costo di tutta questa roba? Sui 100 euro, perché – come tiene a precisare Ruggeri – “non è svendita e ho chiesto a Sony di metterlo in vendita al prezzo più alto. Non ci interessa arrivare al grande pubblico, preferiamo che a seguirci sia una piccola nicchia. Questo prodotto sarà trattato come un oggetto di musica classica, adatta cioè a un pubblico adulto”.
E proprio con questa filosofia sono state pensate anche le date del tour, in partenza a marzo: piccole location e biglietti a prezzo alto:
17 marzo – Crema (Cr) Teatro San Domenico

18 marzo – Pomezia (Rm) Club Duepuntozero
25 marzo – Foligno (Pg) Auditorium San Domenico
28 marzo – Torino Club Le Roi
29 marzo – Asti Teatro Palco 19
10 aprile – Milano Teatro della Luna
Facile quindi comprendere, se qualcuno se lo chiedesse, il perché i Decibel non abbiano pensato di fare la loro rentrée dal palco dell’Ariston: “Ho già fatto Sanremo l’anno scorso e nel 2015 c’ero stato come ospite, quindi sarebbe stato il terzo anno consecutivo. È poi sono sicurissimo che la gente avrebbe fatto subito un confronto tra il nuovo brano e Contessa, perché purtroppo la mente delle grandi platee è così, ma noi non siamo alla ricerca delle grandi platee”.
Un’attitudine un po’ snob? Forse. Anzi, sicuramente e volontariamente, in nome dell’arte.

Perché Noblesse Oblige? “È il nostro modo di rendere omaggio ai nomi del rock verso cui sentiamo di avere un debito, Lou Reed, David Bowie, gli Sparks, i Roxy Music”.

BITS-RECE: Tiziano Ferro,Il mestiere della vita. Vivi, ama, balla

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Da qualche tempo la musica di Tiziano Ferro aveva preso una strada che mi lasciava non poche perplessità: dopo i primi album ridondanti di influenze r’n’b e soul, il ragazzone di Latina si era sempre più lasciato andare a ballatone melense, spesso tendenti a umori in minore. Grande sfoggio vocale, non c’è che dire, e grandissimo apprezzamento da parte del pubblico, ma a me mancavano i tempi Xverso e Stop! Dimentica, quando Tiziano sapeva mostrare cosa significa prendere dei generi stranieri e portarli nella musica italiana senza cadere in banalità e provincialismi.

E se devo essere sincero, anche quando è uscito Potremmo ritornare, il singolo che ha anticipato il nuovo album, mi ero già immaginato un nuovo capitolo discografico fatto lacrime, downtempo e struggimenti del cuore. Che per un po’ può anche andare bene, perché Ferro le ballate e i lenti li sa fare con tutti i crismi, ma dalla sua musica io voglio sentire più mordente. Cerco, insomma, un po’ meno zucchero filato e un po’ più di croccantezza.
Fortunatamente, Il mestiere della vita, questo il titolo del disco, è stata in questo – se mai fosse possibile – una rivelazione, fin dall’intro di Epic: un album che finalmente tira fuori i denti e ricomincia a mordere con i suoi ritmi decisi, molto diversi da brano a brano, a tratti taglienti; ecco ritornare in primo piano il sound d’Oltreoceano, recuperato senza l’inutile pretesa di adattarlo alla melodia e al bel canto italiano. In questo Tiziano Ferro è sempre stato coraggioso, o meglio un innovatore, non ha cercato di mettere a tutti i costi lo spirito italiano dove non poteva starci, e si è adattato lui (e i suoi produttori, Canova su tutti) all’anima di quei suoni creandosi un ambiente musicale personale.
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In Il mestiere della vita il ragazzo spazia con invidiabile disinvoltura tra r’n’b, soul, hip hop e pop, fino alle lande dell’elettronica e, come in passato ha dimostrato di saper fare, ci unisce l’immensa componente umana dei testi, che ti fa venire il brividino per quelle due o tre parole messe in fila nel punto giusto; Tiziano la vita la sa guardare in faccia e sa raccontarla con trasparenza e sensibilità pura, e quando non è lui a scrivere i testi, sa scegliersi con acume gli autori giusti (vedi, per esempio, alla voce Emanuele Dabbono, che non a caso Tiziano ha legato a sé con contratto in esclusiva).
Questo suo sesto capitolo discografico è quindi in un certo senso un ritorno alle origini, a quelle atmosfere internazionali che ce lo avevano fatto conoscere giovanissimo, ma è anche un disco che sa stupire, soprattutto se si ascolta il duetto con Carmen Consoli in Il conforto, forse il brano più atipico in cui la cantantessa si sia cimentata. O, ancora, è un disco che fa strabuzzare gli occhi quando si scopre che dentro ci è finito anche My Steelo, in duetto con Tormento: chi non è proprio teenager forse ricorderà che costui è stato una delle due colonne portanti dei Sottotono, uno dei primi progetti di area rap italiani tra anni ’90 e primi ’00, e forse si ricorderà anche che prima di esordire con la sua musica il buon Tiziano era stato ingaggiato come corista proprio in un tour dei Sottotono. Scambio di favori? Boh. A me piace più vederlo come un ritorno alle origini.

Melodia, tanta melodia quindi, e soprattutto piena libertà data ai ritmi, declinati sotto una gran varietà di luci, e una presenza nei giusti termini di momenti “sentimentaloni”.
Assurto ormai a tutti gli effetti al rango di “grandissimo” del nostro patrimonio musicale, con questo disco Tiziano fa vedere come si possa fare un album di electro-r’n’b che oltre a far muovere i piedi riesce anche a spiegare come si maneggia questo complicato arnese chiamato vita. O almeno ne offre un lucido punto di vista.

BITS-CHAT: Una fotografia con Tiziano. Quattro chiacchiere con… Emanuele Dabbono

BITS-CHAT: Una fotografia con Tiziano. Quattro chiacchiere con… Emanuele Dabbono

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Con la musica ha iniziato ad averci a che fare molto prima, ma probabilmente la maggior parte di noi ha conosciuto Emanuele Dabbono nel 2008, quando ha partecipato alla prima edizione italiana di X Factor, quella di Giusy Ferreri per capirci, classificandosi terzo.
Poi in televisione lo abbiamo visto pochissimo, anche se lui la musica non l’ha mai lasciata. Da allora di cose ne sono successe tante: cinque album, due libri e una nuova esperienza, quella di autore, arrivata dall’invito di una persona molto speciale, che di nome fa Tiziano e di cognome Ferro.
Un sodalizio iniziato nel 2013 con un brano scritto per Michele Bravi, e proseguito con un contratto in esclusiva che ha portato a Incanto, fino a Valore assoluto, Il conforto e Lento/Veloce, tre brani di Il mestiere della vita, ultimo album dell’artista di Latina.
Un percorso incredibile insomma.

Quello che manca adesso è solo una cosa, una piccolissima cosa: una fotografia, che però va meritata.
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Partiamo dall’inizio: come nasce la collaborazione con Tiziano Ferro?

È una storia abbastanza singolare, forse è la prima volta che la racconto: io e Tiziano ci conosciamo dal 1998, quando abbiamo partecipato entrambi al concorso dell’Accademia di Sanremo, che avrebbe poi portato al palco dell’Ariston tra le Nuove proposte del Festival. Siamo arrivati in finale, ma nessuno dei due è stato selezionato: siamo però stati contattati da Alberto Salerno (produttore discografico e marito di Mara Maionchi, ndr) e da quel momento abbiamo preso strade diverse. È capitato poi di incontrarci di nuovo qualche volta, come nel 2008, quando io arrivai in finale nella prima edizione di X Factor e presentai il mio inedito, Ci troveranno qui, mentre lui aveva scritto con Roberto Casalino l’inedito di Giusy Ferreri, Non ti scordar mai di me. Era già una superstar, io invece continuavo la mia gavetta nell’indie rock. Mi fece un sacco di complimenti e mi disse che non mi avrebbe perso di vista: al momento non ci ho dato troppo peso, mi sembrava una di quelle frasi di circostanza che si dicono, invece nel 2013 mi ha contattato per dirmi che gli avrebbe fatto piacere se avessi scritto un brano per Michele Bravi (vincitore della settima edizione di X Factor, ndr), perché gli piaceva la tenerezza che mettevo nella scrittura. Da lì è nata Non aver paura mai, e da quel momento lui ha deciso di mettermi sotto contratto come autore. Lo conosco da quasi vent’anni, e mi fa quasi sorridere pensare che non ho nemmeno una foto insieme a lui: non l’ho mai considerato come “vip”, ma ho sempre ammirato la sua dimensione umana. Credo sia anche per questo che mi apprezza e mi fa piacere che quando mi cita non mi definisce un suo autore, ma un suo amico.
Una storia davvero singolare, e molto bella!
Mi sembra un po’ una storia romanzesca di una volta, quando l’interprete aveva il suo autore di riferimento: un po’ come Vasco Rossi con Gaetano Curreri, io vorrei essere la sua firma. Se mai un giorno faremo una foto insieme, mi piace pensare che sarà lui a chiedermela, e allora vorrà dire che me la sono proprio meritata.
Di fatto, Tiziano Ferro è stata quindi la prima persona per cui hai scritto un brano.
Esatto: dopo il brano per Michele Bravi, Incanto è stata la seconda canzone che gli ho mandato ed è il mio primo vero successo, un po’ inaspettato tra l’altro, perché è un brano in tre quarti dalle atmosfere irlandesi. Il primo giorno di programmazione, su RTL dissero “Ecco il nuovo singolo di Tiziano Ferro, a metà strada tra i Tazenda e i Modena City Ramblers”, e in quel momento ho subito pensato che lo avrebbero tolto il giorno dopo dalla programmazione, invece il pubblico l’ha scelto e lo ha amato.
I tre brani che hai scritto per Il mestiere della vita sono stati composti pensandoli già per Tiziano?
Essendo il mio editore, devo fargli leggere tutto quello che scrivo: ogni volta che mi sembra di aver scritto qualcosa di buono glielo mando sperando che gli piaccia, ma finora non ho mai scritto pensando al destino della canzone, perché la strada che prende un brano è imprevedibile. Io so solo che devo fare del mio meglio, devo cercare qualcosa che abbia il germe della bellezza, che possa essere cantato in uno stadio e duri alle mode e al passare del tempo. La bellezza è l’unico diktat che ci siamo imposti, con la libertà di spaziare dal pop al rock, al soul al jazz. Dobbiamo schiacciare play e sentire noi per primi il brivido.

So che Il conforto non era stata pensata come un duetto.
È stato Tiziano a trasformarla: quando quest’estate ho sentito la versione finale del brano, in duetto con Carmen Consoli, è stata un’emozione indefinibile. Carmen è la prima artista femminile che canta qualcosa scritto da me: sono partito decisamente dall’alto!
Come nasce di solito un tuo brano? Da cosa parti quando scrivi?
Negli ultimi tre anni ho modificato drasticamente il mio modo di lavorare: sono un amanuense, scrivo tantissime canzoni, tutte catalogate in maniera forse un po’ maniacale, e oggi sono a quota 1571 brani. Una mole impressione, ma solo di una trentina vado davvero fiero. Da Capricorno, mi serve una “palestra enorme” per raggiungere un risultato minimo che mi soddisfi. Se agli altri bastano due o tre tentativi, a me ne servono almeno trenta. Scrivo da quando avevo 12 anni e mi piace mantenere la componente ludica: non ho orari o schemi prefissati, mi piace variare ogni volta, partendo dalle parole oppure da un giro di accordi di chitarra o basso, oppure usando Pro Tools, lo stimolo arriva sempre inaspettato. In genere, mi piace comunque avere un titolo da cui partire, come un chiodo a cui poter appendere un quadro.
Il conforto si chiude con troppo, troppo, troppo amore. Ma quand’è che l’amore diventa”troppo”?
L’amore è un’arma a doppio taglio, ci fa sentire migliori e in armonia con tutto ciò che ci circonda, ma è anche capace di toglierci il fiato e di farci sentire mancanti in qualcosa. Esiste un amore totalizzante e un amore destabilizzante, che diventa possesso, gelosia. Il conforto è anche una canzone sul coraggio di ammettere che una storia è finita, prendere in mano il proprio cuore significa prendere le distanze da una situazione che ci ha fatto soffrire.

A proposito del tuo lavoro, tu parli di “compito vitale” e il titolo del tuo ultimo libro è Musica per lottatori: come inquadri oggi la figura del cantautore all’interno della società?
Lottiamo sempre, fin dai primi istanti di vita, si viene al mondo tirando fuori i muscoli. Nel libro, la musica di cui parlo non è fatta di note, ma di parole. Penso che oggi il potere della musica non sia legato solo alle note, agli accordi, alla leggerezza o alla drammaticità che quelle note possono suscitare: oggi le canzoni devono trovare forza nelle parole, devono essere riscoperti i testi, perché se c’è una cosa che abbiamo ereditato dalla tradizione musicale e culturale italiana è proprio il bagaglio dei nostri cantautori, che sceglievano come spendere le proprie parole. Fossati ha detto che il futuro sarà di quella persona che un giorno userà una parola che nessuno ha ancora usato e la farà suonare come una cosa semplice per tutti. Credo molto nel potere curativo delle parole, unite alla musica possono fare del bene.
Negli ultimi anni hai suonato spesso all’estero, soprattutto in America, e hai anche inciso due album in inglese, Vonnegut, Andromeda & the tube heart geography e Songs For Claudia: mai avuta la voglia di tentare la strada fuori dall’Italia?
No, l’ho sognato, ma non ci ho mai davvero pensato. Sono abbastanza conscio dei miei limiti: suonare all’estero mi ha aiutato ad approcciarmi in maniera diversa alla scrittura e al pubblico e soprattutto mi ha fatto aprire la mente eliminando i paletti tra i generi, proprio come fa Tiziano, che passa dallo swing all’r’n’b al soul. Dovremmo imparare a farlo di più qui in Italia, perché spesso anche dai nostri grandi nomi arrivano tentativi un po’ provinciali di approcciarsi a generi diversi, si fatica ad uscire dal seminato. Per me suonare a Central Park o ad Harlem è servito soprattutto come esperienza personale, che ripeterei se ne capitasse l’occasione, ma senza cercare qualcosa di più.

In futuro su cosa vorresti concentrarti?
Sulla carriera da autore, senza per questo interrompere il lavoro da cantautore: come autore però sto provando un senso di libertà che prima raramente avevo vissuto. E poi veder arrivare nella vita delle persone qualcosa che hai scritto tu è una soddisfazione immensa: fa impressione sentire il pubblico di San Siro cantare qualcosa nato in una stanzina.
A questo punto, ho una curiosità da togliermi: che effetto fa sapere che il pubblico spesso non sa chi sia l’autore di un brano ma attribuisce le parole del testo solo all’interprete?
Io sono la persona sbagliata per rispondere, dovresti chiederlo a quegli autori che non vengono mai nominati dai loro interpreti. Posso dire di essere un privilegiato, perché Tiziano non perde occasione di fare il mio nome, addirittura lo ha fatto a Sanremo, roba che quando capita caschi dal divano. Mi sento totalmente appagato per quello che faccio.
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Per chi ti piacerebbe scrivere?
Purtroppo quelli per cui vorrei scrivere lo sanno fare benissimo da soli! (ride, ndr) Se dovessi pensare a una collaborazione, mi piacerebbe moltissimo lavorare con Niccolò Fabi, persona che stimo molto, e Francesco Gazze, il fratello di Max e autore dei suoi testi. Mentre dormi è una delle canzoni più belle scritte negli ultimi anni, che non ha nulla da invidiare a Il cielo in una stanza.

Hai già fatto programmi con i Terrarossa, la tua band?
L’anno prossimo dovremmo tornare con un nuovo album, abbiamo già scelto le canzoni e mi piacerebbe che fosse un disco acustico: ho un sacco di influenze che arrivano da quel mondo, Damien Rice, Counting Crows, ho suonato per le strade in Irlanda e mi piacerebbe far sentire un po’ di quell’esperienza, lontano dai featuring e dai tentativi di avvicinarmi alle radio. Vorrei fare un disco onesto, un piccolo gioiellino, magari registrato tra la sala e la cucina con i microfoni aperti.
Cosa ti resta oggi di X Factor?
Un’esperienza che mi ha dato popolarità e la possibilità di far diventare lavoro una passione, ma anche un’esperienza violenta, lontana dal mio modo di essere e di vivere la musica, perché mi sono dovuto confrontare con le cover ed è stato un po’ limitante. Essendo la prima edizione, non sapevo bene cosa mi aspettava e dopo la prima puntata volevo venir via, invece sono arrivato in finale. Considerando tutto, oggi non so se lo rifarei.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
La ribellione più grande oggi è essere se stessi: può sembrare una frase fatta, ma il più grande anticonformista è chi non guarda tanto fuori per vedere come sono o cosa chiedono gli altri, ma scava molto di più dentro se stesso. In tutti gli ambienti, musica compresa, si resta incanalati in parecchi schemi, e solo quando si va alla ricerca della propria essenza si fanno cose veramente originali, vale a dire uguali a ciò che si è. E essere uguali a se stessi è il più grande atto di “fanculo” che si può gridare al mondo.

A4App: il 16 dicembre il primo album live di Anastacia

Il 16 dicembre arriverà il nuovo album di Anastacia, A4App, il suo primo album live.
Le 10 tracce inserite nell’album sono state scelte dai fan, tramite la Anastacia App, nell’Ultimate Collection Tour della scorsa estate, e ben 6 canzoni su 10 sono state registrate durante i concerti italiani.
Si tratta di b-side e tracce non pubblicate come singoli.
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La grafica dell’album è opera di Norbee, un fan ungherese dell’artista, che ha incontrato la cantate lo scorso 22 giugno in occasione della tappa del tour a Budapest, regalandole il disegno poi utilizzato per la cover.
Tracklist:
1 Resurrection (Registrata a Carpi)
2 Overdue Goodbye (Registrata a Murcia)
3 Rearview (Registrata a Ostuni)
4 In Your Eyes (Registrata a Ostuni)
5 Dark White Girl (Registrata a Taormina)
6 The Saddest Part (Registrata a Schopfheim)
7 Who’s Gonna Stop The Rain (Registrata a Dinslaken)
8 Pendulum (Registrata a Monte Urano)
9 Time (Registrata a Verbania)
10 Underground Army (Registrata a Dinslaken)
Su PledgeMusic è possibile prenotare le copie autografate dell’album.

 

J-Ax, Fedez e la grande carica dei Comunisti col Rolex

Il 2017 partirà, almeno musicalmente, col grande botto: arriverà infatti il 20 gennaio Comunisti col Rolex, il primo e tanto atteso album in coppia di J-Ax e Fedez.
Ad anticiparlo è stato alcune settimane fa il singolo Assenzio, che vede la partecipazione di Stash e Levante.
La lista degli ospiti dell’album si annuncia però molto più lunga, da Giusy Ferreri, Sergio Sylvestre, Alessandra Amoroso, Alessia Cara, Nek, Arisa, fino a  Loredana Bertè, in una illustre parata di stelle del pop.
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Questa la tracklist:
1. Assenzio feat. Stash e Levante
2. Comunisti col Rolex
3. Il giorno e la notte feat. Giusy Ferreri
4. Senza pagare
5. Fratelli di paglia
6. Tutto il mondo è periferia
7. Milano intorno
8. Vorrei ma non posto
9. L’Italia per me feat. Sergio Sylvestre
10. Musica del cazzo
11. Piccole cose feat. Alessandra Amoroso
12. Cuore nerd feat. Alessia Cara
13. Anni luce feat. Nek
14. Meglio tardi che noi feat. Arisa
15. Allergia feat. Loredana Bertè
16. Pieno di stronzi

BITS-CHAT: Sbaglio, ergo sum. Quattro chiacchiere con… Pellegatta

pellegattaNon si diventa busker, lo si nasce: l’anima dell’artista di strada la devi avere dentro, perché devi essere pronto a suonare, magari per ore, incontrando i volti frettolosi della gente, nella canicola di luglio o tra il freddo di gennaio. E per tutto questo essere bravo a suonare e cantare non basta. Manuela Pellegatta ne sa qualcosa. Anzi, più di qualcosa.
Nata nella provincia milanese, prima di arrivare alla musica è passata attraverso la Scuola di Scenografia dell’Accademia di Brera, un’esperienza a teatro e una laurea in Giurisprudenza. Poi però il richiamo della musica e della strada si è fatto troppo forte e anziché varcare la soglia dello studio legale, Pellegatta si è infilata il suo cappello, ha imbracciato la chitarra e si è messa a suonare nelle vie del centro di Milano. 
Un’esperienza artistica e personale che le ha portato numerosi incontri che hanno trovato riflesso in alcuni dei suoi brani. La conoscenza con il produttore Paolo Iafelice, già al lavoro con De André e Ligabue, si è concretizzata in Tre minuti di sbagli, il suo primo album. Un disco luminoso e leggerissimo, pur intriso di ricordi e di vita.
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Dunque, sei arrivata a dedicarti completamente alla musica dopo la laurea in Giurisprudenza: una scelta a dir poco coraggiosa. Cosa ti ha portato a compierla? E come mai ci sei arrivata solo dopo aver completato gli studi?

Probabilmente avevo bisogno di fare quel percorso, sentivo l’esigenza e la curiosità di entrare in quel mondo completamente diverso dal mio. Mi è servito.
Quando hai iniziato gli studi, come immaginavi il tuo futuro?
In realtà non ci pensavo molto, vivevo giorno per giorno, perché era tutto nuovo. Zero aspettative.
Anche quella di Giurisprudenza è stata però una scelta compiuta dopo un’esperienza all’Accademia di Belle Arti di Brera e la recitazione: la vocazione per l’arte quindi era già manifestata… perché anche in quel caso hai deciso di lasciare?
Perché un professore, dopo un bellissimo lavoro sullo scenografo Josef Svoboda, scenografo Cecoslovacco, mi ha consigliato di uscire da quel “monastero” e poi perché prendevo stranamente tutti 30 in tutte le materie.
Nessun pentimento oggi?
E perché dovrei? Ho un sacco di bei ricordi, l’unica cosa che mi sono sempre portata dietro è l’ansia da prestazione quando mi fanno delle domande… Ti posso garantire che quando sei seduto per sostenere l’esame di Diritto Civile per la terza volta non è facile contenere tutta l’ansia.
L’esperienza del buskin cosa ti ha lasciato? La porterai avanti ancora? È perché secondo te in Italia quest’attività è vista con “sospetto” rispetto a quanto succede all’estero?
Sì, la porterò avanti perché mi fa star bene, è una meditazione con la chitarra, sono nella mia bolla di energia. In Italia non è vista con sospetto, ci si avvicina lentamente ad ascoltare nelle piazze la musica, a volte però capisco che ci sono situazioni in cui gli artisti sono eticamente scorretti, non riescono a inserirsi perché alzano i volumi senza pensare che bisogna creare un’atmosfera piacevole e non interagire in modo aggressivo. Senza aspettativa.
Quanti “3 minuti di sbagli” ci sono stati nella tua vita?
Tantissimi! In quei minuti cerco la risposta giusta che non sono mai riuscita a dire nel momento giusto alle persone che mi hanno rivolto determinate domande.
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Credi nell’importanza e nell’insegnamento degli errori?
Sì, ma anche viversi l’errore fa bene alla salute soprattutto all’Ego.
Mi sembra che una frase che sintetizza bene l’album sia “mi sono persa eppure sto meglio”: cosa vuol dire per te perdersi? Non ti fa un po’ paura?
È da quando sono piccola che sogno di essere un’ape ed entrare e uscire dalle finestre per vedere le cose secondo più prospettive. No, non mi fa paura, sai cosa mi fa paura? Stare in casa davanti al computer per ore.
Puoi spiegare il significato di Drinking Sea Water?
Ho scritto questo brano prima in italiano, Bevo Acqua di Mare, poi l’ho tradotta in inglese con la cantautrice americana Rachel Mascetta. Ognuno di noi ha un’idea ben precisa del vantaggio o meno di voler andare via da un paese, e credo che fin quando una persona non vive personalmente una tragedia e sia costretta a fuggire altrove non potrà mai capire per davvero la sofferenza di tutte le persone che stanno affrontando questo disagio.
Ho letto che suoni la chitarra…. al contrario: è vero?
Si, è vero! Diciamo che la suono secondo un’altra prospettiva, in modo istintivo, con sonorità che mi piacciono. Quando ero piccola prendevo la chitarra di mio fratello e iniziavo a imitarlo a specchio.
Il prossimo anno sarai protagonista di Milestone, un documentario del regista afghano Amin Wcahidi: puoi già dire qualcosa? Di cosa si tratta?
È un documentario che sta crescendo con me. Amin Wahidi, vincitore del Premio Città di Venezia 2014 e Carpine D’Argento nel 2015 per il cortometraggio l’Ospite, si avvicina a una realtà sconosciuta come l’arte di strada. Da due anni mi sta inseguendo con la sua telecamera e a breve ci sarà il montaggio.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Ribellione vuol dire tanta testa sulle spalle e piedi per terra, saranno cose già dette ma per inseguire il proprio spirito ribelle bisogna avere molto coraggio.

BITS-RECE: Melanie Martinez, Cry Baby. Zucchero filato amaro

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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È bello vedere che almeno gli tanto anche il mondo del tanto vituperato mainstream riesce a offrire qualcosa che, nell’ambito del pop al femminile, non abbia proprio lo stesso livello glicemico della media.
Prendere per esempio il caso di Melanie Martinez. Classe 1995, originaria di Porto Rico, nel 2012 ha partecipato all’edizione americana di The Voice, ritrovandosi sotto la protezione di Adam Levine. Una volta fuori, andando contro ciò che la più lineare logica di mercato avrebbe previsto, si è presa un bel po’ di tempo per lavorare al suo primo progetto discografico, l’EP Dollhouse, che infatti è stato pubblicato solo nel 2014. Già in quelle prime quattro tracce, la ragazza mostrava gli elementi che avrebbero poi caratterizzato il suo primo vero album, vale a dire un concept incentrato sullo stridente contrasto tra la smagliante apparenza e le crepe della realtà nella vita di una qualsiasi famiglia benpensante, il tutto immerso in un’atmosfera quasi favolistica pullulata di bambole e ninnoli.
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Un tema nuovamente è più ampiamente affrontato in Cry Baby, l’album di debutto. La storia che Melanie vuole raccontare è quella di una bambina – chiamata proprio come l’album – che non riesce a trovare il suo posto nella realtà che le sta intorno, gli amichetti di scuola non la comprendono e non la accettano, lei è la diversa, l’esclusa. Lei è un freak. Un racconto portato avanti con un pop in cui non si fanno mancare influenze hip hop e di un certo cantautorato, ma che soprattutto procede sotto luci dai colori non sempre rassicuranti. Il rosa confetto si muta in viola, l’azzurro diventa petrolio. E i sorrisi si incupiscono.
La storia della protagonista passa anche attraverso problemi famigliari e delusioni di cuore. Una favole a tinte noir, priva della candida innocenza che caratterizza di solite le piccole eroine. Cry Baby viene esclusa e soffre, ma si costruisce il lieto fine nel suo colorato mondo di bambole, ritrovando la sicurezza solo in se stessa.
Incarnando perfettamente anche nell’aspetto il personaggio da lei creato, Melanie Martinez ci si presenta come la ragazzina triste del pop, quella che dallo stile musicale più zuccheroso che ci sia sa trarre ombre.
È non è certo un caso che scorrendo le tracce dell’album vi siano momenti in cui torna spaventosamente alla mente Lana Del Rey, la più triste delle popstar, quella che usava il pop per ricordarci che siamo tutti destinati a morire.
Melanie Martinez non arriva a tanto, ma ci vedere che anche il pop sa piangere, e quando lo fa potrebbe persino essere bellissimo da ascoltare.

Diodato: il 27 gennaio il nuovo album

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Il 27 gennaio 2017 torna con un nuovo progetto discografico, uno dei più talentuosi giovani cantautori italiani. Esce infatti  il secondo disco di inediti di Diodato dal titolo Cosa siamo diventati.
Sono stati tre anni intensi quelli che dal 2013, anno di uscita dell’album di esordio E forse sono pazzo, hanno segnato la vita del cantautore: dalla partecipazione al Festival di Sanremo nel 2014, alla vittoria del premio “Best New Generation” di Mtv, alle dodici puntate consecutive a Che tempo che fa che ispira il disco A ritrovar Bellezza, personale tributo ai grandi della musica italiana.
Da febbraio 2017 partirà anche il tour nei maggiori club italiani.
Queste le prime date:
2 febbraio 2017, Torino – Hiroshima
3 febbraio, Milano – Santeria Social
8 febbraio, Roma – Quirinetta
16 febbraio, Firenze – Spazio Alfieri
24 febbraio, Napoli – Lanificio 25
25 febbraio, Pulsano (Ta) – Villanova

Le Mosche all'esordio con Senza ali

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Dopo i primi due singoli, Mi assento e Talent, brano ironico e disilluso con la partecipazione di Nevruz, le Mosche pubblicano il loro primo disco, Senza ali.
“Questo disco è una dichiarazione di attaccamento alla realtà, di riconoscimento dei propri limiti e di scoperta del proprio potenziale di esseri umani. Senza ali è guardare al passato, al presente e al futuro con la massima attenzione e consapevolezza di sé. È ricerca della felicità. È la voglia di guardarsi dentro e confrontarlo con ciò che gli altri vedono dentro sé stessi.”
Tra le dieci tracce, anche una personale rivisitazione di Il mare d’inverno di Ruggeri.