Se c’è un potere che il cinema possiede da sempre incontrastato è quello di bloccare il tempo, congelare l’orologio in un preciso momento: capita allora che certi attori, che magari non vediamo spessissimo in giro, conquistano fama imperitura per un solo ruolo e i loro volti e i loro corpi restano nell’immaginario collettivo di noi spettatori gli stessi di quell’esatto istante, proprio con quelle voci e quei vestiti addosso.
L’incantesimo è talmente efficace che siamo convinti che, magari a distanza di 20 o 30 anni dalla pellicola che li ha trasformati in “vips”, potremo ritrovarceli davanti ancora così, proprio come li ricordavamo nei panni di quel personaggio che tanto ci era piaciuto. Salvo poi rivederli in TV o su qualche giornale inevitabilmente invecchiati. E allora sì, ti rendi conto che il tempo è inserorabile e non risparmia nessuno.
Non è che invecchiare sia una colpa, ben inteso, è solo che se a invecchiare sei tu o il tuo vicino di pianerottolo è normale e quasi non te ne accorgi, se succede alle stelle del piccolo e grande schermo la cosa un po’ ci deprime, non neghiamolo.
Tutto questo per arrivare al punto: qualche sera fa stavo girovagando per il web e, non so come e perché, mi sono ritrovato a spulciare su Wikipedia il cast di Sister Act.
Il film l’abbiamo, credo, visto tutti: Deloris Van Cartier, cantante di incerta carriera a Las Vegas, è testimone involontaria di un delitto compiuto dall’amante gangster Vince La Rocca ed è perciò costretta a rifugiarsi sotto copertura in un convento di suore. Qui inizia a sovvertire le regole e crea scompiglio tra le consorelle, soprattutto dopo essere stata nominata direttrice del coro, trasformando i canti liturgici in performance rock/blues. Il boss mafioso riesce però a scovarla, proprio alla vigila della visita del papa in parrocchia, ma grazie all’aiuto delle altre suore – ormai solidali compagne di avventure – tutto si risolve per il meglio e Deloris/suor Maria Claretta può tornare alla sua vita.
Commedia spassosissima, successo garantito a ogni replica televisiva, con una colonna sonora favolosa e ormai diventata un classicone.
Bene, il film è datato 1992, che nella mia mente di trentenne è come dire la scorsa settimana, ma sul calendario sono ben… 24 anni. Ventiquattro anni. VENTIQUATTRO.
Cioè, per intenderci, nel ’92 Justin Bieber non era ancora nato, Lady Gaga stava imparando a scrivere, la Pausini era ancora una semplice interprete di piano bar a Solarolo, il Grande Fratello era conosciuto ancora solo per 1984 di Orwell e il termine “smartphone” non era probabilmente ancora stato pronunciato.
Quello che però mi ha colpito e rattristato davvero (molto…) è stato scoprire che molte delle attrici del film non ci sono più. Al di là di Whoopi Goldberg, Maggie Smith (la Madre superiora), Kathy Ann Najimy (la prosperosa suor Maria Patrizia) e Wendy Makkena (la novizia suor Maria Roberta), moltissime delle altre attrici sono morte: Mary Wickes (la fantastica suor Maria Lazzara), Rose Parenti (suor Alma, quella con l’apparecchio acustico che suonava il piano), Ellen Albertini Dow, Carmen Margarita Zapata, Susan Johnson, Ruth Kobart, Susan Brown Browning, Edith Diaz.
Se oggi, per caso, volessero realizzare un terzo episodio di Sister Act (il secondo è arrivato nel 1994, con il cast praticamente al completo), gli spalti del coro sarebbero semivuoti, o riempiti da altre attrici.
Normale, il tempo passa, e le allegre “sorelle” erano già in là con gli anni all’epoca delle riprese, ma – per allacciarmi a quello che dicevo all’inizio – nella mia testa loro si erano fermate lì, pimpanti e sempre pronte a scatenarsi sull’altare.
Ma così non è…
E’ il meraviglioso regalo del cinema, e insieme il suo inganno.
Se il tempo va, l’arte è l’unico mezzo a nostra disposizione per fermarlo.
Sister Act, nel suo piccolo, ne è stata per me la prova.
E allora via questo velo di malinconia e 3… 2… 1… Play!
Haaaa…..lle…..luuuuu…..jaaaa!!!!
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