Li avevamo lasciati a dicembre con la vittoria sfumata nella nona edizione di X Factor, anche se poi si erano rifatti con il successo dell’EP Runaway. Adesso per gli Urban Strangers è tempo di ritorno. Il primo album si intitola Detachment, ed è una delle cose più lontanamente italiane che siano state finora partorite da ex concorrenti di talent. Forse solo Madh li aveva in questo anticipati.
Un disco molto poco italiano non solo per la lingua in cui sono cantati i 10 nuovi brani, l’inglese, ma anche per le ispirazioni elettropop che trasudano in ogni singola traccia e che a un ascolto ad occhi chiusi farebbero pensare all’ultimo lavoro di due teen idol d’Oltreoceano: “Forse nella musica italiana non c’è qualcosa di simile a ciò che proponiamo noi. Ascoltiamo tanta musica italiana, ma non ne siamo influenzati. Vorremmo riuscire a puntare all’Europa: è una sfida, perché il pubblico europeo è come una bestia che dobbiamo attaccare”.
I punti d’interesse di Detachment però non finiscono qui: il titolo infatti, che nella madrelingua suona come “Distacco”, fa riferimento alla voglia dei due ragazzi di esplorare le varie forme di allontanamento fisico, psichico e metaforico che si possono sperimentare nella vita. Un’esigenza che, come raccontano, è nata proprio in seguito alla partecipazione al talent di Sky, al termine del quale si sono ritrovati catapultati in una dimensione frenetica, con nuove pressioni da parte di discografici e fan, i tempi di lavoro ristretti, conseguenze fisiologiche della popolarità acquisita: “Dovevano prendere coscienza di quello che stava succedendo e di quello che stavamo facendo: la scrittura dei nuovi brani ha segnato in questo una ripresa e ci ha aiutati. Quando siamo andati a X Factor lo abbiamo fatto con la consapevolezza di ciò che eravamo e sapevamo fare, senza logiche di mercato: il programma comunque non ci ha plasmato, perché in questi casi sei tu a dover plasmare il programma, non viceversa”.
Stupisce anche quell’aura di pessimismo e di dubbio che pervade i testi, tutte quelle domande esistenziali che di solito non si sentono nei lavori di altri ragazzi della loro (giovanissima) età: sentimenti freddi, nuvole emotive, incertezze sulla realtà e sul senso stessa dell’esistenza. Nel primo singolo, Bones, il protagonista chiede se l’altra persona lo riconoscerà anche quando di lui resteranno solo delle ossa fredde. Un po’ come si domandava tanti anni fa Eric Clapton, ma qui suona molto più sinistro e un po’ meno poetico.
“Amiamo distruggerci con il pensiero, abbiamo l’attitudine a farci domande e spesso tendiamo ai suoni in minore, ma non siamo depressi, sappiamo anche divertirci”. E in effetti il mondo degli Urban Strangers è fatto di contrasti e abbinamenti talvolta singolari. Se già il loro nome racchiude un ossimoro, non può sfuggire la collocazione di un pezzo come Intro piazzato proprio sul finale: “Fa parte del nostro modo di vedere la realtà, capovolgendo le cose, è un’espressione del non sense in cui viviamo, la voglia di non avere regole e divertirci”.
Tra le forme di distacco di cui si parla, anche quella sensoriale della marijuana, raccontata in Bare Black Tree: “Come molti adolescenti, anche noi ne facciamo uso, e quel brano è stato scritto in uno di quei momenti, è un’immagine nata da quella suggestione: anche questa è una forma di distacco dalla realtà”.
Nessun brano in italiano per ora: “Ci stiamo provando, ma non ci siamo ancora arrivati. Forse in futuro, e chissà, magari lo scriveremo in maggiore”.
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