“Sono pigro, torno alle cover”: Giuliano Palma torna con Groovin’

GIULIANO PALMA0470colorresize
Dagli Aristogatti a Elton John, passando per Vasco Rossi.

Dopo Old Boy, uscito due anni fa, per il nuovo progetto discografico, Giuliano Palma torna al mondo delle cover,e lo fa con Groovin’. Il motivo di questa scelta è lui stesso a rivelarlo, tra il serio e il faceto: “Sono pigro, di una pigrizia che a volte rasenta l’accidia: inizialmente volevo tornare con un album di inediti, poi ci sono state delle vicissitudini personali e professionali che mi hanno tenuto lontano dalla scrittura, e la pigrizia ha preso il sopravvento: non volevo pubblicare un disco di cui non fossi convinto, così ho scelto le cover”.
Per la prima volta nella sua carriera, durante la lavorazione di Groovin’ non ha curato personalmente tutti i dettagli – a cominciare dai fiati -, ma si è affidato alle mani del nuovo team, di cui fanno parte Fabrizio Ferraguzzo, Riccardo “Deepa” Di Paola e Riccardo “Jeeba” Gibertini, perché – confessa – aveva capito di potersi fidare e di aver trovato in loro il giusto feeling, il “groove” che dà il titolo all’album.

booklet_giulianopalma_groovin.indd

E lui il groove è uno che ce l’ha sempre avuto, a differenza di altri che si sono persi, distratti, e che il groove non hanno saputo mantenerlo: sono proprio queste persone quelle che, metaforicamente, compaiono sulla copertina del disco girate di spalle, mentre lui prosegue per la sua strada guardando dritto l’obiettivo (“Dicono che sono un crooner, e quindi croono“), sempre attraverso gli immancabili occhiali neri.
E proprio parlando di groove e del nuovo gruppo di lavoro, Giuliano non riesce a trattenersi dall’esprimere il rammarico e la rabbia per la fine del rapporto professionale con il suo storico collaboratore e amico Fabio Merigo: “Insieme avevamo una missione, e dopo tanti anni non avrei immaginato che finisse così, invece l’ho visto perdersi per strada per una donna. E’ stato come un tradimento”.

Nelle 13 cover dell’album non mancano le partecipazioni, come quella di Cris Cab nella versione italiana di Bada Bing, scelta come primo singolo (“Per la versione italiana la casa discografica si è rivolta a me: è la prima volta che metto in un mio album un pezzo di cui sono solo ospite”), Fabri Fibra per Splendida giornata di Vasco Rossi, riletta in chiave reggae, Clementino in I say I’ sto cca di Pino Daniele (“La presenza di Fabri Fibra e Clementino mi aiuta ad avvicinare a miei suoni un pubblico che altrimenti ne resterebbe distante: sono felice che Fibra abbia accettato, perché è un artista per nulla mondano, Clementino ha spaccato rappando in slang”), e Chiara in Don’t Go Beaking My Heart, portata al successo a Elton John e Kiki Dee (“Chiara l’ho conosciuta perché abbiamo lo stesso management: per questo pezzo è perfetta”).
Tra gli altri brani, menzione speciale meritano Eternità dei Camaleonti, You’ll Never Walk Alone, scritto nel 1945 dal duo statunitense Rodgers/Hammerstein e così popolare da divenire l’inno ufficiale del Liverpool (“Quando ci sono le partite è bellissimo vedere tutto il pubblico, dal bambino alla vecchietta con la sciarpa della squadra, intonare la canzone”), Qui e là di Patty Pravo, e Alleluja! Tutti jazzisti, tratta dal cartone animato Gli Aristogatti e già presente in We Love Disney (“Questo era il pezzo che tutti gli artisti coinvolti nel progetto volevano fare, ed è stato affidato a me!”).

A chiudere l’inedito Un pazzo come me (“Parla degli inquieti”).

Groovin’ è dedicato a Carlo Ubaldo Rossi, musicista e produttore scomparso nel 2015 in un incidente: “La sua perdita è uno strazio, non saprei definirla diversamente”.

BITS-CHAT: Trentenni, reagiamo! Quattro chiacchiere con… Paolo Simoni

“E di colpo avere trent’anni
Sentirne il morso sul culo
E convincerti che sei uno dei tanti
Di quella generazione
Cresciuta dalla televisione
Figlia di un ventennio
Di ruberie sotto il sole”

Trent’anni. Uno dei primi, grandi traguardi del calendario biologico delle nostre vite, dopo quello dei 18.
Con la differenza che se tutti non vedono l’ora di potersi finalmente dire maggiorenni, molti meno sono quelli che ambiscono a vedere quel “3” nel posto delle decine della propria età. Un traguardo per alcuni così tremendo che nel 2001 Gabriele Muccino ci ha fatto ruotare attorno il suo film L’ultimo bacio, tratteggiando – in toni tragicomici – una generazione disperata e senza punti di ancoraggio.
Perché se a 18 anni hai ancora tutto (o quasi) da programmare, arrivato ai 30 devi iniziare a fare i primi conti.
E’ quel “morso sul culo” di cui parla Paolo Simoni in Io non mi privo, il primo singolo estratto da Noi siamo la scelta, il suo nuovo album, dedicato proprio alla sua generazione, i trentenni di oggi.

Un disco tanto gradevole all’ascolto, quanto amaro nei contenuti, anche se non del tutto disilluso. La speranza di salvarsi questa generazione ce l’ha, ma deve agire – anzi, reagire – insieme, superando l’egoismo e la tentazione di scappare.
Come ha fatto lui, che a un “viaggio della speranza” oltre la Manica ha preferito un genuino bicchiere di lambrusco qui in Italia.
Alla faccia della Brexit.

Paolo Simoni_b
Noi siamo la scelta è un disco “dedicato” alla generazione dei trentenni di oggi: perché hai sentito la necessità di far ruotare l’intero album su questo argomento?
Perché da trentenne – ne ho trent’uno per l’esattezza – mi sono ritrovato a dover affrontare faccia a faccia il problema. Essere giovani in Italia, con tanta voglia di fare e magari con un po’ di talento, spesso non paga. Le canzoni mi hanno indicato la strada. Io mi sono solo fatto attraversare da questo flusso creativo. Mi piacerebbe donare speranza ai miei coetanei. Sono uno di quelli che ha deciso di non partire per l’Inghilterra qualche anno fa… Ad oggi, in base agli ultimi fatti accaduti, mi sembra di aver scelto bene.

Come hai vissuto il traguardo dei trent’anni? Io ci sono arrivato a marzo: in alcuni momenti se ci penso ho un piccolo brivido, altre volte invece l’idea di avere trent’anni mi lascia del tutto indifferente…
Per certi versi mi sento con molte più energie. A mio avviso è una bellissima età. Capisci più cose, sei meno stupido, vai meno in discoteca e di più al cinema. Credo che i trentenni siano il punto di svolta possibile per questo paese. Se solo lo volessimo veramente…

Se ti guardi intorno, che generazione vedi? Ti senti parte di essa o in qualche modo ti senti diverso dai tuoi coetanei?
Mi sento uno come tanti altri. In realtà siamo tutti uguali, con gli stessi problemi, solo che facciamo battaglie personali e non collettive. Forse siamo distaccati anche da certe tendenze modaiole a cui ci hanno abituati. Questo è il nostro più grande difetto, sempre secondo il mio punto di vista.

Al di là della mancanza di reazione, come canti in Una reazione, quali colpe pensi possano essere attribuite ai trentenni? Di cosa possono essere ritenuti responsabili? Ci sono margini di miglioramento, di ripresa, insomma, speranza?
Noi trentenni ci ritroviamo un conto da pagare senza aver consumato. Questo purtroppo non dipende da noi ma da quelli che sono venuti prima e che ci hanno consegnato questo bel pacco. La speranza c’è! Bisogna volerla e soprattutto è ora di incazzarsi per le cose che veramente ci riguardano. Se fossimo capaci di innamorarci di noi come “gruppo di persone” sarebbe già un grande passo… Come ti ho detto prima, tendiamo a isolarci piuttosto che fare massa.

L’immobilità dei trentenni di oggi a cosa pensi sia dovuta? Incapacità innata di prendere posizione? Pigrizia morale? Mancanza di stimoli? Oppure, girando la domanda, cosa avevano i “trentenni di ieri” in più?
Secondo me un po’ tutte le cose che hai detto tu, più il rincoglionimento di vent’anni di TV, aggiungerei. Ci hanno abituati a “non reagire” e a “delegare”. La troppa informazione ci ha inibiti e desolati. Abbiamo ascoltato troppo i consigli di mamma e papà.

Paolo Simoni 2_b (1)

Nel primo singolo estratto dall’album, Io non mi privo, fai anche riferimento a quelli che hanno scelto di trasferirsi all’estero. Come giudichi questa scelta?
In parte ho risposto già all’inizio: sono uno di quelli che pensa che sia necessario restare e cercare di cambiare le cose. Ho amici laureati che sono partiti, fanno i camerieri e sono comunque infelici. Che senso ha? Stai qua e soffri con noi, no?

L’estero offre davvero maggiori e migliori opportunità oppure sono solo illusioni frutto della nostra abituale esterofilia, che ci fa sembrare più belli e appetibili i “giardini” dei nostri vicini di casa?
La tua domanda contiene già una bella risposta. A qualcuno forse fa bene, perché magari ha un tipo di lavoro o un obiettivo preciso, ma se è solo per scappare a cercare altra identità lo trovo controproducente. Un mio amico bolognese dopo otto mesi di Londra è tornato con dieci chili in meno, pieno di brufoli in faccia e con un accento e una spocchia da schiaffi. Sembrava avesse capito tutto del mondo. Era insopportabile. Per fortuna ora è tornato e beve lambrusco come allora.

Musicalmente parlando, in Noi siamo la scelta mi è sembrato di sentire molta più elettronica rispetto ai dischi precedenti: è così o è solo un’impressione? E’ il segno di una nuova strada che hai voluto intraprendere?
Si! Mi sono divertito molto con i sintetizzatori e le batterie elettroniche. Volevo un suono nuovo, più fresco. Credo che sia la strada che continuerò a percorrere. Invece di snaturami mi da un valore aggiunto e questa cosa mi fa molto piacere. Il pianoforte rimane comunque alla base. L’incastro di questi due mondi mi affascina.

Cover Simoni_Noi siamo la scelta_b (1)

Chi è la Giuly a cui è dedicato uno dei brani?
E’ stata la mia insegnante di vita. Era una pittrice e donna fortissima, molto colta. Mi ha salvato e mi ha fatto conoscere il mondo sensibile dell’arte quando ero ancora adolescente. Le devo tutto. Che Dio la benedica!

Credi che la musica – e l’arte in generale – possa avere ancora qualche potere civile, la forza di condizionare la società?
Certo che sì! C’è un cambiamento in corso, solo che è più invisibile. Gli artisti in generale oggi dovrebbero prendere forza e reagire per primi. Le persone a loro volta seguiranno e il mondo nuovo arriverà!

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: cosa significa per te il termine “ribellione”? E c’è stata almeno un’occasione nella vita in cui ti sei sentito un ribelle?
Sono un ribelle nato. Fin da piccolo decidevo e cercavo di non far decidere agli altri per me. La ribellione è vita, cultura, poesia e talvolta verità! La ribellione mi ha portato a emanciparmi: ribellarsi soprattutto con se stessi, anche quando si sono raggiunti degli obiettivi importanti. E’ carburante vitale!

#NUOVAMUSICA: Rihanna, Sledgehammer

rihanna_sledgehammer
Direttamente dalla colonna sonora del nuovo episodio cinematografico di Star Trek, Beyond, Rihanna ci sbatte nelle orecchie Sledgehammer.

Dopo il dubbio gusto di Anti, finalmente un gran pezzo. Quando vuole, RiRi sa fare le cose in grande stile (soprattutto se la penna per scrivere le canzoni la prende in mano Sia…).

E vogliamo parlare del video?? Visionario al cubo!!

#NUOVAMUSICA: Moreno,Un giorno di festa

Frutto dell’incontro con Big Fish, Un giorno di festa è il nuovo singolo di Moreno, antipasto estivo del nuovo album in arrivo il 2 settembre.
Moreno_Un Giorno Di Festa_Copertina

Il brano, ultra-light e “colorato”, sembra riproporre un po’ la ricetta che lo scorso anno fece scoppiare la bomba di Roma-Bangkok: base tra dancehall, pop ed elettronica, una forte dose di hip hop touch e testo spensieratissimo, dove il sole e le spiagge sono i protagonisti.

Tutti i presupposti per farne una nuova mega-hit.

Furbino, il ragazzo, furbino!! 

DAVID GILMOUR: in concerto nel nostro paese dal 2 all’11 luglio 2016

DAVID GILMOUR

in concerto nel nostro paese dal 2 all’11 luglio 2016 

Il suo ultimo album solista ‘Rattle That Lock’

è da 40 settimane in classifica in Italia

DAVID GILMOUR arriverà in Italia questa settimana con il suo attesissimo tour mondiale ‘Rattle That Lock’. Sei sono le date dove la leggendaria voce e chitarra dei Pink Floyd si esibirà in incantevoli contesti storici, 2 – 3 luglio al Circo Massimo di ROMA, 7 – 8 luglio POMPEI e 10 – 11 luglio all’Arena di Verona (VR). Un’occasione straordinaria per ascoltare dal vivo i brani contenuti nel suo quarto album solista da studio, pubblicato lo scorso 18 settembre e arrivato ai vertici delle charts mondiali. Anche in Italia ‘Rattle That Lock’ ha raggiunto la prima posizione e da allora da ben 40 settimane è presente nella classifica FIMI.

Questo straordinario disco è prodotto da David Gilmour e Phil Manzanera dei Roxy Music. A firmare cinque dei dieci testi delle canzoni dell’album è Polly Samson, storica collaboratrice e compagna di vita di Gilmour (Rattle That Lock – A Boat Lies Waiting – In Any Tongue – Girl In A Yellow Dress – Today). L’ispirazione di “Rattle That Lock” parte dall’idea di rappresentare una “giornata tipo” e abbraccia la miriade di pensieri e stati d’animo che ognuno di noi prova nella quotidianità, dai più intimi e personali a quelli più materiali e leggeri.

David Jon Gilmour CBE nasce il 6 marzo 1946 nel Cambridgeshire. Suo padre Douglas era un docente all’Università di Cambridge e sua madre Sylvie lavorava come film editor alla BBC. A 16 anni, nel 1962, David entra nella sua prima band chiamata The Rambles e l’anno successivo comincia un corso di livello A al College di Arts Technology nel Cambridgeshire. È lì che incontra lo studente d’arte Roger “Syd” Barrett. Dopo aver lasciato il college nel 1964, Gilmour collabora alla formazione di una delle semi-pro band di maggior successo della scena di Cambridge: i Jokers Wild. La decisione di Gilmour di entrare nei Pink Floyd nel dicembre 1967 cambia il corso della sua vita, proiettandolo ai vertici della storia del rock globale. Con i suoi 54 anni di carriera, David Gilmour è considerato uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi ancora in attività e continua a entusiasmare il pubblico con la sua chitarra e il suo modo di cantare.

STEVE VAI: doppio appuntamento con il Passion and Warfare 25th Anniversary Tour

STEVE VAI

Doppio appuntamento in Italia con il suo Passion and Warfare 25th Anniversary Tour

Tra i più virtuosi chitarristi del nostro tempo, Steve Vai sarà un vero grande protagonista in Italia il prossimo luglio: in aggiunta ai tre concerti con i G3 di Satriani, il chitarrista sarà in Italia per altre due date da headliner, con il suoPassion and Warfare 25th Anniversary Tour. Gli appuntamenti sono fissati per mercoledì 6 luglio all’Anfiteatro del Vittoriale di Gardone Riviera (BS) nell’ambito del Festival Tener-a-mente e giovedì 7 luglio al Castello di Udine. Ibiglietti per entrambi i concerti sono disponibili sul circuito Ticketone.

Passion and Warfare, considerato una delle più grandi registrazioni per chitarra rock di tutti i tempi, è l’album simbolo di Steve Vai che, per celebrare il 25° anniversario dell’uscita del disco, ha deciso di intraprendere un tour mondiale davvero speciale. In ogni tappa di questo tour, Vai eseguirà da cima a fondo tutte le musiche di Passion and Warfare e anche nuove composizioni che andranno ad arricchire uno spettacolo già di per sé grandioso. Nelle prossime settimane, la Sony Music Entertainment e Legacy Recordings annunceranno l’uscita dell’edizione celebrativa del 25° anniversario di Passion and Warfare: una pubblicazione speciale che, oltre alle ben note tracce dello storico album, conterrà anche i brani inediti .

Steve Vai è un alchimista musicale di prim’ordine: mentre molti musicisti si inseriscono con facilità in una singola categoria, la sua visione musicale rimane unica e inclassificabile. Virtuosismo e versatilità rappresentano per il chitarrista due facce della stessa medaglia: i fan di ogni genere musicale sono stati catturati nel corso della sua carriera dalle straordinarie abilità chitarristiche che lo contraddistinguono e dalla sua capacità di sfruttarle per esplorare l’ampio spettro delle emozioni umane. È stato in tour in ogni angolo del mondo, come solista, come membro dei G3, con Frank Zappa e anche con band quali gli Alcatrazz, The David Lee Roth Band e Whitesnake. Vai ha composto, prodotto e progettato tutti i suoi album da solista e li pubblicati per la sua etichetta discografica, la Favored Nations.

Nel corso della sua carriera, Steve Vai ha raggiunto cifre da capogiro: 15 milioni di dischi venduti, la vittoria di 3 Grammy Awards e 15 nomination. L’uscita del suo sedicesimo album da solista, The Story of Light del 2012 è stata accompagnata da un tour epico con 253 date in 52 paesi. La sua ultima pubblicazione, il doppio cd/doppio dvd  Stillness In Motion – Vai Live in L.A, ha dato il via alla sua collaborazione con la SONY/Legacy e, con il nuovo tour all’orizzonte e l’uscita dell’edizione celebrativa del 25° anniversario del suo album simbolo, Passion and Warfare, anche il 2016 si preannuncia per Vai come un anno ricco di appuntamenti.

 

STEVE VAI

Passion and Warfare 25th Anniversary Tour

Mercoledì 6 luglio 2016 

Gardone Riviera (BS), Festival Tener-a-mente, Anfiteatro del Vittoriale– via Vittoriale 12

Gradinata libera: € 25,00 + prev.

Platea laterale: € 30,00 + prev.

Platea e gradinata numerata: € 35,00 + prev.

Poltronissima: € 40,00 + prev.

Giovedì 7 luglio 2016 

Udine, Castello – piazzale del Castello

Poltronissima: € 35,00 + prev.

Poltrona numerata: € 28,00 + prev.

 

Biglietti disponibili sul circuito Ticketone (www.ticketone.it) e relativi punti vendita.

#NUOVAMUSICA: Fabio Cinti, Perturbamento

fabio_cinti_perturbamento
“Quello di Perturbamento è uno dei testi centrali dell’album, tra quelli che più ne descrive il clima e l’argomento trattato in generale: la coscienza di essere vivi in questo momento, non nel passato, non nel futuro. È perciò indispensabile non sottrarsi al presente, alle sue insidie e alle sue possibilità, riappropriandosi anche del passato al quale, con la nuova coscienza, possiamo guardare con un sorriso.
Tutta la vita vissuta conta, spesso ti è sembrato che il tempo davanti fosse infinito e che mai sarebbe arrivato il tuo momento. E invece ora è arrivato, e improvvisamente sai bene che è incominciato tutto da qui, ma fin dal primo respiro. E se in passato non avresti mai detto di dover affrontare proprio tutto, adesso è arrivato il momento di farlo, di bagnarsi sotto un temporale senza nessuna preoccupazione.”

Così Fabio Cinti descrive Perturbamento, il singolo che anticipa il nuovo album Forze elastiche, prodotto da Paolo Benvegnù e in arrivo il 20 settembre.
Fra gli ospiti presenti, anche Nada e The Niro.

…no, non essere così distante,
non prepararti al temporale,
lascia che ogni goccia ti colpisca,
sarà un sollievo poterti asciugare

BITS-RECE: Makai, Hands. Il suono del naufragio

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
makai_hands

Il progetto Makai prende vita nel 2000 ed è un “processo in divenire, in bilico tra l’elettronica nordica e il songwriting più intimista e mediterraneo”. Così lo definisce Dario Tatoli, l’anima creativa che vi si cela dietro.

Ora, a 16 anni dalla nascita, arriva Hands, il primo EP, cinque tracce che sicuramente molto hanno di nordico, umido, nebbioso ed elettronico, mentre un po’ di fatica si fa nel trovare la componente “mediterranea” della scrittura.
makai
Senza dubbio, Hands è un disco notturno, che sembra essere stato concepito nelle ore più scure del giorno, perché si muove in una notte nera, e in piena tempesta. Sì, in piena tempesta in mare aperto: Hands ha in sé il suono del naufragio, il gorgoglio dei flutti, l umore della superficie d’acqua rotta dal vento e dalla pioggia.
L’elettronica di Hands, a partire dalla title track, per proseguire con Last Days, Missed e Sofia è inquieta, graffiata, talvolta soffocata, quasi provenisse dal fondo dell’abisso a turbare le linee melodiche della voce, limpide ed eteree. L’unico momento di quiete lo si trova in Summer, tutt’altro che un brano solare, ma almeno (vagamente) onirico, uno squarcio di stelle in questo cielo plumbeo.

Una valida prova d’esordio per un progetto a cui forse manca ancora un tratto veramente caratterizzante.

Se Sister Act ti fa capire che stai invecchiando

maxresdefault
Se c’è un potere che il cinema possiede da sempre incontrastato è quello di bloccare il tempo, congelare l’orologio in un preciso momento: capita allora che certi attori, che magari non vediamo spessissimo in giro, conquistano fama imperitura per un solo ruolo e i loro volti e i loro corpi restano nell’immaginario collettivo di noi spettatori gli stessi di quell’esatto istante, proprio con quelle voci e quei vestiti addosso.

L’incantesimo è talmente efficace che siamo convinti che, magari a distanza di 20 o 30 anni dalla pellicola che li ha trasformati in “vips”, potremo ritrovarceli davanti ancora così, proprio come li ricordavamo nei panni di quel personaggio che tanto ci era piaciuto. Salvo poi rivederli in TV o su qualche giornale inevitabilmente invecchiati. E allora sì, ti rendi conto che il tempo è inserorabile e non risparmia nessuno.
Non è che invecchiare sia una colpa, ben inteso, è solo che se a invecchiare sei tu o il tuo vicino di pianerottolo è normale e quasi non te ne accorgi, se succede alle stelle del piccolo e grande schermo la cosa un po’ ci deprime, non neghiamolo.

Tutto questo per arrivare al punto: qualche sera fa stavo girovagando per il web e, non so come e perché, mi sono ritrovato a spulciare su Wikipedia il cast di Sister Act.
Il film l’abbiamo, credo, visto tutti: Deloris Van Cartier, cantante di incerta carriera a Las Vegas, è testimone involontaria di un delitto compiuto dall’amante gangster Vince La Rocca ed è perciò costretta a rifugiarsi sotto copertura in un convento di suore. Qui inizia a sovvertire le regole e crea scompiglio tra le consorelle, soprattutto dopo essere stata nominata direttrice del coro, trasformando i canti liturgici in performance rock/blues. Il boss mafioso riesce però a scovarla, proprio alla vigila della visita del papa in parrocchia, ma grazie all’aiuto delle altre suore – ormai solidali compagne di avventure – tutto si risolve per il meglio e Deloris/suor Maria Claretta può tornare alla sua vita.

Commedia spassosissima, successo garantito a ogni replica televisiva, con una colonna sonora favolosa e ormai diventata un classicone.
Bene, il film è datato 1992, che nella mia mente di trentenne è come dire la scorsa settimana, ma sul calendario sono ben… 24 anni. Ventiquattro anni. VENTIQUATTRO.
Cioè, per intenderci, nel ’92 Justin Bieber non era ancora nato, Lady Gaga stava imparando a scrivere, la Pausini era ancora una semplice interprete di piano bar a Solarolo, il Grande Fratello era conosciuto ancora solo per 1984 di Orwell e il termine “smartphone” non era probabilmente ancora stato pronunciato.

Quello che però mi ha colpito e rattristato davvero (molto…) è stato scoprire che molte delle attrici del film non ci sono più. Al di là di Whoopi Goldberg, Maggie Smith (la Madre superiora), Kathy Ann Najimy (la prosperosa suor Maria Patrizia) e Wendy Makkena (la novizia suor Maria Roberta), moltissime delle altre attrici sono morte: Mary Wickes (la fantastica suor Maria Lazzara), Rose Parenti (suor Alma, quella con l’apparecchio acustico che suonava il piano), Ellen Albertini Dow, Carmen Margarita Zapata, Susan Johnson, Ruth Kobart, Susan Brown Browning, Edith Diaz.

 

Se oggi, per caso, volessero realizzare un terzo episodio di Sister Act (il secondo è arrivato nel 1994, con il cast praticamente al completo), gli spalti del coro sarebbero semivuoti, o riempiti da altre attrici.

Normale, il tempo passa, e le allegre “sorelle” erano già in là con gli anni all’epoca delle riprese, ma – per allacciarmi a quello che dicevo all’inizio – nella mia testa loro si erano fermate lì, pimpanti e sempre pronte a scatenarsi sull’altare.
Ma così non è…

E’ il meraviglioso regalo del cinema, e insieme il suo inganno.
Se il tempo va, l’arte è l’unico mezzo a nostra disposizione per fermarlo.
Sister Act, nel suo piccolo, ne è stata per me la prova.

E allora via questo velo di malinconia e 3… 2… 1… Play!
Haaaa…..lle…..luuuuu…..jaaaa!!!!

BITS-RECE: Beyoncé, Lemonade. Un “album bla bla”

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata i bit.
Lemonade_beyonce

Probabilmente l’avrei ascoltato lo stesso, perché comunque Beyoncé mi piace e la sua discografia è tutta presente nella mia collezione di CD. Ma di Lemonade se n’è parlato così tanto che ascoltarlo più che un piacere è sembrato quasi un obbligo.
L’album dell’anno! Ma che, del secolo! Vuoi forse perdertelo? Vuoi non dargli almeno un ascolto, anche solo per dire “anche io c’ero”?

Uscito su Tidal a fine aprile “a sorpresa”, come va tanto di moda negli ultimi tempi, anticipato a febbraio dal singolo Formation, Lemonade è stato presentato come l’album della rivincita, l’album della vendetta di Mrs Carter su Jay Z, marito fedifrago. Cioè, tuo marito ti mette le corna, e tu ci fai sopra un disco per far vedere quanto sei figa a superare il momentaccio?
Mmm…. Qui c’è odore di “album bla bla“.
Cos’è un “album bla bla”? Adesso ve lo spiego.

Andiamo con ordine: la telenovela famigliare dei Carter è iniziata con l’ormai famoso episodio dell’ascensore, quando il rapper sarebbe stato saccagnato di botte da Solange Knowles, sorella minore di Beyoncé, appunto durante un viaggio in ascensore al termine dei festeggiamenti per il Met Gala a New York, il 5 maggio 2014. Il tutto alla presenza della consorte, che nei 3 minuti di video diffusi in Rete appare immobile mentre il marito le prende di santa ragione dalla cognata senza far granché per difendersi. Per settimane i media si sono interrogati sul perché di quel fatto, senza essere mai arrivati a una vera, definitiva soluzione. Tradimento, si diceva, ma i dettagli erano oscuri. E così, sulla famiglia più famosa e influente d’America, dopo gli Obama, è calata un’ombra di sospetto.
Poi ecco arrivare il disco, dal titolo alquanto curioso, Limonata (lo spunto arriva da un insegnamento della nonna, che diceva che se ti offrono dei limoni ci devi fare una limonata, come a dire “prendi ciò che hai e sfruttalo al meglio”), e dentro una manciata di canzoni in cui il rapper/marito viene fatto a pezzi dalle parole taglienti come fuoco della moglie, incazzata nera, che riversa in un album tutta la rabbia che una qualunque signora di provincia avrebbe tradotto di lanci di pentole e stoviglie e imprecazioni tutt’altro che femminili.
“Beyoncé una di noi”, “anche le dive hanno le corna”, “dai Beyoncé, fagli vedere che comanda!” Sono stati più o meno questi i commenti subito arrivati in massa dopo l’uscita dell’album e dopo la visione del video/film che lo accompagnava, con Queen Bee armata di mazza da baseball in abito color polenta. Beyoncé eroina delle cornute, Beyoncé idola delle donne in cerca di riscatto: femminismo di quart’ordine, questo è.
Perché poi a tutto questo si sono aggiunti i fiumi di chiacchiere versati dai media, dai giornalisti e dai critici, tutti indistintamente a lodare l’emancipazione femminile che trasuda da questi nuovi brani.
gallery-1461467964-giphy-26

Ho provato a scorrere un po’ recensioni di Lemonade, pescandole tra magazine e siti web, e – salvo eccezioni – tutte giravano intorno alla telenovela di casa Carter e al fatto che si trattasse di un progetto audio/video (un visual album, come del resto lo era stato l’album precedente, con la differenza che qui c’è un unico mega video di oltre 60 minuti): quasi nessuno, eccetto pochi, che spendesse due righe a spiegare se questo benedetto disco fosse meritevole di qualche ascolto, non una parola sulla qualità dei brani. Solo chiacchiere sul presunto tradimento di lui, la vendetta di lei e molti interrogativi sull'”altra” (la Becky belli-capelli).
E sui social reazioni entusiaste, gente che si sperticava in lodi sbrodolate, ma non tanto su Lemonade, quanto piuttosto su Beyoncé, le sue strategie di marketing e il suo essere una vera indipendent woman.
beyonce-lemonade_jpg_1003x0_crop_q85

Quindi mi sono preso del tempo, e l’ho ascolto con calma, più di una volta. Per capire, e trovare la dose di genialità di cui tanto si parlava.
Beh, signori, lasciate che vi dica una cosa: se questa è la nuova Beyoncé, io non ci sto a incensarla. Cioè, voglio dire, stiamo parlando di una delle più talentuose artiste del pop universale, una che dopo gli anni gloriosi nelle Destiny’s Child ci ha dato pezzi come Crazy In Love, Halo, Single Ladies, Listen, Love On Top. E adesso che fa?? Dietro al pretesto di sputtanare il marito ci rifila un disco di una bruttezza sbalorditiva, un disco in cui non si riesce a trovare un appiglio, qualcosa che ci dica che quella lì che canta è proprio lei, la stessa Beyoncé che una volta ci faceva strabiliare con l’ugola d’oro e ancheggiare selvaggiamente, e che ora miagola parole di rancore e vendetta in matasse di suoni confuse come Pray You Catch Me, Sorry, o Formation? È proprio lei? Ancora lei? E a voi, pubblico che andava in visibilio per i suoi virtuosismi, piacciono sul serio queste dodici canzoni che non ti fanno muovere neanche l’unghia del mignolino?
Non dico di fare un disco alla Katy Perry o alla Taylor Swift, sei pur sempre Beyoncé, hai una dignità da difendere, ma cribbio, seguire i fili logici dei nuovi brani è davvero troppo complicato! Una roba come Sorry l’avrei vista al massimo come una interlude di massimo 60 secondi in un disco di tipico r’n’b, non come uno dei pezzi di maggior interesse del progetto.

E chissenefrega se il vero scopo del disco era mettere in piazza i panni sporchi di casa Carter! Io da un disco voglio musica, non chiacchiere: non siamo sulle pagine di un giornaletto gossipparo, siamo in un album di Beyoncé, la signora della black music dei giorni nostri! Anche perché ho come il sospetto che dietro a tutta la storia di botte, corna e rivincite, ci sia solo una mastodontica operazione pubblicitaria.

Vediamo un po’: tu e il marito siete in crisi nera, lo ammazzeresti di sprangate ma preferisci far uscire un album e urlare quanto lui è stato stronzo sputtanandolo in mondovisione. Ok, quindi cosa fai? Rilasci il tuo album in esclusiva su Tidal, la piattaforma streaming (a pagamento) ideata proprio da tuo marito?? Eh sì, proprio il gesto di una donna incazzata nera!
E poi che succede ancora? Che proprio lui, il marito fedifrago, solo alcune settimane dopo si ritrova a rappare di matrimonio e limonate in un altro brano (All The Way Up di Fat Joe). Chi non lo farebbe al suo posto, nella sua situazione?
Adesso ditemi, se l’unico valido motivo per ascoltare Lemonade era quello di sentire i versi rancorosi di Beyoncé verso Jay Z, ma si scoprisse davvero che era tutto finto, il valore di quest’album dove starebbe?
Non certo nella musica, quella pare solo un contorno, ed è pure brutta. Neppure nelle chiacchiere, che invece sono tante, troppe. E nemmeno nell’essere un visual album, perché ormai non è più una novità, o nell’essere apparso “a sorpresa” su Tidal, perché ormai l’hanno fatto quasi tutti.
Per questo Lemonade è un “album bla bla”.