E’ stato un momento di meravigliosa nostalgia quello andato in scena all’Alice Tully Hall presso il Lincoln center di New York il 18 settembre scorso.
Durante la serata, organizzata nell’ambito della ventinovesima edizione del New York FilmFestival, si è tenuta una proiezione speciale del classico Disney La Bella e la Bestia, che proprio quest’anno festeggia il venticinquesimo anniversario. In sala erano presenti alcuni degli storici doppiatori, fra cui anche Angela Lansbury, che all’epoca prestò la voce a Mrs. Potts (Mrs. Bric nella versione italiana), la teiera. Proprio la Lansbury è poi salita sul palco e con l’entusiasmo di una bambina, accompagnata al pianoforte da Alan Menkel, l’autore della musica, ha intonato il celebre tema musicale del film, che valse alla pellicola l’Oscar.
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit. Per questo album ha dichiarato di essersi “spostata” verso l’America Latina, anche se a dire la verità di richiami latineggianti non ce ne sono molti, eccezione fatta per l’ultimo brano, Don’t Shy Away, dove il tocco sudamericano viene bene fuori.
Per il resto, Familia, album che segna il ritorno in scena della star del pop inglese Sophie Ellis-Bextor dopo due anni dall’ultimo Wanderlust, è un lavoro dall’atmosfera molto particolare, diversa da quanto ci viene di solito proposto da radio e TV.
Un pop con qualche elemento folk e vagamente vintage, in cui non mancano però momenti di vero e proprio sballo in salsa disco come i due pezzi d’apertura, Wild Forever e Death Of Love, che si spalmano su un piacevolissimo e coinvolgente elettropop molto dinamico, e il singolo Come With Us. Guarda caso, sono proprio le tracce migliori.
Me l’ero persa un po’ per strada la signora Ellis-Bextor, ma sono felice di ritrovarla adesso in così luccicante forma.
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit. Se nel bel mezzo degli anni ’90 eravate già abbastanza grandi per ascoltare musica coscientemente, il nome dei Morcheeba difficilmente risuonerebbe a vuoto nella vostra testa. In quegli anni infatti il terzetto inglese è stato uno dei portabandiera del trip hop, ovvero quel magma musicale fatto di downtempo, un po’ di elettronica e una buona dose di chitarre rockeggianti. Massima espressione dell’arte dei Morcheeba fu quella gemma color del fuoco che porta il titolo di Big Calm.
Poi gli anni sono passati e la storia del gruppo e dei suoi componenti ha dubito un po’ di fisiologici cambiamenti.
Oggi non è che i Morcheeba siano proprio tornati con un nuovo lavoro, ma due dei suoi tre membri – per la precisione quell’angelo di cantante che si chiama Skye Edwards e Ross Godfrey – si sono ritrovati per dar vita a un progetto tutto loro, e lo hanno intitolato proprio Skye | Ross. Così, semplicemente. Quindi, i Morcheeba non sono davvero tornati, ma quasi. E in effetti dando anche solo uno sguardo alle tracce di questo album il paragone con la gloriosa formazione è inevitabile: un flusso che scorre tranquillo tranquillo tranquillo, in un misto di rock e atmosfere chill out.
La sensazione di serenità che se ne ricava è stupefacente e, per quelli che c’erano, la memoria non può non correre indietro agli anni ’90: si schiaccia play e l’album scorre via come una noce di burro messa al sole.
Ecco, magari dentro non ci sarà un pezzo come The Sea, e neppure qualcosa astutamente appiccicoso come Rome Wasn’t Built In A Day, ma Skye Ross è uno di quei dischi che si ascoltano con un benefico sorriso.
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
Le prime parole mi sento di spenderle per la cover. Il volto di Usher come fosse un busto in marmo mangiucchiato dai vermi o corroso dal tempo.
Venendo invece al disco, si intitola Hard II Love ed è un piacere ritrovare questo pilastro dell’hip hop /r’n’b dopo alcuni anni di silenzio. Ancora di più è bello ritrovarlo in così splendida forma.
Il rapper sembra aver lasciato tutta la scena all’interprete black, e l’album si snocciola tra pezzi di r’n’b caldissimo e fondente.
Insomma, i tempi della super hit Yeah sembrano lontani…
Immaginatevi un palazzo con grandissimi saloni affrescati, uno di quei palazzi che di solito si usano nei film, insomma. E immaginate che dentro ci sia una grande festa, di quelle con centinaia di ospiti, musica, buffet presi d’assalto da mani bramose che sbucano da ogni lato, camerieri che fanno avanti e indietro con enormi vassoi pieni di bicchieri con ogni sorta di bevanda.
È una festa magnifica, di quelle proprio fighe, dove per entrare ti chiedono non solo l’invito, ma anche di esibire un certo dress code, e non è ancora detto che ti facciano passare. Un evento a cui tutti vorrebbero partecipare. Immaginate che questa sia la grande festa del pop, sì, proprio la musica pop, un gigantesco ritrovo di tutte le piccole e grandi star dello showbiz riunite a celebrare il più commestibile dei generi musicali, quello che invade le classifiche e intasa i canali radio.
Immaginatevi di essere davanti a quel palazzo per sbirciare un po’ chi arriva e di vedere, attraverso le sagome che vanno verso il portone, una ragazza che invece se ne sta andando. Esce, va via, torna a casa. È presto, la festa non accenna a finire, anzi, eppure lei saluta tutti e va verso il parcheggio.
Quella ragazza è Lady Gaga.
Perdonate l’impiego di questa metafora alambiccata, ma volevo cercare di spiegare al meglio la strada che, a mio modesto parere, Stefani Germanotta sta prendendo.
Lady Gaga si sta allontanando dal pop, che detta così può sembrare un’indicibile tragedia o un’epocale minchiata, ma ora mi spiego.
Per anni Lady Gaga è stata abbondantemente nutrita dal pop, ci ha sguazzato dentro, ricevendone una fama e un successo superiori forse a ogni migliore aspettativa: quando ha esordito, nel 2008, i suoi primi due singoli Just Dance e Poker Face hanno entrambi superato i 7 milioni di copie vendute solo in America, poi nel 2009 Bad Romance ha dato al pop una sberla che da anni non riceveva più e il video è stato il primo a scuotere YouTube, prima che Youtube diventasse quello che è oggi.
Se poi fate un giro nel quartiere e a un qualsiasi passante fate il nome di Lady Gaga, probabilmente vi risponderà che è quella con i costumi strani, quella vestita di bistecche, quella che cammina sui trampoli. Cioè, anche se non conosce le sue canzoni, la gente – tutta la gente – sa chi è Lady Gaga, perché Lady Gaga ha saputo incarnare, per un certo periodo, l’essenza stessa del pop, ovvero la capacità di arrivare dappertutto, e non necessariamente con la musica.
La stessa cosa potreste dirla con altrettanta sicurezza di Katy Perry o Rihanna?
Tra decine di aspiranti dive dello starsystem, Lady Gaga è emersa, si è fatta notare, in un mare di chiacchiericcio indistinto, lei è quella che ha urlato più forte per farsi sentire. E c’è riuscita. È stata la prima a cavalcare il web e a utilizzarlo in tutta la sua potenzialità come mezzo di comunicazione, ha costruito una delle prime fanbase e le ha dato un nome, i little monsters, è stata tra gli artisti che hanno ridato slancio ai videoclip, dopo che per anni se n’era perso l’interesse.
Ma soprattutto, Lady Gaga ha abituato il suo pubblico all’eccesso, all’andare sempre oltre, con il rischio talvolta di non esserne lei per prima all’altezza. Quando nella primavera del 2011 è uscito Born This Way, il gaga-mondo ha raggiunto sotto tutti i punti di vista il culmine, con una presenza in scena talmente massiccia che ha reso il suo personaggio quasi indigesto, outfit assurdi, spesso imbarazzanti, esibizioni forzate. Tutto pur di esserci, ovunque. Fino al 2012, quando si è chiusa l’era Born This Way ed è iniziato qualcos’altro.
Quel qualcos’altro avrebbe portato ad Artpop, pubblicato nell’autunno del 2013.
Le premesse per un altro terremoto c’erano tutte, la collaborazione con Jeff Koons e Marina Abramović, il lancio dell’app, l’esibizione sull’abito volante. Eppure…
Eppure ci siamo tutti dovuti rendere conto che qualcosa era cambiato. Commercialmente parlando, quel disco è stato un mezzo fiasco, il primo vero fiasco di Gaga, e non senza motivo: quella musica non era ciò che il pubblico si aspettava. Se non è tracollato del tutto è perché i fan l’hanno comprato e se lo sono fatto piacere, ma il resto della gente l’ha evitato. D’altronde, chi dal pop vuole immediatezza e facilità non poteva non trovarsi disorientato davanti a quelle canzoni così slegate, caotiche e rumorose. Ecco, penso che sia da lì che Lady Gaga ha iniziato il suo lento allontanamento dal pop, proponendo qualcosa che forse appagava molto lei, ma non si incontrava con le aspettative generali.
E questo valeva per la musica come per l’immagine, perché si è sempre più capito che il tempo delle mascherate era finito. Nel bene e nel male.
Quando lo scorso febbraio ha ritirato il Golden Globe per la sua performance in American Horror Story, con quella messa in piega pareva sua madre. Lei, che 5 anni prima era andata a farsi cucire l’abito dal macellaio, si presentava agli eventi come una gran dama.
Per non parlare dell’operazione jazzistica con Tony Bennett, condensata in Cheek To Cheek: grande stoffa, ottima attitudine, perfetta combinazione di voci e generazioni a confronto, critica entusiasta, ma il mondo del pop era ancora più lontano. Certo, quell’operazione i suoi frutti li ha portati, perché lo zoccolo duro dei little monsters ha continuato a seguire la sua stella e in quel disco ha riscoperto una fetta di musica forse ignota, ma tra la Gaga di Bad Romance e quella della cover di Anything Goes c’è di mezzo una foresta nera. Se da una parte Madonna chiamava a duettare la trentenne Nicki Minaj per cercare l’attenzione dei teenager, Gaga prendeva per mano nonno Tony, che ha gloriosamente superato le 80 primavere, e anziché darsi al reggaeton si buttava sullo swing.
Adesso è arrivata l’ora del nuovo album, Joanne, atteso per il 21 ottobre: si sa che ci ha lavorato tanto Mark Ronson e che ci saranno collaborazioni anche con Beck e Florence Welch. Cosa ci dobbiamo attendere, francamente, non lo so, e ho un po’ paura di scoprirlo. Il primo assaggio di Perfect Illusion non è certo stato esaltante: una canzone senza spessore, musicalmente piatta, che appare più un pretesto per parlare della fine della storia con il fidanzato che non il vero ritorno di una delle più grandi popstar del decennio. A detta sua, la scelta di usarla come singolo di lancio è stata operata dalla casa discografica, specificando inoltre che il sound dell’album sarà piuttosto diverso. Che a voler essere malpensanti è un modo diplomatico per prendere le distanze in caso le cose si mettano male.
Anche il video sembra indicare intenzioni assai diverse dal passato: un simil-rave in un deserto californiano, lei che afferra il microfono, canta, balla, si dimena, e tutt’intorno una folla invasata in un montaggio da mal di mare. Stop. I tempi dei mini-film di Paparazzi, Telephone e Alejandro sembrano risalire a millenni addietro. Anzi, sembrano appartenere a qualcun altro. Il popolo giù in strada chiedeva una bomba pop, qualcosa che lo mandasse fuori di testa come fece a suo tempo Bad Romance, ma dall’alto del suo appartamento con vista su Central Park, Gaga ha optato per sonorità simil-rock e una canzoncina da prendere e mettere da parte dopo il terzo ascolto. Sono pronto a scommettere di non essere il solo ad aver storto il naso davanti al nuovo singolo.
Lady Gaga è un’artista di talento, di grandissimo talento, e mi pare indiscutibile che possa togliersi degli sfizi che molti colleghi possono solo sognare, ma davanti a un percorso musicale così indefinito non posso che chiedermi dove voglia andare a parare la Germanotta, e se sia davvero consapevole del grande rischio a cui sta andando incontro. Che abbia usato il pop dei primi anni per guadagnarsi celebrità e ora inizi a fare di testa sua? Possibile. Anzi, quasi sicuro.
Di solito in questi casi si usano frasi del tipo “lei vuole fare musica più impegnata, non vuole restare nel pop banale e facile”: a parte il fatto che ci sono infiniti modi di fare pop e di farlo bene, riconosco che sia legittimo cambiare strada, ed è ancora più legittimo alzare l’asticella per dimostrare di essere cresciuti, inerpicarsi per sentieri meno battuti, ma egoisticamente a me la Lady Gaga del periodo iper-pop, quella dei vari po-po-po, ma-ma-ma, Ale-Alejandro, inizia a mancare molto. E credo anche a molti dei suoi più fedeli seguaci, anche se forse non lo ammetteranno nemmeno sotto tortura.
Aspetterò allora con ansia l’uscita di Joanne, sperando in un miracolo che difficilmente arriverà.
Poi ho già sentito parlare di un nuovo album con Tony Bennett, forse il prossimo anno.
Nel frattempo, a palazzo, la festa del pop va avanti, e io vorrei tanto capire dove sta andando Lady Gaga…
Arriverà il 28 settembre su PornHub. Sì, è un video. No, non uno di quelli che pensate voi.
Si tratta infatti di Alphabet Of Love, il nuovo singolo di Immanuel Casto, estratto da The Pink Album, il disco uscito ormai un anno fa e che tante soddisfazioni ha dato al Casto Divo.
Quella con Immanuel Casto è la prima collaborazione tra il colosso del porno e un artista europeo.
«Alphabet Of Love: perché ci sono tanti modi di amarsi e io ve li racconto dalla A alla Z – spiega Immanuel Casto – Ho scelto di lanciare il video su Pornhub per premiare tutti coloro che, prima di tutto, sanno amarsi da soli, in pieno accordo con una piattaforma che ricorda al mondo che il sesso può avere tanti gusti».
«Questo singolo di Immanuel Casto incarna perfettamente lo spirito di Pornhub: divertimento, sagacia, creatività e sessualità in tutte le sue forme – afferma Corey Price, VP Pornhub – Siamo davvero eccitati di poter ospitare questo video sul nostro sito, è entusiasmante come sempre più artisti scelgano la nostra piattaforma per far conoscere il loro lavoro».
“Per tutte le donne che hanno sofferto per colpa di noi uomini,
per tutte le ‘stelle cadenti’, perché possano tornare a splendere”
Da domani
ROCCO HUNT feat. ANNALISA
conil nuovo singolo
“STELLA CADENTE”
Estratto dall’album “SignorHunt Wake Up Edition”
Dopo un tour estivo di successo in tutta Italia, Rocco Hunt torna in radio domani, 16 settembre, con “Stella cadente”, il nuovo singolo che vede il featuring d’eccezione di Annalisa.
Il brano è una denuncia nei confronti della violenza sulle donne, il racconto della nascita di un nuovo futuro dopo le sofferenze di un amore sbagliato.
Ancora una volta Rocco Hunt si fa portavoce di tematiche sociali, sempre attuali, rivolgendosi ai propri coetanei e non solo, per risvegliare le coscienze e far riflettere con le sue rime, da vero poeta urbano.
“Stella cadente” è uno degli inediti estratti dall’album di Rocco “SignorHunt Wake Up edition”, l’edizione speciale in doppio cd del disco SignorHunt che – come racconta lo stesso Rocco – “non è una semplice ristampa, ma un una versione 2.0 del disco, sia per la quantità di nuovi brani inseriti nell’album, che diventa infatti un doppio cd, sia per la nuova veste grafica che sottolinea il “Wake Up”, il risveglio dal torpore del SignorHunt, ovvero l’italiano medio”.
“L’umanità sembra vacillare tra hybris e paranoia: la superbia del nostro potere in continua crescita contrasta con la paranoia di essere permanentemente e sempre più in pericolo. Arrivati all’apice ci rendiamo conto di dover scendere di nuovo…sappiamo che abbiamo più di ciò che ci meritiamo o che possiamo difendere, e così diventiamo nervosi. Qualcuno, qualcosa sta per prenderci tutto: questo è il terrore dei ricchi. La paranoia porta alla difensiva, e finiamo tutti in trincea, uno di fronte all’altro, nel fango” – Brian Eno (Feb 2016)
Prendendo questa affermazione come punto di partenza e utilizzando un programma di intelligenza artificiale sviluppato su misura dalla Dentsu Lab Tokyo, questo nuovo progetto generativo esplora diverse immagini fotografiche storiche e le associa a notizie in tempo reale per comporre una memoria fotografica collettiva del genere umano.
Sviluppata appositamente per The Ship, l’intelligenza artificiale si avvale di tecniche di apprendimento automatiche per interpretare i propri “ricordi” del passato, associandoli con eventi presenti e presentandoli in un film unico.
The Ship – A Generative Film è un’esplorazione della musica e dei temi del nuovo album di Brian Eno ‘The Ship’ e crea un viaggio attraverso la storia moderna per esplorare le relazioni tra eventi presenti e passati. Lo spettatore è invitato a guardare il film e iniziare una discussione interna su come viene prodotto il significato storico. L’intelligenza della macchina produce un punto di vista indipendente dai suoi creatori e dai suoi spettatori? O stiamo – esseri umani e macchine – in ultima analisi, co-creando significati nuovi e inaspettati?
La risposta alla dichiarazione di Brian Eno esiste all’interno dello spettatore.