Max Pezzali porta gli 883 a San Siro: nessun rimpianto, solo festa e karaoke


Dici Max Pezzali e pensi 883. Dici 883 e pensi agli anni ‘90.
Perché che Max Pezzali – e quindi gli 883 – abbia marchiato musicalmente gli anni ’90 italiani è fuori di dubbio. Basti pensare che è uno di quei casi in cui non è necessario essere “fan” per conoscere gran parte della sua discografia: le sue canzoni sono parte del patrimonio collettivo, sono orgogliosamente e intenzionalmente nazionalpopolari, nate per appartenere a tutti, dal più burbero dei metallari al più ribelle dei “rappofili”, passando per i puristi dell’indie (che negli anni ’90 non sapevamo neanche cosa fosse). In quelle storie di serate in discoteca, goffi approcci amorosi, sogni che scavalcano l’oceano ci siamo trovati tutti almeno una volta.

Il successo di Max Pezzali – e quindi degli 883 – è bello perché è pulito, onesto, è un successo che ha giocato sempre e soltanto con la musica e mai con le chiacchiere, gli scandaletti o le manie da star. Pezzali è riuscito a diventare l’icona di un’epoca senza mai trasformarsi in un personaggio e nessuno si arrabbierà se confesso bonariamente che l’ho sempre trovato il cantante con la peggior presenza scenica della storia. Sul palco sembrava sempre esserci finito per sbaglio, mentre cantava alzava le braccia e sembrava voler dire “e io che ne so?”. È sempre stata la musica a parlare per lui.

Le due serate-evento di “San Siro canta Max” – inizialmente programmate per il 2020, poi rimandate al 2021 e infine al 2022 – sono arrivate come il giusto riconoscimento di 30 anni di una carriera fortunatissima. E se per qualcuno dovevano avere solo il sapore dell’amarcord, nei fatti sono state un’esondazione di festa. Raramente in un concerto ho respirato lo stesso clima di entusiasmo, con 60.000 persone felici di essere lì e pronte far andare le gambe e la voce per due ore e mezza praticamente ininterrotte.
La partenza, alle 21.00 puntualissime, è di quelle che lasciano il segno, con La lunga estate caldissima, Sei un mito e Gli anni servite subito una dopo l’altra. E si fa presto a capire il perché del titolo dato allo show, “San Siro canta Max”: si sarebbe potuto chiamare anche “San Siro urla Max”, e avrebbe ugualmente rispettato le aspettative. Lo spirito dell’evento non è solo sul palco, ma è soprattutto in quello che succede nel prato e sulle tribune, un boato pieno, che non si fa attendere e non si risparmia. Il Meazza come un gigantesco karaoke in cui non servono i microfoni.
Uno dopo l’altro arrivano poi gli altri successi, in scaletta ci sono tutti. Per Hanno ucciso l’uomo ragno un’ovazione accoglie Mauro Repetto, l’altra metà degli 883, che a un certo punto della storia si era fatto da parte un po’ inspiegabilmente: è la reunion che in tanti aspettavano e che non poteva trovare occasione migliore, proprio negli stessi giorni in cui è stato annunciato il divorzio artistico di Pezzali dai due storici produttori, Claudio Cecchetto e Pier Paolo Peroni. E che quella di Repetto non si sia solo una comparsata sembra fin troppo evidente, è lo stesso Max a parlare di “nuove idee” su cui lavorare. D’altra parte, la scritta sui maxischermi parla chiaro, MAX 3.0 si legge a caratteri cubitali in vari momenti della serata.
Altro giro, altra reunion. Questa volta tocca a Paola e Chiara, che proprio con gli 883 hanno iniziato la carriera in veste di coriste nell’album “Nord Sud Ovest Est”: “Non voglio prendermi il merito di aver portato loro fortuna, ma di certo non gli ho portato sfiga!” scherza Max prima di annunciare le sorelle Iezzi sul palco dopo quasi 10 anni dalla fine del progetto in coppia. E anche qui la testa di molti inizia a fantasticare di un loro ritorno, forse per il prossimo Sanremo, chissà.

La scaletta scivola via veloce, l’adrenalina invece resta altissima. Difficile dare un nome all’emozione che si prova: la nostalgia dei ricordi è in perfetto equilibrio con l’euforia del momento.
Pezzali non si perde in troppe parole e sembra sinceramente stupito di quello che sta vivendo. Il finale è affidato alla tripletta d’oro di Con un deca, Il grande incubo e La dura legge del gol, prima di lasciare spazio ai (veri) bis di Come mai e Gli anni, questa volta in versione acustica e con tutti i protagonisti insieme sul palco. A chiudere tutto è Grazie mille, fin troppo facile.

Alle 23.30 esatte le luci di San Siro si spengono, ma la storia di Max Pezzali/883 è destinata a continuare.

Tanto per cominciare, per novembre sono fissati due live nei palazzetti a Milano e Roma, poi altri appuntamenti da marzo 2023. In mezzo c’è un intervallo che sembra fatto apposta per far rotta verso l’Ariston di Sanremo. Vedremo…
In ogni caso, di anni da scrivere ce ne saranno altri, possiamo scommetterci.

Foto di Luca Marenda.
Qui la gallery completa.

EDMMARO vs KHARFI: colmare le distanze con un drop.

Ci sono pochi centimetri che dividono un dj dal suo pubblico, e questa distanza può essere colmata con la musica o fisicamente.

Edmmaro e Kharfi sono riusciti a unirsi con la loro gente utilizzando entrambe le vie, ed è questo che personalmente ha reso il live di venerdì 13 maggio un enorme successo.

La pista stracolma di persone del Gate si è infiammata appena due ragazzi con il completo e la cravatta si sono avvicinati alla console e hanno aperto le danze con remix imprevedibili e drop da torcicollo a vita.

Il giovane Kharfi ha chiesto più volte se Milano ci fosse, e la città ha risposto alla grande.

Unendo i loro stili per 3 ore di esibizione, hanno sempre mantenuto la soglia di attenzione alta alternando il personaggio del dj concentrato sulla console a quello del capo ultras che incita la folla.

Che differenza c’è tra un palco importante a livello nazionale come quello del Nameless ed un qualsiasi altro stage? Nessuna, la musica regna sovrana e risulta impossibile non apprezzare la performance dei due dj che sicuramente hanno la strada spianata per una carriera ricca di successi.

Se dovessi pensare ad un momento pieno di romanticismo mi verrebbe in mente quel preciso istante nel quale dalla console di una discoteca viene urlata la frase “le mani al cielo” e improvvisamente ti ritrovi con le braccia in alto, gli occhi chiusi e spensierato.

Questo del dj è un superpotere e venerdì 13 maggio 2022 Edmmaro e Kharfi ci hanno regalato la possibilità di vivere tutto questo, liberando l’amore che per troppo tempo abbiamo trattenuto per colpa della pandemia.

Ancora un altro pezzo ti prego, ancora un altro drop poi giuro che torno a casa.

PS:

Dopo venerdì ho una certezza: prossima volta che avrò il piacere di godermi un live di Edmmaro e Kharfi arriverò preparato con la galleria del telefono quasi vuota perché ad ogni cambio viene naturale tirare fuori il cellulare e filmarli per avere un ricordo.

 

Testo di Luca Giardini

 

LUDOVICO EINAUDI e il silenzio del lockdown, una nuova sonorità. “UNDERWATER” fuori il 21 gennaio.2

Quando ascolti un pianoforte suonare a cosa pensi?

Non dirmelo, qualsiasi risposta mi daresti sarebbe troppo personale per capirla fino in fondo ed è giusto così.

Einaudi non è soltanto quel sottofondo che si può ascoltare prima di un appuntamento romantico, ma anche dopo una serata con la tua migliore amica, fumando una sigaretta consolatoria sul balcone dopo aver litigato con qualcuno, ritornando a casa dal lavoro o andando a correre alla mattina presto ammirando l’alba… 

oppure sai cosa mi immagino? Mi immagino Einaudi che viene suonato prima e durante una guerra.

Indovina un po’? Il primo album solo pianoforte che il nostro maestro – invidiatoci dal mondo – ha creato, è nato mentre l’umanità combatteva contro la pandemia del Covid-19.
Tra il silenzio delle strade e la pace interiore di Einaudi sono nate le 12 tracce che compongono “Underwater” e che domani, venerdì 21 gennaio 2022, sarà disponibile ovunque.

Nell’incontro online nel quale il maestro piemontese è stato intervistato da Matt Everitt – conduttore radiofonico per la BBC radio 6 music – davanti a 100 giornalisti prevenienti da tutto il mondo, Einaudi ha affermato che i brani non sembrano nemmeno pezzi scritti da lui, sono figli di una connessione particolare tra lui e il piano di cui le dita sono il fulcro, come a ricordare il suono di una chitarra. È andato alla ricerca di un suono morbido, utilizzando un tocco felpato che abolisse il martelletto e che esprimesse del tutto la sua personalità.

«Volevo un pianoforte che parlasse e cantasse», ha detto. E sono sicuro che ci dirà tantissimo.

Aspetta, prima di ritornare su TikTok e montare un video con la solita musica classica per creare l’effetto malinconico facciamo un esperimento: cerca su una piattaforma musicale “Rolling like a ball”, schiaccia play, chiudi gli occhi e rimetti a fuoco i ricordi da due anni fa ad oggi. 

Ora, quando ascolti un pianoforte suonare a cosa pensi?

– Luca Giardini

Ensi, il rap controcorrente ai Magazzini Generali!

Il Clash Tour è finalmente passato anche da Milano.
Ieri sera, 13 novembre, i Magazzini Generali si sono trasformati in una vera e propria giungla nella quale il rapper Ensi e i suoi fan non hanno esitato a spingersi attratti dalla grafica delle casse immerse tra le piante dietro la console.

Pronti e via ed è subito volume al massimo, e dopo un’intro di bassi prepotenti ecco Ensi che si presenta sul palco con la chiara intenzione di dimostrare ancora una volta che il vero rap non è morto.
Con alle spalle Dj Mad Kid, il rapper torinese ha presentato i brani che compongono il suo ultimo progetto “Clash”, rinfrescando la memoria con alcuni di quelli presenti nell’album del 2017 “V” e alternandoli a momenti di freestyle (riconfermandosi il king di quest’arte).
Sul palco hanno fatto visita Johnny Marsiglia – definito da Ensi “il suo rapper preferito”, Madame – ormai icona del rap femminile italiano -, Attila, un sempre infuocato Nerone, Axos, Lazza, Jack The Smoker e Clementino, tutti quanti accolti con amore dai Magazzini.
Determinato ad andare contro l’attuale corrente musicale, Ensi impronta il live sulla tecnica, sull’essenza del [rap] genere a cui ha deciso di votare la sua carriera e soprattutto sul cantare dal vivo senza voci registrate- aspetto che di questi tempi è raro vedere nel mondo rap/trap.

La voglia di trasmettere emozioni e di raccontarsi si manifesta anche nell’ultimo album: tanta è la rabbia e l’indignazione verso un mondo sempre più improntato sull’apparenza e sulla moda e sempre meno sulla purezza e l’amore verso la cultura e la musica.
Ensi si presenta dunque in versione “belva della giungla” ma ha il coraggio di mostrare anche la sua parte più vulnerabile con i brani “Vita eterna” e “Fratello mio”, affermando siano i più difficili da inserire in scaletta essendo estremamente personali; emozionante, infatti, il momento in cui viene ricordato il collega e amico Primo. L’immagine che ne nasce rappresenta e rappresenterà di certo un forte ricordo per tutti i partecipanti alla serata: volto visibilmente commosso, occhi lucidi, dito verso il cielo e voce che intona:
“Per ogni vero MC, è grazie a voi se rimo
Grazie ad ogni vero king, rest in peace Primo”.

Per più di un’ora e mezza il pubblico ha partecipato attivamente, si è lasciato guidare nella selva del mondo di Ensi senza mai privare di applausi, canti a squarciagola e affetto questo artista di Alpignano capace di riunire persone di quasi ogni età.
Questo si chiama coinvolgimento a 360°.

In conclusione: tecnicamente perfetto, pulito e preciso nelle rime e coinvolgente dall’inizio alla fine.
Il pubblico aveva bisogno di questa esibizione, la scena italiana aveva bisogno di questa esibizione. Ed Ensi ha risposto alla chiamata.
“Vieni a vedermi live”, dice in una canzone: seguite il consiglio.

Le dita al cielo che formano la V
V di Vincent, suo figlio il quale gli ha donato una nuova vita
V di Vero, come ha dimostrato di essere lui
V di Vittoria, quella che ha conquistato ieri nella città che lo ha accolto e lo ama.

 

Report a cura di Luca Giardini.

Jova Beach Party: la festa in spiaggia dei 45 mila a Lignano Sabbiadoro


Sabato 6 luglio
ha finalmente preso il via uno degli eventi live più attesi dell’estate 2019, il Jova Beach Party. La grande festa in musica voluta da Lorenzo è iniziata nel migliore dei modi, rispondendo a tutti i dubbi con una presenza di oltre 45.000 persone e una performance dal vivo trasformatasi in un vero e proprio festival della musica sulla spiaggia di Lignano Sabbiadoro (UD).

Non uno, non due, bensì tre sono i palchi allestiti per l’evento: uno principale dove Jova ha deliziato il pubblico con la sua esibizione, e due secondari sopra i quali a partire dalle 16:30 si sono esibiti ospiti come Paolo Baldini, i Mellow Mood e i Ackeejuice Rockers. Successivamente dalle 18 è stata la volta dei Shantel, Albert Marzinotto e del rapper Balojii.
Prima di iniziare il live si è ballato grazie alla magia della console di Benny Benassi, con il quale Jovanotti aveva scritto e realizzato il successo di Ti porto via con me.
Ed è proprio questo brano ad aprire la performance che tutti stavano aspettando fin dal mattino: benvenuti al Jova Beach Party!

Iniziato puntualissimo, Lorenzo alterna brani storici del suo repertorio a dj set, caratterizzati da cambi eseguiti egregiamente e per di più innovativi.
Ma sarebbe riduttivo circoscrivere il Jova Beach Party alla definizione di “concerto”: si tratta infatti di un vero e proprio “Festival della musica”: il pubblico non ha ballato soltanto grazie alle canzoni di Lorenzo, ma per due ore e mezza ha avuto modo di ascoltare tutti i generi musicali che influenzano il protagonista della serata. Si è passati dal funky al reggae, dal rap alla dance, dal latino americano al rock più epico, senza scordare le infiltrazioni della musica melodica legata alla tradizione.

Sul palco per Jovanotti il tempo sembra essersi fermato: l’ex “ragazzo fortunato” non sembra avere intenzione di fermarsi un solo attimo. Ha bisogno di musica, la vera adrenalina che lo alimenta.
Sottolinea più volte la sintonia che c’è tra la sua persona e la natura, chiedendo a fine concerto di lasciare la spiaggia “un po’ migliore di come era prima”, richiamando così il motto degli scout, nel rispetto di chi finito l’evento si metterà a disposizione per pulire. Il mondo lo si cambia anche partendo da queste piccole attenzioni.

Nonostante le critiche, nonostante qualche piccolo e fisiologica sbavatura, nonostante una voce non sempre impeccabile, nonostante la stanchezza e nonostante il tempo che sembrava volesse sfidarlo con nuvoloni, vento e a tratti pioggia, Jova si porta a casa una vittoria meritata e storica. Un inizio memorabile che può solo dargli la carica giusta per continuare il tour e conquistare le spiagge italiane.

Luca Giardini


Scaletta:
Ti porto via con me
Salvami
Mani libere
Vado
Oh, Vita!
Fame
Estate
Affacciati alla finestra
La statua della mia libertà (feat Samuel)
Nuova era
Tutto l’amore che ho
Io danzo
Piove
Sabato
A te
Baciami ancora
L’estate addosso
Bella
L’ombelico del mondo
Attaccami la spina
Sei come la mia moto
Tanto tanto tanto
Non hai visto ancora niente
Tensione evolutiva
Penso positivo
Il più grande spettacolo dopo il Big Bang
Ragazzo fortunato

photo: Brainstorm Agency, Michele Lugaresi, Max Morelli (drone)

Boomdabash al castello di Pavia: reggae, dancehall e orgoglio salentino


Un’ora e mezza a suon di contaminazioni reggae, dancehall, hip-hop e pop: è iniziato così, in mezzo all’afa e alle zanzare di Pavia, ma incorniciato dalle eleganti mura del castello visconteo, il Per un milione Summer Tour dei Boomdabash. Un ciclo di concerti che chiude un’annata decisamente fortunata per i quattro salentini, indubbiamente una delle realtà musicali in maggiore ascesa negli ultimi anni in Italia.
Dopo un’apertura con un tributo ai Queen, la band – i cui componenti parlano sempre di Boomdabash rigorosamente al singolare – ha portato sul palco tutta l’energia e la carica di ritmo che ormai da quindici anni la contraddistingue, dai primi successi fino agli ultimi fuochi d’artificio di Per un milione, il brano portato trionfalmente in gara al Festival di Saremo, e l’ultimissimo Mambo salentino, un concentrato di groove che vede anche la presenza della conterranea Alessandra Amoroso. Ma nella scaletta non sono mancati neppure Barracuda, brano che dà il titolo all’ultimo album, Portami con te, Il solito italiano e ovviamente Non ti dico no, anticipato da un urlo della folla filmato da Payà e inviato direttamente a Loredana Bertè.
Un momento particolarmente emozionante è stato quello di Stand By Me, dedicata al personale impegnato nel progetto di clownterapia nel reperto pediatrico dell’ospedale di Brindisi.

Durante la serata, tante le manifestazioni di amore e orgoglio per il Salento da parte della band, e tanti anche i salentini presenti tra il pubblico: “Non mi sono mai sentito offeso quando mi hanno chiamato terrone, perché per un ragazzo non c’è niente di meglio che essere orgoglioso della propria terra”, esclama Biggie Bash, mentre gli fa eco poco dopo Payà “Molti vengono da noi in estate, e poi ci trattano come spazzatura, ma il Salento deve essere il sole del’Italia, non la sua spazzatura. E questo è per tutti quelli che parlano male del Salento”, conclude alzando il dito medio.

E mentre le festa della band procede dritta filata verso la fine del concerto, tra i tanti giovani presenti è impossibile non notare anche tanti scatenatissimi bambini accompagnati dai genitori, segno che il nome della band si sta allargando anche tra diverse generazioni.

Dopo un’ultima iniezione di adrenalina dancehall, la serata si chiude con il bis di Mambo salentino. E tutti sarebbero quasi pronti a ricominciare a ballare, anche senza “lu mare e lu jentu”. Basta la musica.

E Ligabue è sempre lui. Cronaca e immagini da San Siro


San Siro è vuoto o San Siro è pieno?

Parafrasando il titolo di uno dei suoi vecchi brani, questa era forse la domanda che in molti si sono fatti ieri prima di arrivare allo stadio Meazza per la tappa milanese dello Start tour di Ligabue: dopotutto, nei giorni scorsi le voci di stadi “mezzi vuoti” – e sto citando – si sono rincorse a rimbalzo sul web con tanto di testimonianze fotografiche degli stadi di Bari a Firenze, tanto che il diretto interessato si è sentito in dovere di ammettere che sì, i numeri non sono esattamente quelli delle previsioni. Fatto sta che, per rispondere alla domanda iniziale, San Siro era pieno, decisamente pieno, dal prato alle tribune. Forse non proprio fino all’ultimo seggiolino, ma pieno, col oltre 56 mila presenti.
Su quelle che sono poi le ragioni del mancato obiettivo di questo tour – e si parla solo in termini di pubblico – io non lo so onestamente dire e ognuno dice la sua: “Ligabue è un artista che rischia e si rinnova”, “No, Ligabue è sempre uguale a se stesso”, e come sempre tutto è vero e tutto è discutibile. Sicuramente, chi di dovere farà le sue dovute riflessioni e calibrerà le mosse future.
Veniamo però al dunque. Il live a Milano coincideva per Luciano con una ricorrenza importante, visto che esattamente 22 anni fa, cioè il 28 giugno 1997, Ligabue metteva piede per la prima volta sul palco di San Siro: “Di quella sera non ricordo molto, ero troppo giovane e avevo troppe cose in testa, ma mi hanno detto che San Siro è stato ribaltato. Stasera tocca a voi fare il bis”, ha detto Luciano al suo pubblico, in uno dei pochi interventi con cui spezza la successione delle canzoni. E il suo pubblico ha risposto in boato, come ha fatto per l’intera serata.
L’impianto dello Start Tour è di quelli imponenti, da numeri uno insomma, con megaschermi da svariati metri quadri di ampiezza e due passerelle e un livello di decibel che non ha scherza, ma anche se Luciano non ha mai avuto l’atteggiamento borioso della star, lì sopra sembra trovarsi a proprio agio: compare in scena con il passo calmo che lo contraddistingue e attacca subito Polvere di stelle. Da lì procede filato con una scaletta che in quasi una trentina di brani condensa una carriera che l’anno prossimo taglierà il traguardo del trentesimo anniversario: i pezzi forti ci sono tutti, da Si viene e si va a Balliamo sul mondo, Bambolina e barracuda, ovviamente Certe notti, Tra palco e realtà, Urlando contro il cieloNon è tempo per noi diventa anche l’occasione per lanciare dagli schermi un messaggio sui rischi dei danni che l’uomo sta provocando al pianeta. Due i medley: il primo raggruppa pezzi acustici con chitarra e voce e comprende anche la doverosa Una vita da mediano, il secondo pezzi da “club rock”, decisamente più pestati. Buona la quota di pezzi dell’ultimo album, tra cui spiccano la già citata Polvere di stelle, la “antemica” Ancora noiLuci d’America, nata già per essere intonata a gran voce dalla folla dello stadio, Mai dire mai e Certe donne brillano.

Parafrasando un’altra canzone, si può dire che sul palco Ligabue “fa il suo dovere”, e lo fa bene: da (quasi) trent’anni a questa parte, chi lo conosce sa che il Liga è uno di quelli che non usano effetti speciali da spettacolone pop, non introduce cambi d’abito, non spettacolarizza lo show oltre il necessario. Anche su un palco dalle dimensioni mastodontiche illuminato a giorno, il centro della scena resta lui con la sua band e le sue canzoni. D’altronde il rock&roll questo chiede, nulla di più, e così è stato anche stavolta. Una formula essenziale e collaudata, che sembra funzionare ancora, nonostante la prima volta sia stata più di 20 anni fa.
Sono passati anni, sono passati dischi, sono passati tanti concerti in ogni tipo di location immaginabile, dai club agli aeroporti, ma Ligabue è sempre lui. Sempre lì, “sulla sua strada”.
E penso che basti.

La gallery della serata è visibile a questo link.
Foto di Luca Marenda.

Romina Falconi tinge di biondo Milano


Non era la prima volta che Romina Falconi si esibiva a Milano – e in passato ha avuto occasione di farlo anche in una location importante come quella dell’Alcatraz – ma il concerto del 16 maggio all’Apollo Club di via Borsi sembra aver segnato per la cantautrice romana un traguardo importante.
Un concerto arrivato dopo le tappe di Roma e Bologna, ma soprattutto dopo l’uscita del secondo disco, Biondologia: un concept-album sulle emozioni pubblicato a marzo, che ha messo ancora più in luce il talento di un’artista che fino ad alcuni anni fa il pop nostrano non aveva ancora conosciuto.
Quello all’Apollo è stato un live che senza troppi giri di parole si può definire un trionfo, con una calorosa partecipazione di pubblico a dimostrare una fiducia che Romina è riuscita a conquistarsi nel tempo, passo dopo passo, traguardo dopo traguardo, portando avanti un progetto discografico che pur muovendosi nel solco del pop più patinato si è sempre appoggiato sul circuito indipendente. Una scelta e una coerenza che finalmente sembrano portare risultati tangibili.

In un’ora e mezza di live, stretta in un corsetto nero e incorniciata da una chioma più platinata che mai, la Falconi ha messo sul palco tutta se stessa, proprio come si è sempre presentata nelle sue canzoni: si è mangiata la scena muovendosi con il passo esperto della diva, ha mostrato una femminilità sfacciata e passionale, ha rivelato le ferite e le cicatrici umane che ognuno di noi si porta dentro e tra un brano e l’altro ha dispensato le sue celebri e ficcanti pillole di filosofia verace: “Per me la dignità è come la sobrietà: non mi avranno mai!”; o ancora “Charlotte Brontë diceva che tra la dignità e la felicità preferiva essere felice. Io tra la dignità e la felicità preferisco bucare le ruote”, con buona pace del politically correct. Perché chi conosce Romina sa che dove c’è lei non possono esserci buonismi, retorica da cioccolatini e luoghi comuni.
Ironia tagliente, cinismo, rabbia, forse anche qualche “filo d’odio”, e poi dolore, fragilità dell’anima e nuda emozione, tutto questo ha preso vita durante la serata: bastava la citazione di un solo verso e la sala sapeva già quale sarebbe stato il prossimo brano, tra quelli più recenti ma anche tra quelli del passato, come Il mio prossimo amore – ormai diventato un vero manifesto “falconiano” – e Circe. Il pubblico è complice, solidale, e quella che si vede è una sincera dimostrazione di affetto reciproco tra un’artista che ha saputo trovare un linguaggio nuovo e personale per raccontare la vita e un pubblico che trova finalmente in Romina qualcuno in grado di dare voce anche ai pensieri più inconfessabili senza moralismi o censure e con la leggerezza dello “psico-pop”.

Questo è un concerto di Romina Falconi. Questa è una sana manifestazione di biondologia.

Il nuovo live di Marco Mengoni è un volo “essenziale” sopra l’Atlantico


Più passano gli anni e più diventa chiaro perché Marco Mengoni quel famoso “x factor” ce l’ha davvero addosso.
E non solo per una voce obbiettivamente notevole – e affinata nel tempo – e una padronanza della scena da vero animale da palco, ma anche perché album dopo album Marco ha saputo spostarsi dall’immagine pop da teen idol per delineare su di sé il profilo di un artista con una personalità vivace e scalpitante, che non teme di manifestarsi anche attraverso scelte non così ovvie.
La prova tangibile di questo percorso in ascesa è l’ultimo disco, Atlantico, pubblicato lo scorso novembre, in cui sono riassunti i suoni del mondo, dalla Spagna al Brasile all’Africa al fado portoghese. E da qui prende le mosse naturali il nuovo tour, Atlantico live, partito il 27 aprile dal Pala Alpitour di Torino e già ricco di appuntamenti sold out, dopo il “grande riscaldamento” delle anteprime europee.
Un concerto “in divenire”, due ore di show pensato dallo stesso artista e calibrato nei minimi dettagli in cui tutto ruota attorno a quello che succede sul palco. Nei tre grandi grandi blocchi dello spettacolo si assiste infatti a una progressiva composizione delle scenografia, che da scarna e minimale nei primi brani diventata man mano un’esplosione di luci ed effetti video grazie anche all’allestimento di uno speciale schermo progettato, appositamente per questo tour, in grado di annullarsi sullo sfondo per lasciar intravedere una grata industriale, unendo così il mondo analogico a quello digitale, come è da sempre nella natura di Mengoni: “Avevo la voglia di fare uno show in trasformazione. Sono un assiduo frequentatore di concerti e guardo molto quello che fanno gli altri artisti. Il progetto del palco è nato già tre anni fa – ha dichiarato Marco alla stampa al termine del concerto – e nel tempo è diventato qualcosa di molto diverso. Ci abbiamo lavorato molto, su Whattsapp c’era una chat di messaggi rovente…”.
A completare la scenografia anche due passerelle laterali che si alzano portando Marco letteralmente sopra al pubblico.

Ma al di là del notevole dispiego tecnologico, il protagonista è lui, Marco Mengoni, che però preferisce mettersi al centro della scena insieme tutti quelli che hanno lavorato allo show. Lo dice sul palco alla fine del concerto e lo ribadisce nel backstage: “Questo è un concerto di tutti, compresi i backliner. Nelle prove arrivavano sul palco quasi di nascosto, piegati, invece ho detto di restare a schiena dritta e farsi vedere dal pubblico, perché questo è anche il loro show”.
Mentre racconta come è nato il progetto di questo tour, Mengoni parla di liberazione, di apertura verso altri mondi, di caratteri tribali, persino di psichedelia, tutti elementi che effettivamente si ritrovano nel corso del live, dove sono riassunte e concentrate tutte le sue passioni, compresa una notevole dose di soul: “Non ci posso fare niente, il soul è il richiamo dell’Africa, da dove arriviamo tutti”.

Dall’avvio potente con Muhammad Ali e Voglio, il concerto rincorre i diversi stati d’animo che Marco ha disseminato nei suoi dischi, passando per le discese introspettive di Ti ho voluto bene veramente e In un giorno qualunque, al singolo d’esordio Dove si vola, che si mescola a sorpresa con Someone like you di Adele; e poi Buona vita, in mashup cubano con Chan Chan di Company Segundo. Di grande effetto l’omaggio a Frida Khalo in La casa Azul, con il volto della celebre artista proiettato sullo sfondo con disegni psichedelici, mentre Amalia diventa un coinvolgente numero contaminato dal fado che vede impegnati tutti i musicisti sul palco.
La terza parte dello spettacolo è sicuramente quella più ricca, sotto tutti i punti di vista: si inizia dall’intesa Guerriero, eseguita sulle passerelle mobili sospese sopra il pubblico, per arrivare all’Essenziale, che vede Marco per la prima volta seduto al piano forte. Appena prima dell’unico medley in scalatta (20 sigarette – Le cose che non ho – Non passerai) Mengoni lancia una provocazione al pubblico e chiede di spegnare tutte le luci sul palco per far mettere da parte almeno per un attimo i cellulari.
Efficace e graffiante il mashup di Amazing di Kanye West e Pastime Paradise di Stevie Wonder sulle note di Credimi ancora, mentre Io ti aspetto ha il compito di regalare al pubblico un ultimo scatto di adrenalina che fa tremare l’intero Pala Alpitour.
Una versione inedita e all’insegna del minimalismo di L’essenziale e Hola chiudono definitivamente la serata.

Spazio anche per alcuni momenti di riflessione nei monologhi che dividono le sezioni del concerto: “Sei fatto per il 60% di acqua, per il 30% delle persone che ami e per il 10% di quello che ti manca” recita la voce di Marco nel primo monologo, improntato ad alcune considerazione sulla natura umana. E cosa manca più di tutto oggi a Marco Mengoni? “Sento che mi manca soprattutto il tempo di godermi le cose. Purtroppo il tempo non guarda in faccia a nessuno, non si può recuperare”.
I temi sociali dominano invece il secondo monologo, dove arriva l’occasione per sensibilizzare il pubblico al rispetto per l’ambiente e per ammonire sui rischi portati dai social network. Due argomenti apparentemente lontano e slegati: “Vedo che molti artisti coltivano e mostrano disinteresse verso il mondo che li circonda. Nel mio piccolo cerco di sconfiggere quel male dell’indifferenza che ci allontana da tutto e da tutti”. E “di indifferenza si muore” è proprio uno dei titoli che appaiono sugli schermi.

Quello dell’Atlantico tour è uno spettacolo grandioso, che ha il valore – non sempre rispettato in queste occasioni – di non far disperdere le energie: Marco balla e si mangia in scioltezza il palco, ma non si dimentica che è lì prima di tutto per cantare. Ecco che allora ambizione ed essenzialità trovano il giusto accordo, un compromesso – c’è da crederci – frutto di un lavoro lungo e paziente, che oggi porta in scena un artista ormai cresciuto e maturo, a cui forse, oltre al tempo, manca adesso solo una cosa, l’approdo negli stadi.

Atlantico live setlist:
Muhammad Ali
Voglio
Ti ho voluto bene veramente
In un giorno qualunque
Dove si vola
Sai che
Atlantico
Pronto a correre
Monologo: Sei tutto
La ragione del mondo
Buona vita
Parole in circolo
Proteggiti da me
Dialogo tra due pazzi
La casa Azul
Onde
Amalia

Monologo: Mondo_Loon
Guerriero
Mille lire

L’Essenziale/piano
20 sigarette / Le cose che non ho / Non passerai
Esseri umani
Credimi ancora
Io ti aspetto
L’Essenziale
Hola

      

All’Alcatraz la festa rock dei Tre allegri ragazzi morti

Lo hanno ricordato anche loro, i Tre allegri ragazzi morti mancavano da Milano da qualche anno. Eppure per il live del 16 aprile il loro pubblico meneghino non ha mancato di rispondere alla chiamata a raccolta all’Alcatraz. C’era chi li seguiva dal ’94, ed è cresciuto con loro, e chi invece li ha conosciuti in corso d’opera. Tutti però si sono subito calati nello perfetto spirito che contraddistingue i live della band di Pordenone, in uno show di due ore che pur soffermandosi molto sui pezzi dell’ultimo album, Sindacato dei sogni, non ha ovviamente tralasciato di guardare al passato.
Rock minimale, indie, reggae, punk, fino alla psichedelia, c’è stato spazio per tutto quello che la band ha offerto durante oltre 20 anni di carriera, compresi i riferimenti alla tanto cara cumbia.
Indossando la maschera d’ordinanza e con Davide Toffolo perfetto regista della serata, i tre hanno regalato un concerto potente ed euforico in pieno stile TARM.
La psichedelica C’era un ragazzo che come me non assomigliava a nessuno è stata accompagnata dal sax di Andrea Poltroneri, mentre Il mondo prima, classicone del repertorio, si è guadagnato il maggior boato del concerto. A chiudere, La tatuata bella, rigorosamemte intonata a cappella dall’intero parterre.

Menzione d’onore ai tre artisti che hanno avuto l’onore di aprire la serata, Deiby, Cristina Erhan e Fabrizio Lavoro, vincitori dello speciale Talent TARM lanciato dalla band per dar vita a una “cosmogonia” dei Tre alleri ragazzi morti.
Mica male per tre musicisti “quasi adatti”. E la storia continua.