Addal è un giovane produttore italiano con le idee molto chiare, uno a cui piace che sia la musica a parlare prima di tutto il resto.
Ha già firmato remix per LP (Lost On You), Avicii (Waiting For Love) e Jasmine Thompson (Adore).
Dietro il nome Mida si nascondono invece tre produttori italiani dal curriculum esplosivo, in Italia e nel mondo…. ma la loro identità resta per ora un mistero.
La prima collaborazione di Addal vs Mida vede anche la partecipazione di KiFi e s intitola High, una bomba ad innesco di beat.
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
Già arrivata al quarto album, Rebecca Ferguson si dimostra una gran dama del soul dei giorni nostri. La ragazza che solo cinque anni fa si è messa in luce a X Factor UK, è oggi un’artista in piena corsa e in piena autoaffermazione.La sua ultima fatica si intitola Superwoman ed è – come si può ben intuire – un inno alla forza e alla rinascita, prima di tutti sue, in secondo luogo di tutte le donne, infine di ognuno di noi.
Un album di grande carica e un concentrato di scintillio soul, che lo pervade dalla prima all’ultima traccia. La signora ci sa fare alla grande, e con la sua voce vagamente felpata dimostra di saper regalare meraviglie: d’altronde, non dimentichiamo che solo l’anno scorso la Ferguson si è cimentata in un coraggioso progetto di cover di Billie Holiday, uno dei suoi punti di riferimento artistico, indi per cui è facile capire quanto lo spirito del soul o del jazz trovino in lei salde radici nonostante la giovanissima età.
A cominciare dal singolo Bones, cover di Ginny Blackmore, per poi passare a Mistress, Superwoman, Stars, Don’t Want You Back, Withou A Woman si assiste a lucenti esplosioni di musica, tripudi di declinazioni tra pop e soul, inni di battaglia di un’anima che è caduta, si è rialzata e vuole gridare forte la sua vittoria.
SANREMO 2017: I 20 BIG IN GARA GIÀ DALLA PRIMA SERATA
Quasi 600 gli iscritti a Sanremo Giovani, selezionati i primi 60
Tutti sul palco, già nella prima serata del Festival di Sanremo 2017: entrerà subito nel vivo, martedì 7 febbraio, la gara tra i 20 interpreti della Sezione Campioni del 67° Festival della Canzone Italiana. E’ una delle grandi novità della prossima edizione della rassegna nella quale, in passato, i “big” erano suddivisi in due gruppi, tra la prima e la seconda serata. Già da subito, quindi, il pubblico da casa e la giuria della sala stampa del Festival voteranno tutte le canzoni dei big in gara, come previsto dal Regolamento di Sanremo, disponibile online al sito www.sanremo.rai.it.
Sul fronte delle Nuove Proposte, invece, tra artisti singoli e gruppi sono 572 (per un totale di 766 individui) le domande arrivate al vaglio della Commissione musicale, di cui 560 valide per l’ammissione alla selezione. In particolare si tratta di 477 cantanti singoli (255 uomini e 222 donne) e 83 gruppi. Dal Nord arriva la maggior parte delle richieste di partecipazione (242 giovani pari al 31,6% del totale), segue il Centro con 224 giovani (29,2 %), il Sud con 193 (25,2%) e le Isole con 84 (10,9%). Molto interessante il dato relativo alle richieste di partecipazione arrivate dall’Estero pari a 23 persone (3%).
La Commissione Musicale presieduta da Carlo Conti, in veste di direttore artistico, e composta da Gianmaurizio Foderaro, Carolina Di Domenico, Pinuccio Pirazzoli, Ema Stokholma, dopo gli ascolti dei brani, ha selezionato i 60 artisti che parteciperanno alle audizioni dal vivo che si terranno a Roma il 25 ottobre presso la Sala A di Via Asiago. I 60 brani scelti sono già disponibili sul sito del Festival di Sanremo. A questi si aggiungerà il brano vincitore del Festival di Castrocaro ammesso di diritto alla selezione. Al termine delle audizioni, poi, saranno scelti 12 tra gruppi e artisti che parteciperanno alla serata di “Sarà Sanremo”. Solo 6 di loro, infine, entreranno a far parte – assieme ai due artisti provenienti da Area Sanremo – della categoria “Nuove Proposte” di Sanremo 2017.
Il prossimo 1 novembre, nel settimo anniversario della scomparsa di Alda Merini, Giovanni Nuti sarà protagonista di un evento speciale presso la Casa delle Arti-Spazio Alda Merini di Milano (via Magolfa 32).
Il cantautore incontrerà gli amici e il pubblico per una serata di musica, poesie, ricordi in una location che raccoglie molte suppellettili e memorabilia della “storica” casa di Alda Merini di Ripa di Porta Ticinese 47: dal pianoforte alla macchina per scrivere, dal suo letto (“zattera che corre verso l’infinito”) alla riproduzione del “muro degli angeli”, la parete su cui la poetessa appuntava numeri telefonici, nomi, disegni. Giovanni Nuti presenterà il suo “canzoniere” accompagnato da alcuni musicisti-amici (Simone Rossetti Bazzaro, violino; Josè Orlando Luciano, pianoforte; Alberto Melgrati, oboe; Michel Behare, chitarra; Emiliano Oreste Cava, percussioni) e racconterà episodi del suo “matrimonio artistico” con la poetessa dei Navigli, come la Merini era solita chiamare il loro lungo e intenso sodalizio, durato dal 1993 al 2009.
Nella serata ci sarà spazio per altri ricordi: alle ore 21, prima di Giovanni Nuti, la testimonianza di un altro amico di vecchia data di Alda Merini: Alberto Casiraghy, lo stampatore-editore-artista che, per i tipi della sua casa editrice Pulcinoelefante, stampò oltre 1.000 piccoli libri con le poesie e gli aforismi della poetessa, spesso da lui stesso illustrati. E poi reading di poesie di Alda Merini, racconti, aforismi, pensieri e parole in libertà a cura de LA CASA DELLE ARTISTE.
A casa di Alda, martedì 1 novembre, presso la Casa delle Arti-Spazio Alda Merini di Milano (Via Magolfa 32) ore 22,15.
Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
Quando un artista taglia il traguardo di una certa età e dà alle stampe la sua nuova opera, c’è una generale tendenza ad accogliere il lavoro con un po’ di leggerezza: è una tendenza non scritta, tacita, ma largamente diffusa.
Non è ben chiaro quale sia questo limite tra la giovinezza è la vecchiaia dell’arte, ma c’è, ammettiamolo. Si è un po’ generalmente convinti (troppo spesso a torto!) che i colpi migliori di una vita dedicata all’arte debbano arrivare entro una certa data, poi inevitabilmente, quasi per un fatto fisiologico, tutto quello che si fa è mediocre, scadente, comunque non degno di troppe attenzioni. È un fenomeno di cui si sta recentemente rendendo conto Madonna, che di primavere ne ha alle spalle 58: nonostante il suo ultimo Rebel Heart sia migliore di altri suoi dischi pubblicati anni addietro, è stata lei stessa ad accorgersi di essere vittima dell'”ageismo”, la discriminazione dell’età.
Giusto dare spazio ai giovani, sacrosanto, ma non si può nemmeno arrivare all’opposto di fare dei dati anagrafici un termometro della qualità di un prodotto artistico. La musica è stata, è e sarà piena di esempi di album meravigliosi pubblicati da artisti nel – diciamo così – autunno della loro esistenza.
E se di discriminazione anagrafica ha iniziato a soffrire Madonna, figuriamoci in che situazione potrebbe trovarsi Leonard Cohen, che ha pubblicato il quattordicesimo album nel suo ottantaduesimo compleanno. Parliamoci chiaramente, anche se Cohen è uno di quei nomi davanti a cui le gambe dovrebbero iniziare a tremare, non c’è dubbio che per il mondo lui resterà quasi esclusivamente “quello di Hallelujah“, sempre che non la si voglia attribuire forzatamente a Jeff Buckey. La realtà è che la carriera di Cohen è stata fonte di ispirazione per una quantità incommensurabile di musicisti, ha posto una pietra miliare nella storia della musica per i suoi testi, le sue poesie, ben al di là di quelle gemma che porta il nome di Hallelujah.
You Want It Darker, questo il titolo dell’ultimo album, continua gloriosamente il percorso, essendo solo l’ultimo grandissimo album di un gigante della musica dei giorni nostri.
C’è quasi un’atmosfera liturgica tra queste nuove tracce, un senso di misticismo artistico e di mistero nascosto dal lento incidere della voce cavernosa e a tratti oscura di Cohen, che più che abbandonarsi a un vero canto procede per passi poco più che recitati.
È come assistere a una solenne salmodia, durante la quale ci si deve alzare in piedi togliendosi il cappello in segno di riverenza. Perché in You Want To Darker la forza espressiva di Cohen si percepisce in tutta la sua integrità, a cominciare dal momento sacrale della titketrack, accompagnata dal Cantor Gideon Zelermyer & The Shaar Synagogue Choir di Montreal.
Un album di nove tracce che restano avvolte in loro stesse, in un denso e oscuro defluire che non si concede tappe e deviazioni di troppo, ma si ricopre solo di essenziale.
Tutto parte da una vicenda realmente accaduta nel 2001, un fatto di cronaca vero, ma talmente surreale da sembrar uscito da un romanzo: lo strano naufragio di una nave in avaria porta sulle spiagge di Sao Miguel, alle Azzorre, un carico di 540 kg di cocaina salpato dal Venezuela e destinato alle Canarie. Le conseguenze per i giovani di Sao Miguel sono devastanti, e ancora oggi se ne vedono gli strascichi.
Proprio alle Azzorre Pietro, il trentaduenne milanese protagonista di Ti devo un ritorno, scappa subito dopo la morte del padre e incontra il giovane Vasco. Da lì prende avvio la storia, con tutto ciò che deve succedere.
Così Niccolò Agliardi ha dato vita alla sua prima prova da autore di romanzo, intrecciando con disinvoltura realtà, finzione e “vita”. Lui che ha firmato canzoni celeberrime per Laura Pausini, Emma ed Emis Killa (giusto per fare un paio di esempi, ma la lista sarebbe lunghissima), adesso si è messo in gioco sul racconto lungo. Il risultato è Ti devo un ritorno*.
Contemporaneamente, Agliardi non ha tralasciato la musica, facendosi nuovamente autore della colonna sonora di Braccaletti rossi, la fiction di Ra1 giunta quest’anno alla terza stagione.
Un’esperienza che per il cantautore è andata in questi anni ben al di là del semplice lavoro…
Come ti è venuta l’idea di partire da quel caso di cronaca e costruirci sopra un romanzo? Avevo la sensazione di essere stato solo ascoltatore di questa storia bellissima che mi ha raccontato il mio amico Giovanni Gastel. Era una storia geniale, ma non sapevo come maneggiarla e per un po’ di anni l’ho lasciata ferma. Poi mi è arrivata la proposta di dar vita a un racconto e mi è tornata in mente: ho provato a scriverla, ma non funzionava. Aveva spunti interessanti, ma il testo non girava come volevo e avevo addirittura pensato di lasciar perdere, fino a quando mi sono ricordato di una mia compagna di Università, Maria Cristina Olati, che sapevo essere diventata un’ottima editor: l’ho contattata e prima ancora di conoscere la storia su cui volevo lavorare, mi ha chiesto di raccontarle un po’ di me, di quello che avevo fatto in questi anni. E come potevo non raccontare anche di Braccialetti rossi? A quel punto è stata lei che mi ha costruito sotto gli occhi la storia del romanzo, intrecciando elementi diversi, e ho capito che un libro così io lo avrei voluto leggere. A quel punto si è trattato di scriverlo, e non è stato come dirlo: ho dovuto mettere molto rigore, per la parte giornalistica mi sono affidato ad Andrea Amato che ha regimentato i dati reali, poi io ci ho messo dentro un po’ di vita, di mestiere, e anche di musica. È libro musicale questo, suona bene mentre lo si legge, ed è sicuramente la cosa più bella che ho fatto, figlia di tante esperienze.
Come ti sei trovato ad approcciarti alla scrittura di un romanzo rispetto alla creazione di una canzone? E’ stato totalmente diverso: in una canzone devi dire tutto in tre minuti e mezzo, in un romanzo devi diluire una sola storia in più di duecento pagine, con la paura di non avere nulla da dire. Ho passato intere giornate senza riuscire a scrivere nulla, e ho dovuto accettare la sconfitta di quei giorni vuoti. Con le canzoni non mi è mai successo, non mi sono mai sentito inadeguato verso una canzone, o almeno non più da molti anni, con il romanzo il senso di inadeguatezza l’ho avvertito. I personaggi come sono stati costruiti? Pietro parla come me, anche se è più piccolino, Vasco ha tanto del Brando di Braccialetti rossi, c’è tutta la sua romanità nelle battute, la passione per il surf. Ho attinto da quello che vedevo intorno.
Mi ha colpito molto una delle dediche del libro, “A chi pensava di farcela”… Non tutti ce la fanno, e vale la pena ricordarsi anche di loro. Non si parla necessariamente di morte: più semplicemente, nei grandi slanci che la vita ci obbliga a fare, qualcuno riesce a decollare, qualcun altro rimane a terra, ma hanno tutti la stessa dignità. Nel libro c’è qualcuno che non ce l’ha fatta.
“So bene che scappare è da vigliacchi, ma qualche volta ti salva la vita”: nel romanzo questa frase ha un significato ben preciso, ma anche per te è così? Io non sono mai scappato dalle cose importanti, non mi è mai capitata la fuga. Nel libro faccio fuggire Pietro, ma la fuga avviene all’inizio, poi il suo personaggio sa bene dove stare. È molto più difficile restare, ma è fondamentale: le grandi relazioni della mia vita, gli amori, le amicizie, sono quelle che ho costruito scegliendo di restare e dove anche l’altra persona ha scelto di restare, anche se era più difficile. “Non credo di essere destinato alla felicità”, dichiara un altro personaggio, Niccolò, ma per te la felicità esiste? Certo! Non è uno dei sentimenti che maneggio più facilmente e forse non dura molto, ma esiste e la possiamo raggiungere. Per Braccialetti rossi ho scritto una canzone che si intitola La tua felicità, in cui parlo di quando si è felici per la felicità degli altri. Non saprei come definire altrimenti quella sensazione che provo nel vedere felici certe persone a cui sono legato.
Che differenza c’è tra senso e ragione delle cose? Qui a parlare nel libro è Cristina, la madre di Vasco. La ragione è filtrata dall’intelletto, la si può analizzare, il senso invece è pancia, non è spiegabile. Sono entrambi importanti, ma forse nella vita il senso la vince un po’ di più.
Sei davvero convinto che, come scrivi, se ti fermi ci sarà sempre qualcuno che prima o poi passerà a riprenderti? Penso di sì, se lasci del bene qualcuno che ripasserà ci sarà sempre. Certo, può anche non succedere, ma devi proprio essere stato uno stronzo!
Tu sei mai ripassato a riprendere qualcuno? Tantissime volte.
Gli inediti della nuova colonna sonora di Braccialetti rossi quando sono stati scritti? Si sono molto diluiti nel tempo: ho iniziato a scrivere con Edwin un paio di anni fa, al termine della seconda stagione. Ci abbiamo lavorato tanto nell’estate del 2015, mentre negli ultimi mesi abbiamo chiuso Ti sembra poco, il brano che fa da traino all’album insieme a Simili di Laura Pausini e che incarna un po’ l’ultima serie.
Sono passati ormai più di tre anni da quando hai iniziato a occuparti di Braccialetti rossi: cosa ha significato per te far parte di questo progetto? Ho guadagnato una famiglia. Non c’è un giorno in cui non sento almeno alcuni dei ragazzi, vivo con loro le gioie e le crisi quotidiane, loro sanno tutto di me. Mi fanno sentire la loro vicinanza.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato ha per te il termine “ribellione”? Rendersi adatti a qualcosa di inadatto.
*Non sarà certo un caso che, scorrendo le canzoni dell’ultimo album di Laura Pausini, in Chiedilo al cielo, firmata da Agliardi, vengano pronunciate proprio queste parole…
“Le donne aspettavano al porto l’arrivo dei loro uomini”.
Il mare entra in scena da protagonista. Un mare che dà sostegno e speranza, ma che allo stesso tempo, è un mostro antropofago che ruba la vita a marinai e pescatori. La battaglia dell’uomo nei confronti della natura, l’onnipotenza umana presunta stroncata dalla furia degli dei. Una vecchia storia, vecchia come il mondo che ricorda altre storie.
Un mare nero in piena tempesta, un cielo plumbeo minaccioso: è tutto La morte avrà i tuoi occhi, primo singolo che dà il titolo al nuovo album dei CieliNeriSopraTorino.
I CNST (CieliNeriSopraTorino) nascono agli inizi del 2010 da un idea di Mauro Caviglia (voce e chitarra) e Giampiero Morfino (batteria) dalle ceneri dei Sanlait, gruppo dal sapore elettrico settanta e novanta. Sempre su questa linea sonora che accompagna testi cantati in italiano, iniziano a comporre brani originali, suonando nei locali della zona. Partecipano a vari concorsi sul territorio nazionale aggiudicandosi alcuni premi con il brano “La morte avrò i tuoi occhi” nel 2013, e con “Pensiero Mattutino” l’anno successivo. Dopo vari cambi di formazione, alla fine del 2014, con l’entrata nella band di Gianluca Vaccarino alla chitarra e Federico Sannazzaro al basso, il gruppo trova il giusto equilibrio.
Stanco di tutta la gente che non ce la fa ad esimersi dal dare lezioni di vita, Artù scrive Zitti come uno sfogo. “Soprattutto, zitti! Perché alla fine dei conti ognuno è libero di fare quello che vuole della propria esistenza.”
«Pia Contessa nasce circa cinque anni fa, con l’intento di scrivere qualcosa di ‘diverso’, una realtà sconosciuta ai più, ovvero l’omofobo etero fasullo e represso, quasi invidioso e spaventato della libertà altrui. Uno frustrato che nutre pulsioni irrefrenabili verso coloro che al bar con amici, al ristorante, tra i discorsi con i familiari, rifiuta e disprezza. Un ‘carnefice’ che è a sua volta vittima di se stesso e della sua educazione, costretto a manifestare le proprie pulsioni in gran segreto, con il travestitismo o banalmente attraverso incontri occasionali, nei momenti liberi rubati, nei parcheggi, insomma in posti e con persone che non potranno essere testimoni dell’inconfessabile. Ho voluto raccontare il tutto in maniera molto ironica ed inaspettata, fornire l’altro lato della medaglia del fenomeno legato all’omofobia, proprio per far venire a galla i ‘peccati’ di una certa frangia di popolazione che molti non si aspetterebbero e non immaginerebbero neanche».
Così Maurizio Camuti, cantante dei milanesi Fuoricentro, presenta Pia Contessa, nuovo singolo della band.
Un racconto dell’omofobia da un punto di vista molto particolare, contro ogni moralismo e ogni paletto del politically correct.