THE LAST DINNER PARTY live a Barezzi Festival 2024.

THE LAST DINNER PARTY, il quintetto inglese tutto al femminile,

capitanato dalla frontwoman Abigail Morris,

arrivano in Italia con il loro premiato debut album, “Prelude To Ecstasy”, pubblicato a febbraio via Island.

Prodotto da James Ford, il disco ha debuttato al primo posto in UK.

Vincitrici del titolo di Rising Star 2024 ai BRIT Awards 2024,

sono state nominate anche Sound Of 2024 da BBC Radio 1.

Dall’uscita del loro primo singolo, “Nothing Matters” – ascoltato in streaming più di 79 milioni di volte su Spotify – ai live a Glastonbury e al The Great Escape,

il cammino del quintetto londinese è inarrestabile.

GIOVEDÌ 14 NOVEMBRE 2024
TEATRO REGIO – PARMA

BAREZZI FESTIVAL

www.barezzifestival.it

Str. Giuseppe Garibaldi, 16/a, 43121 Parma PR

Prevendite disponibili su www.ticketmaster.it e www.postoriservato.it dalle ore 9.00 di venerdì 17 maggio

 

Cercare di riassumere l’impatto che The Last Dinner Party hanno avuto nell’ultimo anno sarebbe un’impresa difficile e ingiusta nei confronti della band stessa. Tour esauriti in tutto il mondo, singoli che hanno scalato le classifiche e un album al numero uno delle classifiche, il tutto accompagnato da premi e riconoscimenti: è chiaro che il loro talento e la loro musica hanno lasciato un’impronta indelebile nel panorama musicale. I loro live, coinvolgenti e magnetici, le ha portate dai piccoli club londinesi fino alle grandi sale nel Regno Unito, in Europa e negli Stati Uniti.

E non sembrano voler rallentare: la band ha annunciato nuovi concerti in Australia e Giappone oltre a tour negli Stati Uniti e nel Regno Unito, inclusi tre spettacoli esauriti all’Hammersmith Apollo di Londra in autunno. Con il loro atteso ritorno a Glastonbury e l’attenzione sempre più concentrata su di loro, il 2024 si preannuncia un altro capitolo emozionante nella storia di The Last Dinner Party, confermandole come una delle band più richieste e sorprendenti della scena musicale britannica.

#MUSICANUOVA: Tommaso Di Giulio, “Anche basta”

#MUSICANUOVA: Tommaso Di Giulio, “Anche basta”

“Anche basta è uno sfogo, un lamento, un’epifania. E’ una di quelle prese di coscienza che non si è certi di voler portare fino in fondo. In che si traduce? In una fotografia di un dolceamaro stallo alla messicana, una canzone scritta quando me la prendevo più con me stesso che con la persona che mi stava vampirizzando l’esistenza. Perchè se sto male non mi tiro fuori da questo loop malsano? E’ una domanda che almeno una volta nella vita ci siamo fatti tutti…”

Il cantautore romano Tommaso Di Giulio torna con Anche basta, un brano in cui racconta la difficoltà nel porre fine a una relazione tossica nonostante la consapevolezza di quanto piano piano ci stia distruggendo, una lotta continua tra frustrazione e voglia di cambiare.

Un rapporto impari di cui il protagonista è conscio, in cui ogni proposito di rivalsa sembra trasformarsi in una ritirata, ma con un finale aperto che accende una scintilla di speranza.

“Siccome i contrasti e le contraddizioni sono tra le cose che mi interessano di più in musica e nella quotidianità anche questa canzone mette insieme ingredienti che generalmente reagiscono come quando si mescolano l’olio e l’acqua. Però, hai visto mai, alcuni esperimenti danno risultati sorprendenti”.

Te l’hanno detto che per dire: “noi”

bisognerebbe essere almeno in due?

Al netto di alcune patologie

che ora sospetto siano tutte tue

Ok, gli indizi erano in bella vista

ma ero stregato e non mi davo pace

amante, sposo, confessore, autista

per guadagnare un tuo sorriso. E invece:

non ti basta e mi ributti giù, giù.

Io, ho bisogno di te, di te, di te, di te, di te…

Io, ho bisogno di te, di te, di te, di te, di te…

…Di tenermi a debita distanza 

perchè va bene: “tutto fa esperienza”, ma anche basta!

Pazienza! E’ andata così.

Eh già…

Credevo ormai fosse passato il peggio 

ho poi capito che eri all’antipasto 

e dopo il tempo, il sonno ed il coraggio

hai fatto presto a consumare il resto.

A raccontarsela ci vuole poco

tenere il punto è un altro campionato

l’orgoglio scalpita, ma resta un eco

mentre precipito e non ho capito

come ho fatto a ricaderci, no, no!

Io, ho bisogno di te, di te, di te, di te, di te…

Io, ho bisogno di te, di te, di te, di te, di te…

…Di tenermi a debita distanza 

perchè va bene: “tutto fa esperienza”, ma anche basta!

Pazienza! E’ andata così.

E’ andata così.

Io, ho bisogno di te, di te, di te, di te, di te…

Io, ho bisogno di te, di te, di te, di te, di te…

…Di tenermi a debita distanza 

perchè va bene: “tutto fa esperienza”, ma anche basta!

Anche basta! Anche basta!

Pazienza! E’ andata così.

E’ andata così.

BITS-RECE: Michelangelo Vood, “Non c’è più tempo”. Nonostante tutto, sperare ancora

BITS-RECE: Michelangelo Vood, “Non c’è più tempo”. Nonostante tutto, sperare ancora

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

Lasciate ogni speranza, o Voi che ascoltate. Perché in questo disco di speranza ce n’è davvero poca.

In compenso, c’è tanto, tantissimo cuore, e tanta, tantissima poesia. Questo è uno di quei dischi fatti prima di tutto di parole, di pensieri, di riflessioni, di confidenze, e solo dopo di musica e melodie.
E non perché la musica sia secondaria, ma perché qui più di tutto emerge un’urgenza di scrivere, di buttare fuori un mondo di paure, di ansie, di aspettative disattese, di promesse che qualcuno là fuori non ha mantenuto.

Non c’è più tempo, album d’esordio di Michelangelo Vood, è un bilancio di vita alla soglia dei 30 anni, un resoconto di pagine parecchio disilluse. Perché avere 30 anni oggi non è facile, e può fare paura. Anzi, ha sempre fatto paura, perché i 30 anni hanno sempre rappresentato una sorta di punto di non ritorno.

Ne L’ultimo bacio, pellicola diventata simbolo di una generazione, Gabriele Muccino aveva tratteggiato magnificamente la crisi dei trentenni: ma lì era diverso, molto diverso. Erano i primissimi anni ’00, e i trentenni di allora soffrivano soprattutto per la fine della loro “età dell’oro”, quella fatta di spensieratezza e di mancanza di grandi responsabilità.

Ma chi ai 30 anni ci arriva oggi si trova davanti uno scenario ben più complesso. Certo, ognuno vive la propria età e il proprio presente a modo suo, ma che avere 30 anni oggi sia una sorta di sciagura non è difficile crederlo, anche per chi – come il sottoscritto – ci è già passato da un po’.

Quello che Michelangelo Vood ha fatto nel suo primo album è stato mettere a fuoco il quadro della sua generazione e consegnarcelo con i tratti nitidi e sensibili della sua scrittura.

“Siamo nomadi, figli dei dollari, del Millennium Bug, di una madre in provincia sola”, canta in Millennium Bug, un brano-manifesto su cui domina una malinconia che fa stringere il cuore. E poi prosegue: “Chissà se è questo che volevo quel giorno di novembre solo dentro a un treno, che corre verso nord”.
In quanti questa domanda se la saranno fatti?

Lasciare la provincia, lasciare gli affetti, i genitori, raggiungere la metropoli, tenere accesi i sogni e i progetti, nonostante tutto. E poi veder finire un amore, sentirsi vulnerabili, ma avere la forza di riconoscerlo, e poi, inspiegabilmente, sentir nascere una forza che ti spinge avanti. Ancora, nonostante tutto. Istinto di sopravvivenza? Incoscienza? O forse un barlume di speranza?

C’è proprio così tanta vita raccolta nei brani di Non c’è più tempo. E Michelangelo Vood la racconta senza pudore. O meglio, con il pudore di chi sa dare peso alle parole, e riesce a volgere in poesia anche la notte più nera.

Non c’è più tempo è un album disarmante, sicuramente uno dei dischi più pessimisti che mi siano capitati tra le orecchie negli ultimi tempi. Pur nella sua infinta delicatezza, in certi momenti è un disco capace di aprirti buchi in fondo al cuore.

Ma è un disco che fa bene, perché ci ricorda che siamo umani. E quando intorno a noi vedremo solo macerie sarà probabilmente la nostra umanità a salvarci, a farci andare avanti ancora una volta, a farci pensare che forse di tempo ne è avanzato ancora un po’. Che non tutto è perduto.

E quindi forse non era vero quello che ho scritto all’inizio, che non c’è speranza. C’è e ci sarà sempre.
Ci sarà il tempo della paura, il tempo della delusione, il tempo dell’abbandono, il tempo dello smarrimento. E ci sarà il tempo per sperare ancora.
Ci sarà sempre tempo.

BITS-RECE: Anitta, “Funk Generation”. Corto, sporco e cattivo

BITS-RECE: Anitta, “Funk Generation”. Corto, sporco e cattivo

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una mancata di bit.

Lo dico tranquillamente: non avevo nessuna valida ragione per ascoltare questo disco. Conosco discretamente l’artista, non vado particolarmente matto per il suo genere e nessuno mi ha commissionato la recensione. Se l’ho ascoltato – e ora ne scrivo, visto che ci ho investito del tempo – è perché scorrendo la tracklist in Spotify sono rimasto colpito dalla durata media delle canzoni.

Più che album, Funk Generation di Anitta è una scatola di cartucce.

Una raffica di 15 proiettili veloci come schegge, sparati a perdifiato, in neanche 40 minuti.

Si fa giusto in tempo a prendere confidenza con quella carica di bollenti ritmi carioca che tutto è già finito.

Il sesto album della star brasiliana più famosa al mondo (in questi anni almeno) nasce come un tributo al funk delle favelas: “Funk Generation incarna ogni sfumatura di questo genere musicale 100% brasiliano che ha plasmato il mio percorso sia come persona sia come artista”, ha dichiarato Anitta. “Il funk è radicato nella cultura di coloro che vivono nelle favelas brasiliane, da cui provengo, e spesso è stato ingiustamente giudicato come privo di valore artistico, persino associato alla criminalità organizzata. Riflette il classismo e il razzismo presenti nella nostra società. Io faccio parte di una generazione che ha abbracciato il ritmo, è uscita dalle favelas e ha conquistato il Brasile”.

Uno scopo più che nobile insomma, non fosse che terminato l’ascolto dell’album si fa fatica a dire cosa ne resta in testa a parte il bada bum bada bum bada bum. Tutto risulta così frenetico e i pezzi sono così – diciamolo – “simili” tra loro che distinguerli uno dall’altro diventa il vero esercizio dell’ascoltatore. Tra l’altro, sono di una lunghezza imbarazzante, che raramente ho visto in altri album: su 15 tracce totali, solo una supera i 3 minuti, e ben tre restano addirittura sotto i 120 secondi. Per dire, ci sono artisti che inseriscono nei propri album degli “Interlude” più lunghi. Già faccio fatico a farmi andare bene le mini-canzoni da 2 min e un tot che vanno di moda ora, figuriamoci se vedo un timing di 1.23 min…

Più che un manifesto funk, questo lavoro è un mosaico in cui le singole tessere si mangiucchiano a vicenda, si confondono, si appiattiscono pur nel loro fragore.

Se l’intento era far sentire il calore delle notti lungo le strade di Rio, la missione è stata centrata, così come è indubbio che volenti o nolenti ci si ritrovi a ondeggiare le spalle spinti da un esercito di percussioni che non lascia scampo. Ma soprattutto, Funk Generation è un’intricata selva di folklore carioca sporchissima, sudaticcia, lussuriosa e lussureggiante di contaminazioni urban, hip-hop, elettroniche, che sono poi la vera anima dell’album.

A un certo punto, in Ahi, spunta fuori pure Sam Smith, che qui però non centra proprio nulla e, anzi, appare pure un tantino a disagio nonostante la svolta dirty degli ultimi anni.

Da segnalare la citazione di Lose My Breath delle Destiny’s Child nel brano di apertura, che non a caso si intitola Lose Ya Breath. Un tocco gustoso, va detto.

Per il resto, è un po’ tutto come in una sveltina: focoso, travolgente, senza vera passione. E una volta finito passi a fare qualcos’altro.

Il 30 agosto esce “Ritual”, l’epopea cerimoniale di Jon Hopkins

Il 30 agosto esce “Ritual”, l’epopea cerimoniale di Jon Hopkins

Devozionale, illuminante ed educativo.
Il nuovo album di Jon HopkinsRITUALin uscita il 30 agosto via Domino,è un’epopea cerimoniale di 41 minuti costruita su subwoofer cavernosi, ritmi ipnotici e un gioco melodico trascendente.
Teso, coinvolgente e infine trionfale, è il culmine di temi esplorati nel corso di 22 anni di carriera e rappresenta la controparte cinetica di Music For Psychedelic Therapy del 2021.

Un’opera unica che si sviluppa in otto capitoli, il nuovo progetto dell’artista inglese è caratterizzato da profondità e contrasti. Prendendo come ispirazione la cerimonia, la liberazione spirituale e il viaggio dell’eroe, attinge a un’energia antica e primordiale.


Parlando di RITUAL, Hopkins spiega: “Non ho idea di cosa sto facendo quando compongo. Non so da dove arriva e dove sta andando, ma non sembra che abbia importanza. So solo quando è finito. Tutto ciò che posso fare è sentire la mia strada fino alla fine, poi cercare di analizzare retrospettivamente ciò che potrebbe accadere e cercare di capire qual è il suo scopo. Ciò che è chiaro è che questo ha la struttura di un Rituale. Io so cos’è questo rituale per me, ma per voi sarà qualcosa di diverso. È importante non essere prescrittivi.”

E continua: “Sembra uno strumento, forse addirittura una macchina, per aprire portali nel mondo interiore, per sbloccare cose nascoste e sepolte. Cose che sono tenute al loro posto dalla tensione del corpo. Non sembra quindi “un album”, ma piuttosto un processo da seguire, qualcosa che lavora su noi stessi. Allo stesso tempo, sembra che racconti una storia. Forse è la storia del processo che sto attraversando e che stiamo attraversando tutti. Forse è anche la storia della creazione, della distruzione e della trascendenza. Forse è la storia dell’archetipo del viaggio dell’eroe”.

Ad anticipare l’album è la traccia RITUAL (evocation), accompagnata da un videoclip mozzafiato realizzato da Dave Bullivant in collaborazione con Hopkins, che vede l’esibizione dell’artista di corde aeree Bryony Louise Fowler.

Con la partecipazione dei collaboratori di lunga data Vylana, 7RAYS, Ishq, Clark, Emma Smith, Daisy Vatalaro e Cherif Hashizume, RITUAL è stato realizzato nella seconda metà del 2023, ma i semi iniziali sono stati gettati nel 2022, quando Hopkins è stato incaricato di comporre la musica per l’esperienza immersiva Dreamachine a Londra, creata da Collective Act in collaborazione con un team di artisti, scienziati e filosofi, nell’ambito di Unboxed: Creativity in the UK
Il progetto, che ha avuto fin dall’inizio un carattere cerimoniale, è stato il lavoro embrionale di RITUAL.

Nella realizzazione dell’album, Hopkins è partito da un brano creato per Dreamachine, originariamente concepito attraverso un progetto di ricerca e sviluppo finanziato dal governo britannico con il sostegno di EventScotland e del governo scozzese, di Creative Wales e del governo gallese, del Consiglio comunale di Belfast e dell’esecutivo dell’Irlanda del Nord.

Tracklist:

1. part i – altar
2. part ii – palace / illusion
3. part iii – transcend / lament
4. part iv – the veil
5. part v – evocation
6. part vi – solar goddess return
7. part vii – dissolution
8. part viii – nothing is lost

Le “Lune di Gaza” di Ninotchka contro il genocidio

Le “Lune di Gaza” di Ninotchka contro il genocidio

Lune di Gaza è il nuovo singolo di Ninotchka, il progetto musicale di Mimmo Pesare, con la collaborazione di Amerigo Verardi alla voce.

Il singolo, nato come una instant-song, è esplicitamente dedicato al genocidio in atto a Gaza.

Lune di Gaza è una malinconica ballad in bilico tra vapor-wave (si noti la citazione di All cats are gray, quasi un omaggio ai Cure di Faith, nel sample di batteria) e il rodato stile musicale di Ninotchka, sul crinale tra cantautorato ed elettronica innestata ad arrangiamenti orchestrali e chitarre post-rock.
“Lune di Gaza” è una canzone contro la guerra: il testo non ne fai mai esplicito riferimento, ma la voce fuori campo di una inviata ne fa arrivare gli echi, mentre Amerigo Verardi canta della bellezza della Luna nel cielo di Gaza, un “piccolo ristoro/ in cui poter precipitare”.
Lune di Gaza esce in versione digital-45 con un lato B che include Le nostre ore contate, cover di Ninotchka contenuta in “Stagioni.  Tributo ai Massimo Volume”.

#MUSICANUOVA: Jassies, “Calle Dos de Mayo”

#MUSICANUOVA: Jassies, “Calle Dos de Mayo”

Un racconto di un amore appena nato, ma già estremamente intimo.
Calle Dos de Mayo è il nuovo singolo dei Jassies.

Fuori per Spaghetti Unplugged e distribuito da Ada Music Italy, il brano regala un senso del divino e della sua presenza aleatoria.


II protagonisti del racconto diventano eroi di un poema epico: all’interno di una stanza, si respira erotismo e si avverte un’intensa sintonia tra sguardi e corpi. Gli oggetti, la luce, i suoni e i silenzi si trasformano in strumenti propri dell’Eros.

“saprò come eccitarti
frena le mani se non sarò leggero
provo ad esercitarmi a decifrarti
in braille invoco la cecità di Omero”

Calle Dos de Mayo prende vita tra la Spagna, l’Italia, la Turchia e la Tunisia, tra elementi esotici e familiari. Il singolo è un mix di contrasti tra un legame poetico, e un legame profondo che si eclissa sul finire del brano.

Dumi e Manci formano il nucleo principale della band: rap e voce. Grazie al feeling creatosi sin da subito, i due iniziano a scrivere pezzi originali in italiano che presto incontrano la chitarra di Giordano. Quest’ultimo, in sintonia con le vibes black, soul e funky della coppia, inizia a produrre le basi del progetto.
La svolta arriva durante una serata, in un locale a Roma: il trio, esibendosi, supera ampiamente la prova del live oltre che quella in studio.
Alla tastiera arriva presto Eleonora, pianista jazz che si aggiunge al team creativo e alla formazione. Aperti, eclettici e contaminati, il palco è l’habitat naturale dei Jassies.

#MUSICANUOVA: Mariné, “Sorpreso disincanto”

#MUSICANUOVA: Mariné, “Sorpreso disincanto”

Sorpreso disincanto è il nuovo singolo di Mariné.
Il brano nasce dalle profondità del cuore del cantautore chietino e accompagna l’ascoltatore in un viaggio emotivo tra labirinti amorosi, dove ognuno si è perso almeno una volta.
L’ispirazione del brano è arrivata dall’esperienza personale, un dialogo tra colleghi che hanno condiviso turbamenti e risate.
Sorpreso disincanto è una confessione, uno specchio delle emozioni che nascono, crescono e talvolta si perdono nei meandri delle relazioni. È la storia di un viaggio dal passato al presente, dove il futuro è incerto, fermo a un bivio.

Il singolo si arricchisce del sax di Alex Di Rocco.

Alessio Marinelli cresce nella tranquilla provincia chietina. Dopo un decennio trascorso a scrivere i suoi brani tra il sottofondo costante delle macchine industriali, il richiamo della musica, troppo forte per essere ignorato, lo spinge verso orizzonti diversi. Questo cambio di rotta non nasce da un impulso del momento, ma da una passione maturata e custodita gelosamente, coltivata fin dall’età adolescenziale sopra e sotto i palchi.

Mariné, il nome d’arte che porta con sé echi della sua terra e ricordi di vecchi amici, diventa un simbolo di questa sua evoluzione. E il papillon che lo accompagna non è soltanto un accessorio di stile, ma il manifesto della sua trasformazione: da operaio a musicista, da un esistere programmato a un vivere creativo.

Questo cambiamento è arrivato attraverso il mondo degli eventi, che Alessio ha voluto rappresentare ideologicamente con l’immagine del papillon; un oggetto che assume per lui un significato quasi sacro, un “talismano” che incarna la libertà nell’inseguire i propri sogni, sfidando gli ostacoli delle convenzioni e della quotidianità.

#MUSICANUOVA: Ivana Spagna feat. Legno, “Sarà bellissimo”

#MUSICANUOVA: Ivana Spagna feat. Legno, “Sarà bellissimo”

Tra l’estate alle porte e le sue calde notti tormentate, esce in digitale Sarà Bellissimo l’inedita collaborazione tra Ivana Spagna e Legno. 

Così Ivana Spagna commenta la collaborazione con i Legno: “Sarà bellissimo è bellissimo! Solare, positivo. Pensi all’estate, alla spiaggia, ad una radio sotto all’ombrellone, ad un ricordo tenero, alla storia d’amore che vorresti!  Sarà bellissimo ti fa stare bene come sono stata bene con i Legno. Grandi musicisti, grandi professionisti, simpatici, divertenti ma con la testa, “ops”, la scatola sulle spalle!!!”

Da parte loro, i Legno così descrivono la realizzazione del brano: “Per noi collaborare con la regina degli anni ’80 è stato motivo di grande soddisfazione, ci ha colpito molto a livello umano, è una persona fantastica con cui siamo entrati subito in sintonia. Siamo molto felici di questo pezzo, sicuramente Sarà Bellissimo.

Le sonorità di Sarà Bellissimo  ricordano gli evergreen italiani del passato e, inevitabilmente, sembrano essere fatte apposta per portare tutti alla spensieratezza di quei tempi, a cantare una hit estiva che esce con il cuore in gola da un vecchio jukebox.