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C’è un momento, quasi una costante, che si ripete in ogni esibizione di Lady Gaga, ed è l’istante esatto in cui lei smette di cantare e la musica si spegne. In mezzo al tripudio di mani al cielo e voci urlanti, Gaga resta immobile sul palco, con il volto serio e lo sguardo immobile, come se stesse aspettando chissà cosa o stesse guardando verso chissà chi, come se volesse sfidare quell’ondata di entusiasmo.

Una manciata di secondi che scorrono lenti, in cui il pubblico placa l’euforia in attesa che qualcosa accada. Ed è allora che Gaga sorride, magari spende qualche parola e riprende lo show.
Ecco, credo che in quei momenti si possa osservare meglio che in altre circostanze lo spirito di Gaga, la sua essenza di artista pop che sopra al pop ci vola (ultimamente neanche troppo metaforicamente). Paradossalmente, il fuoco di un’artista con una delle voci più potenti in circolazione arde anche in quei brevi istanti di silenzio.
E’ come se lei stesse lì a dirci “non me ne frega niente di quello che pensate di me, io sono qua, e ho tutta l’intenzione di restarci”. Perché quando Lady Gaga sale sul palco se lo tiene stretto, e diventa il centro assoluto della scena.
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Fino a qualche anno fa, era soprattutto l’artista delle esagerazioni, quella degli abiti bizzarri, la cantante delle stranezze e delle bistecche indossate in mondovisione.
Oggi Stefani Germanotta è un’artista che sembra aver trovato una sua dimensione ideale al di là delle scelte stravaganti. Il suo ultimo album, Joanne, ne era già una prova piuttosto chiara, e il tour che ne è seguito lo ha confermato. Il 18 gennaio il Joanne World Tour è arrivato a Milano, e per quelli che c’erano è stato evidente che oggi di quelle bizzarie Lady Gaga potrebbe tranquillamente fare a meno. Ma si sa, nell’universo gaghiano tutto deve essere grandioso.
Ecco allora il palco imponente, componibile e scomponibile in un’infinità di varianti, le passerelle inclinate, le fiammate, i ponti sospesi, il pianoforte con fasci di luci al laser che seguono i cambi degli accordi. Ma soprattutto lei, Gaga, grandiosamente Gaga.

Ha offerto uno spettacolo degno di una fuoriclasse quale è, concedendo largo spazio alle frange, ai cappelloni e al country-rock dell’ultimo album, ma senza dimenticarsi del pop, ovviamente.
Nessun effetto speciale per l’entrata in scena con Diamond Heart, coreografie ridotte al minimo, ma il piglio della belva da palco ha scintillato da subito senza mai perdere mordente: quando poi lei si è seduta al pianoforte per The Edge Of Glory il tempo si è fermato.
In mezzo, tra una canzone e l’altra, non ha mancato più volte di ricordare le sue origini e il suo orgoglio italiano, l’importanza della famiglia, la storia della zia Joanne, la vicinanza alla comunità LGBT, alternando un numero indefinibile di ringraziamenti all’amica Donatella Versace, accolta nel parterre da un’ovazione generale. Anche questo è Gaga.
La chiusura con Bad Romance e The Cure ha regalato un’ultima scarica di adrenalina, mentre l’encore è stata affidata a Million Reasons, poi Gaga è sparita sdraiata sul suo piano lasciando in scena solo il suo cappello rosa.

Ci sono bravi artisti e ottimi cantanti.
A Lady Gaga basta uno sguardo, ed è spettacolo.

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