BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
Andrea Belfi - Ore (Cover Art)
Si intitola Ore, dove il termine non è il plurale della parola italiana che usiamo per indicare l’unità di misura del tempo, bensì si tratta del termine inglese che indica un materiale grezzo ancora da rifinire e lavorare per trarne qualcosa di pregiato. Un po’ come il celebre marmo di Michelangelo, che possedeva già in sé il capolavoro.

Ore non è un disco di canzoni nel senso più comune, è più da intendere come un percorso individuale che ogni ascoltatore vi può trovare all’interno scavando con la mente, semplicemente lasciandosi andare alle suggestioni dei suoni.
Ecco, i suoni, concetto di fondamentale accezione in un progetto come questo, che vede al centro le percussioni. Niente voci, niente linee melodiche da farsi girare in testa, ma palpiti, rulli, fruscii, tuoni di percussioni e batteria, arricchiti solo dai sintetizzatori.
Cinque tracce di musica che si potrebbe definire avanguardistica, drone, progressiva, minimal, o forse in nessuno di questi modi, perché siam sempre lì, le definizioni contano fino a un certo punto. Se poi stiamo parlando di esperimenti, non contano proprio un cazzo.
1- Andrea Belfi - (Credit - Steve Glashier) landscape
Ore è l’ultimo – coraggioso – progetto di Andrea Belfi, percussionista italiano trapiantato da tempo Berlino, noto per le sue performance particolarmente energiche, ricche di improvvisazione e sempre alla ricerca dell’unione tra anima acustica ed elettronica. Un estro che non è sfuggito a Nils Frahm, che ha portato Belfi all’interno della sua band, i Nonkeen.
Quello che ha ricreato in Ore è uno scenario notturno, assolutamente ipnotico, a tratti forse claustrofobico, un lungo tunnel tra battito e suono dentro al quale passano le sensazioni di chi sta ascoltando. Una musica come la ambient, ma molto più caotica, o come la noise, ma molto più lineare.
Uno di quei dischi che riescono a lasciare completamente indifferenti molti e ammaliare ferocemente altri.

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