Non so di chi sia stata l’idea, ma partire rifilando ai telespettatori 24 canzoni tutte in una volta non è stata proprio un’ideona.
Il risultato è stato farci arrivare alla fine della prima puntata stremati e con la voglia di dire già “basta”, complice anche una conduzione portata avanti senza troppo brio e con le idee un po’ latitanti.
La sessantanovesima edizione del Festival di Sanremo è partita senza troppe sorprese e qualche sbadiglio: a un primo impatto, le canzoni non sembrano brillare particolarmente, lasciando un po’ di amaro in bocca per la sensazione di qualche occasione sprecata.
Ecco un giudizio-flash dei 24 brani in gara.
Francesco Renga, Aspetto che torni: una ballatona ona ona, melodicona ona ona, nel più classico stile “renghiano”, ma purtroppo non uno dei momenti migliori. Poco brio, tanta enfasi e forse un tantino di emozione di troppo per aver dovuto rompere il ghiaccio della kermesse.
Nino D’Angelo e Livio Cori, Un’altra luce: se l’intento era quello di unire novità e tradizione, l’operazione è riuscita a metà. Un brano che vuole essere troppe cose insieme, con il risultato di suonare un po’ troppo disomogeneo e – quel che è peggio – già dimenticato.
Nek, Mi farò trovare pronto: tra rock ed elettronica, Nek torna al festival in gran forma. La canzone ha un’anima smagliante e buona possibilità di avere vita propria anche oltre il periodo sanremese. Vedremo cosa saprà fare nelle prossime sere.
The Zen Circus, L’amore è una dittatura: la canzone entra di diritto nella categoria “disturbatori”, non fosse altro per l’impossibilità di cogliere le parole pronunciate da Appino. Il gruppo comunque non si smentisce, portando sul palco un pezzo rock circense che più indie di così non si può, e che sul finale prende una bella piega. E anche l’aspetto scenografico fa al sua bella parte.
Il Volo, Musica che resta: che dire? Qui la retorica e i cliché la fanno assolutamente da padroni. Il tempo sembra essersi fermato al 2015 con Grande amore, ma forse anche a qualche decennio fa. Ma d’altronde non ci si poteva aspettare molto di diverso, visto che Il Volo sono esattamente questo… Bravi, ma mandateli all’estero, grazie.
Loredana Bertè, Cosa ti aspetti da me: erano anni che Loredana aspettava di fare ritorno al festival in piena forma. Quest’anno sembra esserci riuscita: la canzone ha il pathos giusto e Loredana ci ha messo dentro tutta se stessa.
Daniele Silvestri, Argento vivo: qui si osa, con la musica e con il testo. Non so quanto il pubblico sanremese accoglierà il pezzo, ma Silvestri e Rancore fanno sul serio. Il primo vero schiaffo di questo festival arriva da loro.
Federica Carta e Shade, Senza farlo apposta: lei fa pop, lui fa rap, il resto è una canzone senza infamia e senza lode. La passeranno in radio e la si canticchierà un po’, poi si passerò ad altro.
Ultimo, I tuoi particolari: nel perfetto stile della tradizione festivaliera, un pezzo che brilla di melodia pop e rock d’autore. Potrebbe venir fuori meglio nel corso delle serate.
Paola Turci, L’ultimo ostacolo: voce un po’ più roca del solito, non male, ma abbiamo visto Paola più grintosa in altre occasioni. Non male comunque la canzone, che non tradisce le aspettative.
Motta, Dov’è l’Italia: sicuramente il pezzo più politico di quest’anno. Lui è a fuoco, ma il tutto ha bisogno di almeno un secondo ascolto. Benino.
Boomdabash, Per un milione: i Boomdabash fanno i Boomdabash, anche sul palco dell’Ariston. La canzone non farà colpo sul pubblico del festival, ma piacerà ai fan del gruppo, che la balleranno in riva al mare quest’estate.
Patty Pravo e Briga, Un po’ come la vita: non passerà alla storia, né la canzone né l’accoppiata. Il brano non c’è, la voce neppure. Non si è capito nulla, né del testo né del perché abbiano deciso di partecipare. Peccato.
Simone Cristicchi, Abbi cura di me: a farla da padrone qui è la poesia, in un crescendo musicale che riesce a fare colpo. Dopo anni lontano dagli schermi, Cristicchi torna al festival e potrebbe riservare sorprese nella classifica finale.
Achille Lauro, Rolls Royce: ovvero come spettinare l’Ariston. Messo da parte (momentaneamente?) il rap e i suoi connessi, Lauro scaraventa sul festival un pezzo rock tamarrone e baldanzoso, ma senza scandali. Con il Festival non c’entra nulla, ma in un cast così eterogeneo ci sta.
Arisa, Mi sento bene: Arisa ha una voce “antica”, di quelle precise e vibrate che si ascoltavano tanti anni fa. In questa canzone la mette al servizio di un brano che alterna momenti di lirismo a un ritornello iper-pop. E meno male che si balla un po’.
Negrita, I ragazzi stanno bene: se i ragazzi stanno bene, anche i Negrita li ritroviamo in forma. La canzone è perfettamente nelle loro corde, anche se rischia di perdersi un po’ nel marasma dei 24 brani in gara. Un onesto momento di rock.
Ghemon, Rose viola: qui la parola d’ordine è incomprensione. Va riascoltato, perché al primo impatto si è proprio perso.
Einar, Parole nuove: il tutto un po’ tiepido. Si poteva azzardare qualcosina di meglio, invece si resta nei confini della confort zone di un pop da “talent show”. E di nuovo c’è proprio pochino.
Ex Otago, Solo una canzone: si giocano il festival come una grande vetrina, come è giusto che sia per un gruppo in giro già da un po’ ma ancora in cerca della grande conferma. Lo fanno con un brano dall’interessante apertura melodica.
Anna Tatangelo, Le nostre anime di notte: forse avevo capito male, ma mi sembrava che Anna Tatangelo avesse in serbo una specie di svolta. Invece…. invece no. E ho detto tutto. Next, please.
Irama, La ragazza con il cuore di latta: un po’ pop, un po’ rap, un po’ gospel, forse un tentativo di fare un salto un po’ più in là. Quanto possa funzionare oltre al festival però non saprei.
Enrico Nigiotti, Nonno Hollywood: una dedica sincera, sulle note di un rock che si appoggia tanto all’orchestra. Purtroppo un po’ privo di mordente, e sicuramente vittima dell’orario infelice dell’esibizione. Da riascoltare.
Mahmood, Soldi: un altro bel momento di evasione, questa volta in direzione dell’urban. Mahmood si sta ritagliando il suo spazio sulla scena italiana e con questa canzone prosegue sulla linea stilistica tracciata finora.
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