BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

Quando il cantante di una band, che di solito ne è anche il frontman, decide di realizzare un progetto solista, la reazione che ne segue da parte del pubblico può essere di dispiacere, per vedere ormai segnato il destino del gruppo (perché 90 volte su 100 lo sappiamo come va a finire), o di curiosità per l’imminente nuovo progetto in arrivo. Talvolta questi due sentimenti si abbracciano, e quel che ne vien fuori è un misto di rimpianto ed eccitazione.

Così è stato per me, quando – ormai alcuni mesi fa – Francesco Bianconi ha annunciato l’uscita del primo progetto come solista. Io, che seguo i Baustelle da almeno una quindicina d’anni, non sapevo bene come prendere la notizia. A chiarirmi le idee non è bastata neanche l’uscita dei primi singoli, ma ho dovuto aspettare che Forever, questo il titolo del disco, vedesse la luce nella sua interezza. E adesso lo posso dire: qualunque sorte toccherà alla band, è una fortuna che Bianconi abbia deciso di realizzare un album come questo.

Forever è uno di quei dischi che hanno l’impronta dell’ambizione in ogni singola traccia, in ogni nota, in ogni sequenza di parole: un’ambizione alla bellezza e alla sfida del tempo, che poi è un po’ la stessa cosa, visto che il vero bello per sua natura non è scalfito dalle mode e dalle epoche.
Un’ambizione austera e discretissima, declinata sulle musiche da camera del quartetto d’archi Balanescu Quartet, spogliata delle ritmiche del basso e della batteria e con minimali utilizzi di elettronica. Quella che ne viene fuori è una tessitura elegante e profondamente malinconica, veste elitaria, ma perfetta, sulla quale si avvolgono le parole e il canto di Bianconi, che forse mai come adesso si lascia andare a un’introspezione sincera che comprende riflessioni spirituali, cinismo sfrontato, ironia velata.
Il buon Francesco non è certo una rivelazione, e anzi ormai sappiamo bene che nel cantautorato italiano il suo nome non ha più bisogno di presentazioni, ma per capirlo fino in fondo vale la pena dare almeno un ascolto a Il bene, L’abisso, alla splendida Zuma Beach o a Certi uomini. Una scrittura che passa dalla poesia più lirica a improvvisi squarci prosaici, che riesce a coniugare scandalo e pudore, sacro e laico.

Nei 40 minuti che compongono Forever non mancano poi selezionatissime incursioni, come quella di Rufus Wainwright, che canta anche in italiano i versi d’amore di “Andante”, o il canto struggente in arabo di Hindi Zahara in Faìka Llìl Wnhàr. E anche questo è un elemento di ambizione di Forever, volare sopra i confini geografici per farsi musica universale.

Se un giorno i Baustelle torneranno, li accoglierò a braccia aperte: nel frattempo mi soffermo ad ascoltare il passo lieve e malinconico di Francesco Bianconi.

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